I limiti borghesi alla realizzazione dei diritti umani

Marx mostra come nella società borghese, in quanto tale, i tanto rivendicati diritti umani non potranno mai essere realizzati


I limiti borghesi alla realizzazione dei diritti umani Credits: https://cild.eu/blog/2017/02/07/una-risoluzione-per-proteggere-i-difensori-dei-diritti-umani/

Le generalità e i concetti giuridici tendono ad apparire nella società borghese come potenze misteriose, quale conseguenza necessaria dell’indipendenza acquistata dai rapporti sociali reali di cui sono espressione. Oltre a questo valore che assumono nella coscienza comune, queste generalità acquistano ancora un valore e uno sviluppo particolare a opera dei politici e dei giuristi borghesi, i quali sono assegnati al culto di questi concetti in seguito alla divisione del lavoro e tendono a vedere in essi, e non nei rapporti di produzione, il vero fondamento di ogni reale rapporto di proprietà. Ciò è particolarmente evidente nella società borghese in cui il fondamento della sfera del diritto è da ricercarsi nel diritto privato.

La borghesia sostiene che tutti gli uomini sono uguali davanti al “denaro” (bianchi e neri, liberi e schiavi, uomini e donne): basta averne! In teoria, cioè, la borghesia afferma che tutti, volendo, possono procurarselo e con esso dominare chi non lo possiede. È, come si può notare, un'uguaglianza puramente formale, poiché, di fatto, il denaro può essere procurato solo a determinate condizioni, quelle appunto imposte dalle classi sociali egemoni e dai blocchi sociali dominanti a livello internazionale.Marx polemizza con l’intellettualismo dell’eguaglianza astratta del diritto che non tiene nel giusto conto la differenza, quindi non è razionale come dovrebbe essere il diritto comunista quale unità della identità e della differenza. Del resto lo stesso sorgere dello stato di diritto è prodotto dell’emancipazione dell’uomo dai vincoli personali fondati sul privilegio feudale, dalla lacerazione fra sfera astratta della politica e dominio del particolare economico. Come osserva a ragione Bernard Bourgeois: “i diritti dell’uomo sono quelli dell’individuo egoista, mentre i diritti del cittadino sono quelli dell’individuo che si apre a una preoccupazione [di carattere] universale” [1].

Del resto, i diritti dell’uomo sono il portato storico di associazioni umane sempre più complesse e non hanno nulla di naturale, di pre-sociale. Tanto più che, come osserva a ragione Cerroni, “se l’individuo naturale o uomo di natura è realmente da pensare come presociale, esso non può essere caricato di valori (eguaglianza, libertà, proprietà) che, come tali, sono necessariamente un portato della relazione sociale” [2]. Del resto, come sottolinea a ragione Marx, “le astrazioni più generali sorgono solo dove si dà il più ricco sviluppo del concreto, dove una caratteristica appare comune a un gran numero, a una totalità di fenomeni. Allora, essa cessa di poter essere pensata soltanto in una forma particolare” [3].

Le determinazioni storiche e sociali, solo astrattamente negate nella determinazione formale dell’uomo in quanto tale, si vendicano ripresentandosi acriticamente nella sua determinazione solo apparentemente formale. In altri termini, “la persona indipendente o persona-valore risulta, dunque, alla analisi di Marx non già come un dato presociale, ma invece proprio come articolazione teorica di una società storicamente determinata. La sua assunzione comporta quindi necessariamente la riassunzione dell’intera relazione sociale oggettiva e storica che si voleva trascendere” [4].

Analogamente, nella loro veste storica borghese i diritti dell’uomo sono reificati in quegli assetti proprietari che essi consacrano e su cui si fonda una compagine statuale in cui la sovranità è solo formalmente popolare, mentre è realmente sussunta ai rapporti sociali di proprietà e produzione. In effetti, come osserva con il consueto acume Bourgeois: “in realtà, i diritti del borghese non rappresentano realmente i diritti dell’uomo quanto, piuttosto, quelli delle cose che la borghesia consacra, presentando i suoi diritti come diritti umani: essi non affermano ‘la sovranità dell’uomo’, ma ‘la sovranità della proprietà’ (Lettera di Marx a Ruge del 1843)” [5]. Tale attitudine è funzionale alla riproduzione delle differenze sociali della società civile e, dunque, è funzionale solo agli interessi dei possessori dei mezzi di produzione.

La scissione nella società borghese fra proprietari e non proprietari è sancita e naturalizzata dal diritto, come l’unità immediata fra privilegio politico e dominio economico era santificata dalla religione medievale. Perciò, osserva acutamente Cerroni: “si ha così la inopinata conclusione che la relazione sociale che traspare dalla concezione giusnaturalistica dell’uomo per natura libero e indipendente si identifica proprio con la reale condizione moderna dell’uomo: la condizione delineata dalla emancipazione di tutti gli uomini da vincoli di diretta dipendenza sociale (dalla schiavitù e servitù personale)” [6]. Del resto, come sottolinea a ragione Eustache Kouvélakis: “il diritto in quanto tale esiste solo in questo atto stesso che costituisce lo Stato politico astratto e la società civile borghese scomposta in individui indipendenti, liberati dai legami tradizionali, di carattere personale, dell’epoca feudale. Esiste quindi a partire da questa scissione che esso esprime, o che traduce, proprio come la religione esprimeva e traduceva l’antica unità che legava le diverse sfere di attività del mondo feudale” [7].

L’apparente contraddizione fra diritti del bourgeois e diritti del citoyen si risolve nel loro fondamento comune nel diritto su cui si struttura lo Stato moderno, ma non nell’immediata unità che riporterebbe al mondo feudale, ma nella loro differenza non indifferente ma gerarchica. La realtà della struttura economico-sociale sottopone a sé le sovrastrutture ideali politiche proprio nell’identificazione di un diritto la cui determinazione fondamentale è il diritto privato. Perciò, fa notare Bourgeois: “diritti dell’uomo e diritti del cittadino rivelano la loro unità in quanto sono gli uni e gli altri dei diritti, e che uno Stato che stabilisce come suo fondamento il diritto esprime nella e mediante la sua idealizzazione civica, ovvero la realizzazione assoluta della società civile che libera pienamente il suo principio egoistico” [8].

Del resto, come ricorda Marx nella nota Prefazione del 1859 a proposito della sua Critica del diritto pubblico hegeliano: “la mia ricerca arrivò alla conclusione che tanto i rapporti giuridici quanto le forme dello Stato non possono essere compresi né per se stessi, né per la cosiddetta evoluzione generale dello spirito umano, ma hanno le loro radici, piuttosto, nei rapporti materiali dell’esistenza il cui complesso viene abbracciato da Hegel, seguendo l’esempio degli inglesi e dei francesi del secolo XVIII, sotto il termine di ‘società civile’; e che l’anatomia della società civile è da cercare nell’economia politica” [9]. A questo proposito ne La sacra famiglia “Marx, riprende e conferma, ma concretizzandole, le analisi de La questione ebraica, sottolineando che tale unità della coppia: Stato-società borghese, è sorretta e animata mediante il suo momento reale, cioè mediante la società borghese, che si fa e si dice mediante lo Stato e il suo diritto” [10].

Certo, può sempre darsi uno “sviluppo ine­guale” dei rapporti di produzione nei confronti dei corrispettivi rapporti giuridici; per­ciò la rappresentazione giuridica di determinati rapporti di proprietà, per quanto derivi da essi, è a sua volta, d’altro canto, non congruente e può essere non congruente con essi. Ciò non toglie che per Marx la verità dello stato di diritto – anticipata già dai suoi primi elaboratori, Hobbes e Machiavelli, e occultata dai più tardi apologeti – è la forza, fondata sulla strutture della vita materiale degli individui, indipendenti dalla loro volontà soggettiva. Se si prende il potere come base del diritto, come fa Marx riprendendo Machiavelli e Hobbes, il diritto, la legge, ecc. non sono altro che sintomo, espressione di altri rapporti, sui quali riposa il potere dello Stato. La vita materiale degli individui, che non dipende affatto dalla loro pura “volontà”, il loro modo di produzione e la forma di relazioni che si condizionano a vicenda, sono la base reale dello Stato e continuano a esserlo in tutti gli stadi nei quali sono ancora necessarie la divisione del lavoro e la proprietà privata, del tutto indipendentemente dalla volontà dei singoli.

La sanzione giuridica dell’eguaglianza dinanzi alla legge dei cittadini dello Stato, che formalmente chiude il secolare dominio della schiavitù e del servaggio, ma realmente li conserva nelle concrete esclusioni dalla cittadinanza, sancisce la pari dignità della persona, ma occulta la differenza reale nei rapporti di proprietà, ovvero la suddivisione della società in proprietari dei mezzi di produzione e proprietari della sola forza-lavoro. Perciò, come ricorda Cerroni, “concludendo la polemica teorica contro la schiavitù Kant parifica gli individui come persone e quindi fonda l’eguale dignità o soggettività umana di tutti, ma in quanto, poi, la parificazione suddetta è soltanto una eguaglianza di dignità (trascendente cioè il rapporto sensibile del lavoro), essa ha necessariamente per contenuto un rapporto sensibile determinato: appunto il rapporto tra proprietario privato e l’‘operaio a mercede’, sollevato ormai a forma del rapporto ‘tra persone’” [11].

In tal modo, la vuota identità formale finisce così per darsi quale contenuto la differenza esistente. Così per la più parte dei cittadini l’eguaglianza giuridica, la libertà personale, il diritto alla proprietà individuale si riducono alla piena disponibilità di alienare quale merce di infimo valore la propria forza-lavoro e, per un certo tempo, quella della propria prole. Così “per l’operaio a mercede (il salariato moderno) essere titolari di personalità si riduce insomma a questa endiadi: effettiva disponibilità di se stesso (come merce cedibile a tempo) e possibilità di disporre di qualcosa d’altro dal proprio corpo, mentre per l’altro soggetto la dignità di persona consiste effettualmente nella disponibilità delle forze sensibili altrui. Per l’uno il proprio corpo è soltanto una passività, per l’altro le forze sensibili altrui sono un mezzo di godimento” [12].

L’uomo non può realizzare dunque, a parere di Marx, il proprio concetto nella società politica-borghese, ma solo in un assetto sociale che sia in grado di superarne il contraddittorio dualismo fra società e Stato, il che comporta il progressivo togliersi dei contrari in un nuovo fondamento. Se Marx aveva criticato i giovani hegeliani per aver voluto i rapporti giuridici della società borghese, i diritti umani, senza comprendere che essi richiedevano un rivolgimento dei rapporti di produzione tedeschi ancora ancorati all’ancien régime, in seguito critica le illusioni socialdemocratiche di chi pretendeva mantenere, anche dopo la socializzazione dei grandi mezzi di produzione, la sovrastruttura giuridica propria della realtà borghese. Tanto più che anche questa sovrastruttura giuridica dei diritti umani nella società borghese è destinata a rimanere per lo più ideale ed ha validità reale, secondo Marx, soltanto nella sfera fenomenica della circolazione.


Note

[1] Bernard Bourgeois, Philosophie et droits de l'homme: de Kant à Marx, éditions PUF, Parigi 1990, p. 104.
[2] Umberto Cerroni, Marx e il diritto moderno, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 246.
[3] Karl Marx, Introduzione a “Per la critica dell’economia politica” [1857], in Marx-Engels, Le opere, Editori Riuniti, Roma 1971, pp. 734-35.
[4] U. Cerroni, op. cit., p. 257. Da questo punto di vista Marx prende le mosse e sviluppa il pensiero di Rousseau: “si capovolge così la secolare tradizione della natura e della unità originaria da riconquistare in un ritorno all’età dell’oro o al grembo del Creatore, la dottrina del progresso subentra alla dottrina della perduta età dell’oro. La storicità, cioè, trascesa nella costruzione dell’ipotesi logica si rivela come il contenuto reale non-riconosciuto di quella stessa ipotesi” ivi: p. 248. Tanto che Marx, dal punto di vista concettuale, dà sostanzialmente per scontata la critica al presunto naturalismo astorico dei diritti umani. Tanto che già il giovane Marx si fa beffe del provincialismo dei giovani hegeliani che si vantavano d’aver scoperto qualcosa che francesi e inglesi avevano smascherato da oltre un secolo.
[5] Bernard Bourgeois, Philosophie…, op. cit.,p. 109.
[6] U. Cerroni, op. cit., p. 247.
[7] Eustache Kouvélakis, Critica della cittadinanza; Marx e la “Questione ebraica”, tr. it. di N. Augeri, in “Marxismo Oggi” 1, Milano 2005, p. 71.
[8] B. Bourgeois, op. cit., p. 107.
[9] K. Marx, Per la critica dell'economia politica [1859], Editori Riuniti, Roma 19693, p. 4.
[10] B. Bourgeois, op. cit., p. 108.
[11] U. Cerroni, op. cit., p. 254.
[12] Ivi, p. 255.

23/02/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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