Il testo è tuttora uno dei più rappresentati al mondo perché riesce a demitizzare un mito contemporaneo quello della coppia aperta che però funziona solo se è l’uomo a spalancare le porte del libero amore, quando lo fa la donna iniziano i problemi. Franca Rame, autrice del testo, riesce a svelare l’ipocrisia dei rapporti coniugali scegliendo il punto di vista apparentemente più debole quello della donna che si dimostra invece capace di costruire la propria liberazione, rovesciando sulla scena i rapporti di potere esistenti nella famiglia e nella società. Assoluta protagonista è infatti la moglie, che guida per mano il pubblico nella spiegazione della storia intrecciando diversi piani temporali ottenendo per questa via una forma originale di estraniazione brechtiana che induce lo spettatore contemporaneamente a divertirsi e a ragionare. Nel precedente Tutto casa letto e chiesa (1977) questa centralità femminile è data dal monologo, in questa successiva del 1981 Franca riesce a mantenere la forza del personaggio femminile anche con ben quattro personaggi maschili, il marito, l’amante, fisicamente sulla scena, il figlio interpretato dalla madre e lo psicologo addirittura parodiato dalla donna. Sulla scena quindi il peso della commedia è tutto sulle spalle dell’attrice, come se un faro di luce la illuminasse permanentemente; agli attori resta solo la possibilità di dimostrare la loro bravura di spalle. I Commedianti, che nella vita svolgono altri lavori e calcano le scene per una irrefrenabile passione, si dimostrano anche in questa occasione all’altezza della situazione, delle difficoltà dell’interpretazione: da attori veri, per non dire consumati dall’esperienza. Semplice e funzionale la scenografia e la regia di Luciano D’Arpino con nascosti i due centri nevralgici della narrazione il bagno e il balcone luoghi dei tentativi di suicidio; essenziali i movimenti dei protagonisti sul palco di piccole dimensioni che li obbligano a una interpretazione quasi coreografica in cui riescono entrambi. Azzeccata l’idea di far introdurre e concludere la commedia dalle note e parole della canzone di Giorgio Gaber Chiedo scusa se parlo di Maria che da sola segna il tempo di un’epoca passata e l’attualità del testo e la necessità della sua rappresentazione. Sobria e funzionale l’interpretazione del marito progressista in crisi di un Angelo Tiziano Cesana che per l’occasione si esprime con un eloquio vagamente emiliano. Straordinaria Francesca Di Fazio che approfitta della vicinanza del pubblico dal palco per arricchire la recitazione usando anche movimenti impercettibili della mimica facciale come nella parodia dello psicologo con la pipa in bocca. Una moglie con la pistola che sa cambiare il registro dal tragico al comico e viceversa anche solo con un movimento delle sopracciglia Tutto esaurito per un pubblico pagante di una cinquantina di persone (come sempre per questo spettacolo per lo più femminile) che ha applaudito convintamente. Il teatro Saletta delle Arti di Frosinone con le pareti affrescati di dipinti della scuola di disegno in via Matteotti, di cui quest’anno ricorre il centenario dell’assassinio, ospiterà anche il nuovo spettacolo della Compagnia Finevitamai di Luciano d’Arpino e da settembre una serie di attività teatrali aperti ai più giovani. Viene da pensare che rispetto al vuoto delle discussioni che si ascoltano in questa televisiva campagna elettorale se si vuole trovare la Politica occorre tornare a teatro in un piccolo spazio nella provincia.
Franca Rame è viva e recita insieme a noi.