Lev Nikolàevič Tolstòj (1828 – 1910), notorio e leggendario autore russo, fu un personaggio significativo per l’eredità letteraria che consegnò all’intero mondo, ma anche per le forti lotte politiche che condusse durante la vita. Egli fu indubbiamente uno di quegli artisti che amano fare della propria vicenda esistenziale una conferma ed un prolungamento della propria produzione, e si dimostrano, in questo, pienamente coerenti con i valori che celebrano artisticamente e intellettualmente.
Rimasto orfano di madre all’età di soli due anni, egli condusse studi di filosofia e giurisprudenza, che non riuscì a completare, ma restò fortemente ispirato dai contributi di moralisti e da quello di Rousseau. Dopo una giovinezza frenetica e disordinata, l’esperienza della guerra (nel Caucaso e di Crimea) gli permise di sperimentare quegli scenari bellici che egli ritrasse con fedele naturalismo in molti suoi scritti. Negli anni ‘60 dell’Ottocento, fu molto toccato dalla questione dell’abolizione della servitù della gleba; negli anni ‘80, appoggiato dalla casa editrice Posrednik, cominciò a distribuire numerose copie di testi classici alle classi indigenti, con lo scopo di istruirle. Nel 1891, Alessandro III dovette intervenire personalmente perché egli non venisse scomunicato dalla Chiesa ortodossa: si era infatti esposto per difendere dalla persecuzione le minoranze religiose russe, muovendo accuse accese di corruzione alla classe nobiliare. Fu definitivamente scomunicato nel 1901 per le sue idee anarco-pacifiste, ma la fama strabordante che aveva guadagnato impedì che venisse incarcerato. Successivamente si oppose alla guerra russo-giapponese e sollecitò nel 1909 i contadini al boicottaggio del lavoro per ottenere l’abolizione della proprietà privata.
Egli proveniva da una famiglia di antica nobiltà, e fu quindi un uomo non solo celebre, ma anche fornito di lauti mezzi economici. La sua forte moralità ed il suo instancabile slancio pratico, tuttavia, lo resero sempre pronto alla rivendicazione delle istanze dei più bisognosi. Il suo atteggiamento nei confronti delle classi meno agiate non aveva accenti paternalistici e commiserevoli; i ritratti che egli elaborò nei suoi romanzi di uomini indigenti e di bassa estrazione sono sempre molto dignitosi, complessi, capaci di profonda introspezione, e mai superficiali o caricaturali. Il rispetto che egli provava nei confronti dell’essere umano, nella sua generalità, non era frutto insomma di pietà o moralismo, ma era assolutamente genuino e disinteressato.
Egli non appoggiò mai però la visione socialista, di cui anzi era critico. La battaglia volta all’abolizione della proprietà privata, che si fondava sul progetto di Henry George [1] (e che prevedeva l’imposizione di un’imposta unica sulla terra) non doveva passare attraverso la rivoluzione; Tolstoj fu sempre legato ad un ideale pacifista, e la nonviolenza doveva essere un valore rispettato anche nello svolgimento della lotta politica. Nel 1909, non a caso, egli intrattenne uno scambio epistolare con Gandhi, il quale nutriva per lui fortissima ammirazione [2]. La necessità di un rovesciamento sistemico, insomma, da Tolstoj non viene negata:
“In realtà pochi livellatori sognano tante demolizioni come questo apostolo della carità. Egli supera spesso i Bakunin ed i Kropotkin. Nessun suo compatriota è stato più duro nei confronti del capitale. Nessuno più fermamente internazionalista.” [3]
E tuttavia:
“Il cristianesimo è in parte il socialismo e l’anarchismo, ma senza la violenza e con la disposizione al sacrificio.” [4]
Il rifiuto di una rivoluzione violenta costituisce la ragione per cui Lenin, che pure lo definiva “specchio della Rivoluzione russa”[5], sosteneva che il pacifismo di Tolstoj potesse facilmente scadere in un vero e proprio anarchismo, e che quindi il principio della nonviolenza potesse restare solo un ideale teorico. Resta il fatto che a giudizio di Lenin il grande romanziere sarebbe stato inimitabile nel ritrarre le condizioni precarie del mondo contadino e nel denunciare il sistema feudale e borghese.
L’impossibilità di sovrapporre le dottrine socialiste e comuniste ed il pensiero tolstojano dipende da una diversa modalità di intendere la prassi storica; Tolstoj non esclude apertamente il fatto che possano esistere delle ragioni socio-economiche che influiscono sulle azioni umane, tuttavia ritiene che non se ne possano descrivere le eventuali leggi, come invece sostenevano i socialisti [6]. A reggere il potere, in tutti i suoi risvolti nefasti, non è tanto una struttura economica fondata sulla sperequazione e lo sfruttamento, ma leggi fondate dagli uomini, contrarie a quella del cristianesimo e dell’amore. L'accento è quindi posto sulla critica morale.
Nonostante ciò, molte delle sue posizioni relative alla critica al potere sono particolarmente affini a quelle elaborate da Marx e dal socialismo. Le classi privilegiate permettono che si instauri un sistema di leggi liberale, e che tutela le istanze anche dei contadini e del proletariato; formalmente, anche le categorie più indigenti sono protette dalla legge. Nonostante ciò, ad amministrare la giustizia ed a esercitare il potere sono uomini del tutto disinteressati al riconoscimento dei diritti degli ultimi; sono uomini che, causa la soddisfazione materiale, non sentono affatto la necessità di risolvere i grandi drammi che affliggono la società. Fra le tante opere, Resurrezione è quella che ritrae più vividamente questa situazione. In questo romanzo, che narra dell’ingiusta deportazione della prostituta Katjuša ai lavori forzati, sono frequenti le pagine che descrivono i pensieri distratti e negligenti degli amministratori della giustizia e dei potenti, figure che, paghe della propria opulenza, non hanno il minimo interesse nella difesa dei più deboli. Le condizioni di disparità economica vengono naturalizzate, agli occhi degli abbienti, e non intese come frutto di dinamiche storiche:
“Le condizioni del conte Ivan Michajlović fin dalla giovinezza consistevano nel credere che come per l’uccello per natura si nutre di vermi, è vestito di penne e piume e vola nell’aria, così lui per natura si nutriva di vivande costose, preparate da cuochi costosi, si vestiva degli abiti più comodi e costosi, viaggiava con i cavalli più comodi e veloci, e quindi tutto ciò doveva essere sempre pronto per lui.” (pag. 268)
Le prigioni diventano quindi un luogo in cui vengono reclusi coloro che la società ha contribuito a rendere depravati:
“Perché è evidente che questo ragazzo non è un malfattore speciale, ma una persona comunissima, lo vedono tutti, e che si è ridotto così solo perché si è trovato nelle condizioni che generano le persone come lui. [...] E per eliminare le condizioni che generano tali persone non solo non facciamo nulla, ma anzi promuoviamo le istituzioni dove si producono. E si sa quali sono queste istituzioni: fabbriche, officine, laboratori, osterie, bettole, case di tolleranza.” (pag. 130)
Di più, l’amministrazione della giustizia svolge il compito di cristallizzare le disuguaglianze:
“Il tribunale ha il solo scopo di conservare la società nella situazione attuale e perciò perseguita e punisce tanto più chi è superiore al livello comune e vuole innalzarlo, i cosiddetti criminali politici, quanto chi è inferiore, i delinquenti-tipo.” (pag. 344)
Da questa prospettiva, è forte il legame concettuale che lega il pensiero tolstojano alla critica rivolta da Marx alla hegeliana filosofia del diritto, e che più ferocemente viene estesa agli ideologi del capitale. Il sistema socio-economico attuale, per entrambi gli autori, poiché la storia ha un andamento dialettico, non può essere naturalizzato, a patto che il fine che si vuole ottenere non sia quello di scongiurare la venuta del momento in cui questo sistema viene scardinato. In questo contesto, i diritti che gli uomini hanno conquistato attraverso sanguinose rivoluzioni si traducono in garanzie esclusivamente formali, che nel concreto continuano a lasciar spazio per l’aggravamento delle disuguaglianze. Coloro che soccombono in questo gioco, vengono però additati come responsabili individualmente del proprio male, senza che la loro rovina sollevi dubbi sulla problematicità del contesto che li ha resi depravati.
Lo sdegno di Tolstoj, ad ogni modo, resta fondato più su un disprezzo morale rivolto ai potenti, che al riconoscimento di un meccanismo oggettivo insostenibile.
Anche la stessa concezione del denaro proposta da Tolstoj è effettivamente incentrata su una valutazione morale: il racconto Denaro falso, scritto in tarda età, costituisce una forma di denuncia assoluta del denaro, inteso come mezzo di corruzione. Questo potrebbe far scivolare la sua concezione in soluzioni alquanto utopistiche, e in questo senso potrebbe aver giocato un ruolo importante il suo appoggio alla filosofia di Rousseau. Ne deriva infatti un auspicio al ritorno a forme sociali premoderne, come è suggerito dalle pagine di Anna Karenina che descrivono lo stile di vita di Levin, fondato sul solo lavoro della terra, e ideale modello di vita secondo Tolstoj [7].
Lo slancio pacifista di Tolstoj si traduce, sul piano teorico, anche in una feroce critica allo Stato e alle sue istituzioni, ritenuti responsabili delle guerre che da sempre rendono vittime gli ultimi e conquistano vantaggi per i potenti. Da questo punto di vista, il pensiero socialista e quello pacifista non hanno offerto delle valide interpretazioni e soluzioni del fenomeno bellico; essi lo considerano rispettivamente come un evento casuale, dovuto ad una sfavorevole situazione politica, oppure come un evento fatale [8]. Entrambi avrebbero proposto un superamento dei momenti di conflitto attraverso eserciti popolari: i pacifisti avvalendosi del concetto di guerra difensiva, i socialisti di quello di cittadinanza [9]. Mentre per Tolstoj resta necessario il valore della nonviolenza anche a fronte delle battaglie politiche e sistemiche.
Tolstoj, seguendo un tracciato che non differisce di molto da quello di Marx, sostiene che lo Stato in sé sia il prodotto della sottomissione di classi meno abbienti rispetto alle altre, e fino a che esisteranno gli stati, vi sarà anche la guerra. “La guerra finirà solo quando gli uomini considereranno sé stessi, non cittadini di un singolo popolo, ma di tutto il mondo.”[10]
Se sono diversi i nodi concettuali in cui la visione di Tolstoj diverge da quella marxiana, come lo stesso Lenin aveva inteso egli resta pur sempre un luminoso riferimento per il pensiero internazionalista, mira al raggiungimento di un traguardo storico di tipo emancipatorio. Liberatosi da ciò che lo opprime, ogni uomo dovrà diventare pieno padrone di sé stesso.
“- Come mi chiamo? Un uomo!
«Quanti anni hai?»
- Non conto gli anni, dico, e mi è impossibile il contarli perché sono stato e sarò sempre!
«Chi è tuo padre e tua madre?» mi chiedono.
- Non ho né padre, né madre, rispondo, eccettuato Dio e la terra: Dio è il padre e la terra è la madre!
«E riconosci lo Tsar?»
- Perché non riconoscerlo? Egli è il suo Tsar, ed io sono il mio.” [11]
Note:
[1] Si vedano i dialoghi di Nechljudov con i contadini in Tolstoj, Resurrezione, a cura di E. Guercetti, trad. di S. Vitale, Garzanti, Milano, 2022;
[2] Gandhi, Tolstoj, Più forte degli uomini, Lettere 1909-1910, trad. di L. Regoli, Bordeaux, 2023;
[3] Leroy Beauleau, L'empire de tsar, citato da Antonella Salomoni, Il pensiero politico e religioso di Tolstoj in Italia, Olshki, pag. 35-36;
[4] Diari 31/07/1891 tratto da Tolstoj e Marx. Oltre il marxismo, verso la nonviolenza, a cura di G. Gazzeri, Editrice Sankara, pag. 15;
[5] L’articolo compare anonimo nella rivista Proletarij, nel 1908 (seguito da altri due nel 1910 dedicati alla figura di Tolstoj) durante il soggiorno di Lenin a Ginevra;
[6] “Voi mi chiedete di scrivere per il vostro libro un articolo che tratti le questioni sociali ed economiche[...] Il vostro desiderio io non lo posso esaudire, innanzitutto perché non lo conosco, non lo posso conoscere e penso che nessuno possa conoscere queste leggi. In secondo luogo [...] anche se io credessi di conoscere le leggi [...] non mi prenderei la responsabilità di dirlo.”
[7] Bruno Milone, Denaro, Jaca Book, pag. 40.
[8] Isabella Adinolfi, Bruna Bianchi, «Fa’ quel che devi, accada quel che può» Arte, pensiero, influenza di Lev Tolstoj, Orthotes, 2011, pp. 177-179.
[9] La nonviolenza di Tolstoj arriva a prevedere una risposta pacifica anche ad eventi politici significativi. Dopo l’uccisione di Umberto I da parte di Gaetano Bresci, Tolstoj scrisse l’articolo Non uccidere! sostenendo che l’opposizione all’oppressione avrebbe potuto essere esercitata con la disobbedienza e l’obiezione di coscienza.
[10] Tolstoj, Il regno di Dio è in voi, trad. di S. Behr, Manca, Genova, pag. 149.
[11] Tolstoj, Resurrezione.