Giano bifronte
E mentre noi leggiamo e scriviamo parole, il mondo si avvita su sé stesso, prigioniero degli interessi di sempre. Una nuova poesia di Giuseppe Vecchi.
- di Giuseppe Vecchi
- 23/02/2019
- Cultura
Li abbiamo visti partire
dolenti e stravolti lungo la carretera
una ciambella infilata nel bastone
un fagotto di stracci sotto al braccio.
Volti persi nel nulla
alla ricerca di un impossibile sogno
del riscatto smarrito nel vuoto.
Ci siamo sorpresi e non riuscivamo a capire
anche perché nessuno
ci ha detto nulla di loro,
così come non ci avevano spiegato
di Manuel Zelaya e dell’ennesimo golpe
né mai ci dissero di Berta Caceras
e di tanti altri come lei
fragili foglie nel vento
spezzate col macete.
Ma ora che le frontiere si chiudono
e l’ipocrisia si riversa sull’ultimo male
non ci dicono che l’alternativa era peggiore
che proprio con lei si consumò
il primo affronto
alle madri in lacrime
ai fanciulli scalzi tra case di cartone.
Perché il sistema è un Giano bifronte
in cui la nuova frontiera
finì nella Baia dei Porci
o a fare guerra in Vietnam.
E poi scopri che Medgar, Malcolm e Martin
finirono tutti i loro giorni con governi liberal
mentre fu un uomo di nome Abraham
a ridare dignità al Riso nero di Sherwood
e anche lui gettò il sangue per questo,
mentre l’altra faccia del dio si chiama Richard
che sedeva con Augusto in macabri banchetti
e poi George che fece cadere le torri
trascinando nella loro rovina l’eco di una guerra infinita.
E mentre noi leggiamo e scriviamo parole
il mondo si avvita su sé stesso
prigioniero degli interessi di sempre,
perché l’importante è avere qualcosa in cui investire
siano anche multinazionali della frutta
o compagnie petrolifere e del rame.
Di una cosa mi rammarico:
che queste parole
non possano salire graffiando il cielo
a rigare quell’azzurro
con strie rosse di sangue,
che esso non goccioli sul mondo
a svegliare i troppi indifferenti
che Antonio odiava.
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23/02/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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