Da una parte in Karl Marx vi è la costante oscillazione fra la necessità di riconoscere la progressività della società borghese di contro tanto alle forze reazionarie, quanto al socialismo reazionario, anarcoide o rozzo, dall’altra si tratta di farne emergere limiti e contraddizioni per poter giustificare la necessità del suo superamento in senso socialista e comunista. Inoltre, essendo le considerazioni marxiane sulla questione dei diritti umani sparse in scritti ideati con altre finalità – con la parziale eccezione de La questione ebraica – il suo giudizio dovrebbe essere per quanto possibile tarato, trattandosi spesso di riferimenti condizionati dalla necessità di criticare una posizione determinata. Del resto è l’intera riflessione di Marx a essere caratterizzata da un’accesa partigianeria politica, per cui la questione del giudizio formulato sui diritti umani non è mai slegata dal problema delle alleanze di classe, in particolare con la piccola borghesia che allora si richiamava ideologicamente alla Montagna (democratici radicali), o dalla necessità di salvaguardare l’autonomia politica e di classe del partito comunista. Nella stessa Questione ebraica, il giudizio sui diritti umani è non solo inserito all’interno di una recensione nata quale critica alla posizione di Bruno Bauer sull’emancipazione politica della comunità giudaica, ma risente anche dalla necessità di fare i conti, ovvero di rompere decisamente, con la sinistra hegeliana. Noteranno a tal proposito, poco dopo, Marx e Friedrich Engels: “Si tratta certo di un avvenimento interessante: il processo di putrefazione dello spirito assoluto. Dopo che l’ultima scintilla di vita si spense, i diversi elementi di questo caput mortuum entrarono in decomposizione, dettero origine a nuove combinazioni e formarono nuove sostanze” [1]. Perciò la polemica dei giovani hegeliani “contro Hegel e fra di loro si limita a questo, che ciascuno estrae un aspetto del sistema hegeliano e lo rivolge tanto contro l’intero sistema quanto contro gli aspetti che ne estraggono gli altri” [2].
Il saggio-recensione La questione ebraica segna anche il passaggio di Marx da posizioni radical-democratiche a posizioni socialiste, il che spiega almeno in parte la verve polemica che accompagna la dura reprimenda contro i sostenitori dei diritti umani, dovuta alla necessità di marcare con nettezza la differenza della nuova posizione politica assunta. Vi è, infine, da mettere nel conto la necessità di portare a termine da parte di Marx il parricidio mancato nei confronti della filosofia hegeliana e l’esigenza di distanziarsi il più possibile dalla miseria tedesca: “La situazione della Germania alla fine del secolo passato si rispecchia completamente nella Critica della ragion pratica di Kant. Mentre la borghesia francese si innalzava al dominio, con la più grandiosa rivoluzione che la storia conosca, e conquista il continente europeo, mentre la borghesia inglese, già emancipata politicamente, rivoluzionava l’industria e si assoggettava l’India politicamente e tutto il resto del mondo commercialmente, gli impotenti borghesi tedeschi riuscirono ad arrivare soltanto alla «buona volontà»” [3].
Era del resto la stessa miseria tedesca che portava i suoi maitre a penser a sopravvalutare la battaglia ideologica e ad assumere un atteggiamento apologetico nei riguardi delle libertà borghesi. Marx al contrario, grazie all’amicizia con Engels, all’esilio in Francia e Belgio – in cui la borghesia aveva conquistato ampie fette di potere con le rivoluzioni del 1830-31 – allo studio approfondito della società statunitense è invece conscio di tutte le contraddizioni che si riproducono nel nuovo assetto sociale. Bisogna, inoltre, tenere sempre a mente l’influenza, non sempre positiva, del pensiero feuerbachiano sul giovane Marx, che lo porta a polemizzare aspramente con lo stesso diritto e, più in generale, con le sovrastrutture, in forme a tratti acritiche. Così Marx ed Engels scriveranno nell’Ideologia tedesca: “per quanto riguarda il diritto, fra le molte cose noi abbiamo affermato l’antagonismo fra il comunismo e il diritto, sia politico e privato, sia nella sua forma più generale, come diritto dell’uomo” [4]. Mentre nel Manifesto del partito comunista, sosterranno che dal punto di vista del proletariato “le leggi, la morale, la religione, sono per lui altrettanti pregiudizi borghesi, dietro ai quali si nascondono altrettanti interessi borghesi” [5]. Sempre nel Manifesto si può leggere: “«Ma – si dirà – non c’è dubbio che le idee religiose, morali, filosofiche, politiche, giuridiche, ecc., si sono modificate nel corso dell’evoluzione storica; la religione, la morale, la filosofia, la politica, il diritto però si mantennero sempre attraverso tutti questi mutamenti. Ci sono, inoltre, verità eterne, come la libertà, la giustizia, ecc., che sono comuni a tutte le situazioni sociali. Il comunismo, invece, abolisce le verità eterne, abolisce la religione, la morale, in luogo di dar loro una forma nuova e con ciò contraddice a tutta l’evoluzione storica verificatasi finora»” [6]. Sempre nel Manifesto si può leggere: “La rivoluzione comunista è la più radicale rottura coi rapporti di proprietà tradizionali; nessuna meraviglia, quindi, se nel corso del suo sviluppo avviene la rottura più radicale con le idee tradizionali” [7].
Il che non toglie nulla alla profondità e all’attualità che conserva la mordace critica marxiana delle forme universaliste che assume il dominio materiale della società civile borghese. Come del resto ha osservato a ragione Bernard Bourgeois: “La negazione comunista dei «Diritti dell’uomo» non si fonda sulla lettura diretta, immediata, del contenuto manifesto della celebre Dichiarazione, ma sull’interpretazione molto mediata della sua funzione storica. Per Marx, l’affermazione dei Diritti dell’uomo è un effetto, ma un effetto efficiente – cioè un effetto che è un mezzo –, in altri termini, tale affermazione è «ideologica»” [8].
Nelle riflessioni di Marx vi è un’accusa costante all’ideologia dei “diritti umani” in quanto occulta, in un idealismo universalista, il loro reale fondamento: la società borghese con il suo portato d’individualismo concorrenziale, di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, di dualismo fra Stato e società civile. L’idealismo dell’universalismo politico eclissa le contraddizioni della società civile, che dominano lo Stato modellandolo secondo gli interessi economici di quest’ultima. Tuttavia, pur essendo prevalente la critica alle illusioni universaliste e politiciste della Rivoluzione francese, in altre pagine Marx ne riconosce i decisivi risultati e ne recupera, nel processo di superamento dialettico [Aufhebung], taluni elementi fondamentali per la rivoluzione proletaria. Rimane, tuttavia, da sciogliere un nodo decisivo: mediante il processo rivoluzionario Marx intende realizzare un rovesciamento materialistico dei diritti umani – ovvero trattasi di renderli concreti, reali e non più astratti e formali, rafforzandone la componente sociale e liberandoli dal fondamento della proprietà privata dei mezzi di produzione – oppure siamo dinnanzi a una critica meramente distruttiva al diritto in quanto tale, al mondo della politica, dello Stato inevitabilmente separato dalla società civile? Verosimilmente, in Marx s’intrecciano entrambe le tendenze che, in seguito, nella storia del marxismo saranno in genere radicalmente contrapposte – contraddizione solo in parte risolvibile nei due momenti in cui verrà articolandosi la presa del potere da parte del proletariato: una transizione socialista in cui i diritti umani verranno socializzati assieme ai mezzi di produzione e una società comunista in cui tenderanno a dileguare nel progressivo affermarsi del regno della libertà.
Come ha osservato, con il consueto acume, Bourgeois: “La negazione comunista dei «Diritti dell’uomo» compie qui il suo senso assoluto come unità della negazione pensata (la critica del filosofo) e della negazione reale (la critica del proletariato) di tali «Diritti», unità di cui L’ideologia tedesca elabora il significato concreto mediante la sua teoria dell’origine, del senso e del destino delle ideologie, di cui i “Diritti dell’uomo” sono l’esempio moderno più significativo” [9]. D’altra parte “la concretizzazione materialistica del processo storico”, in cui i diritti umani si invereranno, “è – allo stesso tempo – una concretizzazione dal significato negativo e, di conseguenza, della denuncia del grande slogan della rivoluzione borghese” [10], ovvero degli stessi diritti dell’uomo.
Si è sviluppato un notevole dibattito sulla questione se Marx intenda superare dialetticamente la concezione borghese dei diritti umani o intenda piuttosto criticarla come una ideologia, una forma di cattiva coscienza. Vi è stato così chi – per esempio G.A. Cohen, B. Bourgeois, Z. Husami ed E. Bloch – ritiene che Marx, pur criticando la concezione borghese dei diritti umani, nella sua riflessione politica si richiama, in modo più o meno esplicito, ai diritti dell’uomo. D’altra parte, altrettanti significativi studiosi – come S. Lukes, G. Brenkert, E. Kuovelakis e U. Cerroni – ritengono al contrario la precedente interpretazione sostanzialmente revisionista, in quanto perderebbe di vista un elemento essenziale della riflessione marxiana e, di fatto, abbandonerebbe la necessità del superamento della società capitalistica fondata proprio su tali diritti umani. In parallelo a ciò si è sviluppato il dibattito se i diritti umani siano o meno relativi alla società borghese. Secondo i sostenitori della critica marxiana ai diritti dell’uomo, non esisterebbero diritti umani in quanto tali, ma diritti borghesi, che verrebbero naturalizzati sulla linea delle robinsonate e del giusnaturalismo, fino a spacciarli come umani tout court. Altro tema dibattuto è la validità universalistica o meno dei diritti umani. Chi ne sostiene la validità universale tende a ritenere che Marx, avendo una concezione normativa del diritto e della giustizia, faccia almeno implicitamente riferimento a qualcosa come un diritto naturale o umano. È, in effetti, largamente diffusa la concezione che – al livello teorico – la rivendicazione socialista di Marx si riduce a una integrazione sociale delle moderne Dichiarazioni dei diritti, così come la libertà socialista si ridurrebbe – nel pensiero di Marx – alla aggiunta di un contenuto sociale reale ai formali diritti liberali moderni. Questa interpretazione è certamente dominante: la si ritrova tra studiosi marxisti e non marxisti, e tra studiosi marxisti di differente orientamento politico. È, per esempio, alla base degli scritti di E. Bernstein, di K. Kautsky, di R. Mondolfo e di J. Strachey.
Esemplare è, in proposito, la posizione di Strachey che sostiene, appunto, essere il compito del socialismo l’attuazione del “secondo tempo” della “trinità laica” di Libertà-Eguaglianza-Fraternità. Al contrario, per esempio, per Umberto Cerroni “Marx fornisce una testuale critica di questo «secondo tempo» proprio nella Questione ebraica” [11].
Note:
[1] Marx, K. e Engels, F., L’ideologia tedesca, tr. it di Codino, F., Editori Riuniti, Roma 1967, p. 5.
[2] Ivi, p. 6.
[3] Ivi, p. 177.
[4] Ivi, p. 191.
[5] Id., Marx, K., e Engels, F., Opere complete 1845-1848, tr. it. di Togliatti, P., vol. VI, Editori Riuniti, Roma 1978, p. 496.
[6] Ivi, p. 504.
[7] Ivi, p. 505.
[8] Bourgeois, B., Philosophie et droits de l'homme: de Kant à Marx, éditions PUF, Parigi 1990, p. 101.
[9] Ivi, p. 112.
[10] Ibidem.
[11] Cerroni, U., Marx e il diritto moderno, Editori Riuniti, Roma 1972, pp. 274-75.