Critica allo stalinismo e democrazia socialista sono i temi al centro del Testamento politico del pensatore ungherese. Il libro, riedito quest'anno da Punto Rosso a cura di due specialisti lukácsiani come Antonino Infranca e Miguel Vedda, verrà presentato a Roma il 14 Dicembre.
di Lelio La Porta
Il mio amico di lunga data Antonino Infranca mi ha invitato a coordinare la presentazione del Testamento politico di György Lukács offrendomi, quindi, l’opportunità di tornare a riflettere sul pensiero di quello che, a buon diritto, può essere definito uno dei massimi pensatori marxisti non soltanto del secolo appena trascorso. D’altronde il nostro settimanale si è già interessato, di recente, con interventi del sottoscritto e di Renato Caputo, di Lukács; ma tornarne a scrivere non è di certo fuori luogo né, soprattutto, fuori tempo. E poi, l’occasione è troppo propizia per non approfittarne.
In primis, il titolo completo della raccolta antologica di scritti lukácsiani è Testamento politico e altri scritti contro lo stalinismo. In appendice l’interrogatorio della polizia sovietica nel 1941, a cura di Antonino Infranca e Miguel Vedda (Edizioni Punto Rosso, Milano 2015). I testi raccolti sono: Le visioni del mondo aristocratica e democratica, cioè la relazione tenuta dal filosofo ungherese alla conferenza sulla pace di Ginevra del 1946; I compiti della filosofia marxista nella nuova democrazia, relazione al convegno Internazionale che si tenne presso la Casa della Cultura di Milano tra il 18 e il 21 dicembre 1947; Libertà e prospettiva: una lettera a Cesare Cases; Oltre Stalin del 1969; Epistolario con János Kádár sul caso Dalos-Haraszti del 1970; Testamento politico, testo di un’intervista rilasciata da Lukács fra il 5 e il 15 gennaio del 1971 (morirà il 4 giugno) e pubblicata per la prima volta in ungherese nel 1990. Il testamento politico è stato tradotto per la prima volta in spagnolo, cioè in una lingua diversa dall’originale, proprio da Infranca e Vedda e pubblicato nel 2003 in Argentina (Ediciones Herramienta, Buenos Aires 2003). In italiano, prima di oggi, è comparso in appendice al volume di Tibor Szabó, György Lukács. Filosofo autonomo (La Città del Sole, Napoli 2005).
Prima di affrontare gli scritti lukácsiani, è obbligo menzionare i meriti, non soltanto di traduttore e di curatore, ma soprattutto di assiduo e coerente studioso, di Antonino Infranca. Si tratta, infatti, di uno dei massimi specialisti del pensiero e dell’opera di Lukács a livello internazionale e, oggi, penso senza dubbio, del massimo studioso italiano del pensiero lukácsiano. Ha messo così a frutto i lunghi anni di ricerca presso l’Archivio Lukács di Budapest e la rielaborazione attenta e scrupolosa dei materiali rinvenuti sottoposti ad una stringente operazione di rilettura critica e di attualizzazione. In questo si è avvalso anche del lungo soggiorno argentino nel corso del quale ha conosciuto studiosi lukácsiani di quell’area politico-culturale, primo fra tutti Miguel Vedda (a cui si deve, fra le altre, la traduzione in spagnolo del Faust di Goethe), il confronto e la collaborazione con i quali gli ha permesso di pubblicare una notevole mole di scritti inediti di Lukács, oltre a produrre diversi lavori su Lukács.
Al centro degli scritti di Lukács, raccolti nel volume edito da Punto Rosso, si trovano due temi: la critica dello stalinismo e la vexata quaestio della democrazia socialista. Sulla prima questione, lo scritto Oltre Stalin del 1969 offre diverse risposte [1]. Usando una tonalità autobiografica, il filosofo spiega i suoi rapporti con Stalin e la sua politica prendendo nettamente le distanze da tutti quegli intellettuali che, mescolando Stalin con il socialismo, mentre sottoponevano a critica il primo contemporaneamente rigettavano anche il secondo: “Ho sempre respinto quel tipo di critiche che, insieme ai metodi staliniani, rifiutano anche il socialismo” (p. 88). E subito dopo: “Credo di poter dire con tranquillità che fui, oggettivamente, un nemico dei metodi stalinisti, anche quando io stesso credevo di seguire Stalin” (p. 89). Fu Lukács un onesto dissimulatore alla stessa maniera di Croce nei confronti del fascismo? Resta il fatto che il filosofo ungherese (rispetto a quello italiano che andava indisturbato a incontri internazionali mentre altri intellettuali finivano in galera, al confino o randellati e ammazzati dagli squadristi oppure si ritraeva dal suo impegno di Senatore del Regno, come avvenne nel caso del voto sulle leggi razziali), come testimonia l’Appendice dell’antologia di cui si sta scrivendo, fu sottoposto ad interrogatorio dalla polizia sovietica nel 1941. I motivi dell’arresto del filosofo, all’epoca a Mosca presso l’Istituto Marx-Engels-Lenin, sono messi in evidenza da Infranca nell’Introduzione al verbale dell’interrogatorio e risultano essere tipici di un clima diffuso di sospetto alimentato anche dall’attacco nazifascista all’Urss. Lukács riconobbe i suoi errori teorico-politici che reputò tali anche in epoche successive e senza aguzzini ad interrogarlo. Per il resto, l’atteggiamento è sereno e disteso e in nessun caso l’accusato rivelò nomi o fece menzione a fatti che potessero essere ritenuti criminosi da chi lo interrogava: “Non ho mai compiuto alcun genere di tradimento contro il partito comunista e l’Unione Sovietica” (p. 158).
Seconda questione: la democrazia socialista. Tutto il testamento politico ruota intorno al tema e riprende molte delle riflessioni svolte dal filosofo nel suo scritto del 1968 sulla democratizzazione [2]. Partendo da un terminus a quo (“…nego che qui in Ungheria si possa parlare di una democrazia realizzata”: p. 102), il filosofo sviluppa il suo ragionamento muovendo da Lenin e, attraverso il nesso strettissimo fra cultura e lavoro, perviene a conclusioni che sono la negazione esplicita dello stalinismo e l’affermazione della democrazia come autogestione, come capacità dei cittadini di riunirsi per operare le richieste più svariate (Lukács fa l’esempio della mancanza di una farmacia in una strada di Budapest: p. 123) ma sempre finalizzate alla migliore organizzazione e realizzazione di quelle questioni che sono concrete e importanti per la vita quotidiana. La democrazia è per Lukács quell’insieme di regole che garantiscono il potere di intervento dei cittadini nella vita politica che, però, non sarebbe possibile se fra i cittadini stessi non ci fosse un rapporto vivo e attivo e se i cittadini, a loro volta, non intrattenessero un rapporto altrettanto attivo con la società nella quale vivono che ha il suo elemento distintivo nel contenuto umano rappresentato da ogni singolo individuo che fa parte di quella specifica formazione economico-sociale. In questo senso essere con l’altro uomo assume un senso in quanto l’altro non è più un limite alla nostra azione bensì coopera con noi, è di aiuto e, per questo, è accolto.
Il libro sarà presentato a Roma il giorno 14 dicembre alle ore 18 presso la sala dell’Associazione “Esquilino domani” in via Galilei, 53. Oltre al curatore e traduttore Antonino Infranca sarà presente János Kelemen, professore emerito dell’Università ELTE di Budapest, membro dell’Accademia ungherese delle Scienze e direttore, fra il 1990 e il 1995, dell’Accademia d’Ungheria in Roma nonché autore di importanti monografie e saggi.
Mi sia consentito chiudere con una nota autobiografica: con Infranca e Kelemen abbiamo passato importanti e piacevoli giornate a Budapest fra discussioni e propositi per il mondo che avremmo voluto per il domani e che non è, di certo, quello di oggi. Sarà, quindi, per me un momento molto particolare sedermi fra loro due e introdurre la serata.
Note
1. Si tenga presente anche N. Tertulian, Lukács e lo stalinismo in Lukács-Hofmann, Lettere sullo stalinismo, Bibliotheca, Gaeta 1993.
2. G. Lukács, L’uomo e la democrazia, a cura di A. Scarponi, Lucarini, Roma 1987; ora anche G. Lukács, La democrazia della vita quotidiana, a cura di A. Scarponi, manifestolibri, Roma 2013.