Nella rappresentazione del contrattualismo giusnaturalista, ripresa acriticamente dai fondatori dell’economia politica, vi sarebbero degli individui indipendenti portatori naturalmente in quanto tali di diritti (droit de l’homme). In tal modo a essere naturalizzata non è più la comunità politica, come avveniva nel mondo antico, ma il singolo. Per cui la comunità civile è così liberata da un immutabile ordine naturale, è storicizzata, ma anche degradata a una convenzionalità transeunte, a un patto contingente, rispetto alla presunta originarietà dell’individuo e del suo diritto naturale. Perciò, come osserva a ragione Umberto Cerroni da un punto di vista marxista, il punto di partenza tanto del giusnaturalismo quanto dell’economia politica (borghese) “è appunto il rovesciamento teorico del rapporto società-natura: non è la comunità ad avere una originarietà naturale ma l’individuo, non dunque la società è sussunta sotto la natura, ma invece la natura è storicamente sussunta sotto la società. Perché la natura dell’uomo non è la comunità ma l’individualità, perché la società anziché natura è piuttosto storia: una società convenzionale, pattizia” [1]. I diritti dell’uomo sono il diritto a tale isolamento, il diritto dell’individuo limitato, limitato a se stesso.
Secondo tale concezione, la società appare piuttosto una cornice esterna agli individui, una limitazione della loro presunta indipendenza originaria. Si tratterebbe di una necessità, un destino per l’indipendenza naturale del singolo l’entrare in società, sacrificando una parte della sua pura indipendenza alla comunità, ma al solo scopo di preservarne al massimo l’autonomia [2]. L’unione sociale, la comunità statale, non dovrebbe ledere la finzione giuridica della separazione originaria degli individui, per cui a tutela di quest’ultima sono posti i diritti umani [3]. I diritti naturali dell’uomo sarebbero dunque originari, sottratti allo sviluppo storico, fondativi della dignità della persona, mentre i diritti civili sarebbero propri dell’ambito storicamente contingente di una società, per quanto sorta da un bisogno altrettanto naturale [4]. L’unico legame che terrebbe insieme gli individui sarebbe la necessità naturale, il bisogno e l’interesse privato, la conservazione della loro proprietà e della loro persona egoistica. Essi farebbero volontariamente getto di una parte della loro libertà naturale per entrare in una società, in cui come membri godranno dei diritti di cittadinanza. Il che non può comportare una limitazione che parziale, storico-empirica degli imprescrittibili diritti naturali, che andranno il più possibile salvaguardati e potranno solo contingentemente essere sacrificati. La sfera politica e comunitaria è considerata come una caduta storica, per quanto necessaria, destinale, dall’Eden dei diritti naturali dell’uomo [5]. Perciò i diritti del cittadino potranno avere la precedenza su quelli dell’uomo soltanto in una situazione particolare, contingente, d’emergenza, dal momento che la loro funzione, la funzione dell’intera comunità, non sarebbe quella di limitare, ma di consentire un più durevole e sicuro godimento dei diritti naturali [6].
L’apparente contraddizione formale fra diritto dell’uomo e del cittadino è, così, dispiegata e risolta da Marx sul piano della dialettica storica [7]. La concretizzazione storica è anche funzione della critica del formalismo, della valenza meramente negativa dei supremi diritti dell’uomo [8]. Così la preminenza, in caso di conflitto, dei diritti del cittadino su quelli dell’uomo è propria esclusivamente dello stato di emergenza che vive la società borghese all’epoca della sua gestazione rivoluzionaria. In effetti, sulla base dell’ideale rousseauiano di superare il dualismo fra cittadino e borghese mediante la ricostruzione dell’unità antica di soggetto e cittadino in armi [9], il comitato di salute pubblica violò in diversi casi praticamente la costituzione del 1793, che comunque teoricamente sanciva ancora i diritti naturali dell’uomo come fondamento imprescrittibile dei diritti di cittadinanza. Peraltro, anche nella loro formulazione più avanzata, nella Costituzione del 1793, i celeberrimi diritti di cittadinanza poggiano, infatti, sul fondamento dei due diritti umani che gli apologeti della Dichiarazione generalmente omettono: sicurezza e proprietà privata [10]: “il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescindibili dell’uomo”. Per cui il diritto umano alla proprietà diviene l’arbitrario godimento dei propri beni sulla base del desiderio illimitato di soddisfazione dei bisogni individuali [11].
Note:
[1] Cerroni, Umberto, Marx e il diritto moderno, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 237.
[2] Come chiarisce a tal proposito Cerroni: “la società, il mondo storico, figura come un bisogno che è in pari tempo limite: in quanto è un bisogno della natura umana vi rientra come articolazione dei valori naturali-umani, in quanto è un limite da cui l’uomo deve garantirsi riconoscendo la naturalità della sua libertà ed eguaglianza, essa è un vincolo. V’è qui una analogia sintomatica con l’antica tradizione religiosa: come la città terrestre è un transito necessario per riguadagnare la città divina ed è pertanto una valle di lacrime e in pari tempo un necessario gradino al cielo, così, distaccato dalla socialità del genere, l’uomo-individuo si presuppone come un valore che deve dispiegarsi poi in società ma solo per rafforzare e garantire i valori della sua persona.” Ivi, p. 245.
[3] In tal modo, ancora Kant “avendo posto la struttura dell’uomo nella sua presociale dignità di persona, (…) deve poi tutelarla contro la società per garantire che l’ingresso in società sia transito verso il ritorno al valore supremo della separazione.” Ivi, p. 258.
[4] “A ben considerare, dunque, lo stato di natura in cui si costituisce il patrimonio essenziale dei valori umani come valori della persona è un mondo in pari tempo naturale e vaporato: è natura in quanto sottratto alla variabilità storica, è valore in quanto poggia sull’uomo-persona, sull’individuo che per natura è libero, eguale, indipendente.” Ivi, pp. 244-45. Così “da una parte si allinea il mondo della coscienza-natura e dei suoi valori supremi, dall’altra il mondo storico e mutevole dell’associazione del genere umano. Il primo è il punto di riferimento del secondo, il secondo è un’estrinsecazione necessaria del primo. Il primato dell’uno è inevitabilmente la subordinazione dell’altro, ma una subordinazione mediata dal bisogno naturale di associarsi, dall’appetitus societatis, dal «desiderio» del mondo sociale.” Ivi, p. 244.
[5] La stessa “rivendicazione della laicità e terrestrità del mondo storico della società e dello Stato sfuma nella misura in cui essa resta riassorbita e logicamente subordinata alla espansione della coscienza privata, del valore extrastorico e ancora metafisico del valore.” Ivi, p. 245.
[6] “Gli individui naturalmente indipendenti, portatori di propri imprescrittibili valori (diritti), entrano volontariamente nella società: l’associazione politica pertanto è una costruzione storica, umana, che ha come piattaforma la volontà degli uomini in quanto decidono di costituirsi in popolo. Con ciò stesso la figura dell’individuo resta scissa in due: egli infatti, in quanto naturalmente indipendente dalla società, si caratterizza come un dato originario – l’Uomo o la persona – munito di un patrimonio di attributi che sovrastano la società; in quanto uomo decide di entrare in società, in quanto stipulatore del patto sociale, diviene invece cittadino” Ivi: p. 242. E in pari tempo la nuova coscienza religiosa protestante, specie con Calvino, elabora la interiorizzazione della religione, premessa della separazione della Chiesa dallo Stato: nasce quella che Troeltsch ha chiamato “la doppia morale: morale dell’ufficio e morale della persona”. Lo stesso autore ha ben sottolineato il contatto teorico che si stabilisce fra questa versione moderna dell’ascesi cristiana e la teoria kantiana della persona: la convergenza teorica, dunque, della nuova religiosità e della nuova coscienza teorica laica. Donde la possibilità di ricercare un fondamento comune oggettivo: quello che appunto Marx persegue nella sua analisi. Dunque, un movimento speculare a quello reale avviene sul piano ideologico della coscienza. La riforma segna una individuazione della religione, un suo privatizzarsi e naturalizzarsi all’interno della singola coscienza. Ciò permetterà di distinguere nell’individuo una coscienza religiosa privata e naturale e una coscienza pubblica. In tal modo vi sarà solo un apparente superamento del dualismo della rappresentazione religiosa che si riprodurrà all’interno della singola coscienza.
[7] “Ora, una tale contraddizione del contenuto manifesto dei diritti dichiarati è, agli occhi di Marx, una contraddizione solamente apparente. Per lui – pensiamo alla ottava tesi su Feurbach –, le contraddizioni o «misteri» di un contenuto considerato teoreticamente, cioè staticamente, si risolvono se li si esaminano dinamicamente, dal punto di vista pratico, come momenti di un processo. Compresi dunque in una prospettiva pratica, reale, la teoria dei Diritti dell’uomo e del cittadino offre, in verità, la loro gerarchizzazione dinamica, in quanto subordinazione dei diritti del cittadino – diritti dell’uomo ideale, ideale, idealizzato, irreale –, a titolo di semplice mezzo, ai diritti dell’uomo – diritti dell’uomo reale –, come vero fine. È quanto esprime nettamente l’articolo 11 della Dichiarazione del 1791: «Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescindibili dell’uomo». In breve, «il cittadino è… dichiarato servitore dell’uomo egoista».” Bourgeois, Bernard, Philosophie et droits de l'homme: de Kant à Marx, éditions PUF, Parigi 1990, p. 105.
[8] “La concretizzazione materialista del processo storico è, allo stesso tempo, una concretizzazione della significazione negativa e, di conseguenza, della denuncia, del grande slogan della rivoluzione borghese [i diritti umani]” Ivi, p. 112.
[9] “Si può rendere evidente la originalità di Rousseau contrapponendo al dualismo liberale di cittadino e privato (o Uomo in generale) l’unità di citoyen e sujet.” Cerroni, Umberto, Marx e il diritto…, op. cit., pp. 267-68. Peraltro, nella prima fase in cui il giovane Marx era un democratico, ma non ancora un comunista, il suo approccio aveva “qualche analogia con quello di Rousseau, sebbene gli studiosi che hanno cercato di stabilire un legame diretto tra i due pensatori si siano dovuti arrendere di fronte al fatto inconfutabile che «mai Marx diede il ben che minimo segno di rendersi conto» di questo presunto debito filosofico verso il ginevrino. Il punto centrale della critica di Marx [a Hegel] consiste nella dimostrazione che lo Stato è soltanto un aspetto della società civile.” Hobsbawm, Eric, Gli aspetti politici della transizione dal capitalismo al socialismo, in AA. VV., Storia del marxismo, vol. I, Einaudi, Torino 1978, p. 250.
[10] Riducendo in tal modo l’essenza dell’uomo alla sua esistenza privata, particolaristica, il diritto alla proprietà privata è in evidente contraddizione con i diritti di cittadinanza che dovrebbero fondare l’universalità dell’uomo. Ciò è particolarmente evidente nella questione abitativa in cui alla brama di profitto dei proprietari si immolano regolarmente i diritti degli inquilini. La legge tutela il diritto degli affittuari di disporre a loro arbitrio delle loro proprietà, che spesso lasciano sfitte per accrescere il prezzo di mercato, non il diritto ad avere un alloggio umano o la possibilità di acquistarlo pagando un affitto adeguato. “Il carattere antagonistico dell’accumulazione capitalistica e quindi dei rapporti di proprietà capitalistici in genere diventa qui così evidente, che perfino le relazioni ufficiali inglesi su questo tema pullulano di attacchi eterodossi contro la «proprietà e i suoi diritti».” Marx, Karl, Il capitale, vol. I, tr. it. di D. Cantimori, Editori Riuniti, Roma 1989, p. 719.
[11] Cfr. Kouvélakis, Eustache, Critica della cittadinanza; Marx e la “Questione ebraica”, tr. it. di N. Augeri, in «Marxismo Oggi» 1, Milano 2005, p. 64.