Dialoghi tra l'Ade e l'Olimpo di Giuseppe Vecchi - Ecco il racconto “Orfeo”

Giuseppe Vecchi, autore di molte poesie pubblicate su La Città Futura, ci presenta il suo nuovo libro, una serie di dialoghi mitologici sulla falsariga dei Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese.


Dialoghi tra l'Ade e l'Olimpo di Giuseppe Vecchi - Ecco il racconto “Orfeo” Credits: la copertina del libro Dialoghi tra l'Ade e l'Olimpo di Giuseppe Vecchi

Dopo avere ospitato le sue numerosissime e delicate “poesie di classe” sulle pagine di questo giornale (leggi l’ultima qui) e il trailer della sua opera teatrale contro la guerra “Ifigenia”, dedichiamo con piacere nuovo spazio all’autore casentinese, oggi autore di un nuovo libro, in prosa, dal titolo “Dialoghi tra l’Ade e l’Olimpo” ovvero “Nuovi dialoghi con Leucò”, Altro Mondo editore, pubblicato il 1 febbraio 2019, presentato di seguito. (La redazione)

Il libro

Dialoghi tra l’Ade e l’Olimpo” ovvero “Nuovi dialoghi con Leucò” è una raccolta di 26 racconti brevi in forma dialogica. Gli argomenti trattati sono i principali che interessano l’esistenza degli uomini. Si va dall’amore e l’amicizia (L’amore, L’abbandonata, Rapporto fraterno, Una fiaba, Stelle), al problema della vita e della morte (Il canto, L’appuntamento, Immortalità, La prigione, L’amico di Leucotea), al principio di tutte le cose, esistenza dell’essere anziché del nulla (Il principio), alla continua ricerca della conoscenza e dei suoi limiti (I limiti, Il volo), ai rapporti economici, politici e sociali (Donne guerriere), ai rapporti col divino e con la religione (L’alterità, La spuma, L’oracolo, La trinità), alla condanna della guerra (Gli eroi), ai problemi della psiche (Lo specchio), al tempo che tutto annulla (La rete), al labile senso del tutto e dei suoi limiti (Richiesta impossibile, L’esplosione), all’arte e alla poesia (La dama bianca, Un artista), sino al destino (Vaticinio).

Ovviamente, in ognuno di questi dialoghi, oltre al motivo principale, più o meno preponderante, se ne intrecciano anche altri, se pure meno approfonditi.

Un racconto tratto dal libro: “Orfeo”

Questi nuovi “Dialoghi con Leucò”, di cui lo scorso anno ricorreva il settantesimo anniversario della pubblicazione, vogliono anche essere un omaggio a Cesare Pavese. Essi si aprono con quel “Perché ti voltasti?” che Pavese fa implicitamente domandare a Orfeo dalla Baccante. Qui invece è Dioniso a porre esplicitamente la stessa domanda al mitico cantore tracio. In fondo, anche Pavese si è voltato; un po’ come fece Orfeo, ma nell’occasione non ha perso la sua Euridice, ha perso sé stesso. La chiusura è un dialogo a tre (l’unico della raccolta in cui sia presente una terza voce) tra Dioniso, Apollo e Pavese stesso, con un richiamo a quell’ Orfeo e al suo gesto come a chiudere il cerchio. La raccolta è dedicata anche a mio nonno, che di nome faceva Orfeo.

Il canto.

Che le Menadi sbranassero Orfeo è cosa nota, come è noto il fatto che la sua testa continuasse a cantare anche dopo morto. Meno chiaro è come le Menadi poterono aver ragione di un semidio, e perché Dioniso non sia intervenuto a placare l’ira delle sue seguaci. Il mito riporta la rivalità tra Dioniso e Apollo all’origine di tutto, ma noi qui preferiamo immaginare un’altra motivazione per spiegare quei fatti.

Dioniso: Perché ti voltasti?

Orfeo: Capii questo negli Inferi: non si può rinascere una volta già morti. Può rinascere il corpo, può riaversi il colore, la forza e il profumo, ma lo spirito no: ha passato un confine che non ammette ritorno. Sarebbe solo finzione, un continuo strazio colmo di paura.

Dioniso: Strazio è parola tremenda.

Orfeo: Anche paura è tremenda. Sta sospesa nel vuoto, ti segue ogni istante, nasconde un abisso: forse è ancor più tremenda.

Dioniso: Quale mostro può lacerare l’anima e il corpo a chi, già sceso negli Inferi, ne conosce le ombre? Che può temere di peggio?

Orfeo: Desiderare la morte. Esser morti da vivi è peggior che morire. Non potevo chiederle questo.

Dioniso: Non basta dunque il canto che fa piangere le Eumenidi, le rocce coinvolge e fa vivere, a cancellare un passato?

Orfeo: Il passato rimane, incombe sul tuo respiro e sull’anima. Lo nascondi e lui torna, si affaccia dalle colonne del tempio, ti guarda nascosto, poi addosso ti piomba, ti ghermisce con l’unghie, ti stringe al suo petto, ti bacia alla bocca. Tu sei suo e non ti muovi, sei un cerbiatto preso nel prato, non hai forza e volere. Ti abbandoni e lo segui.

Dioniso: Così debole è dunque il cuore dell’uomo, da non saper ritrovare la strada della gioia, della speranza, la luce della vita, degli affetti i sapori? Vi arrendete subito al nulla?

Orfeo: Non è nulla e lo sai. È il destino, il domani, il comune traguardo. Quando l’hai dentro te stesso, tu più non esisti. Ti illudi un momento, a nuova vita portato, ma presto tutto svanisce, resta solo il richiamo che ricorda il reale.

Dioniso: E il reale è la morte?

Orfeo: Vi è un tempo per essa e un tempo per vivere. Ma il vivere è un lampo soltanto, la morte infinita. Si svanisce nel vuoto.

Dioniso: La morte è qualcosa. Pure un sogno non svanisce e si vive.

Orfeo: Ma rimane sempre illusione. Se scompare non ne resta più di un sospiro.

Dioniso: Anche un sospiro è qualcosa. Ma tu volesti perdere tutto.

Orfeo: Qual colpa mi addossi? Per cosa mi vorresti punire?

Dioniso: Già da solo fai questo abbastanza: perdesti Euridice e quasi sembrava che la cosa te non toccasse.

Orfeo: La prima volta che mancò piansi e disperai il cuore. Non così la seconda: accolsi il lutto come dovrebbe chi già conosce il destino, e rassegnato e muto se ne sta sotto la grandine del dolore. Non concedetti al volto spietato dell’apparente nonsenso di ogni cosa più di un amaro sorriso, ed un discreto ricordo che ogni tanto riaffiora.

Dioniso: Ora schivi gli amori che il mondo ti offre.

Orfeo: Tanti si affidano al mio canto ammaliante. Ma io vivo lontano da ogni tentazione che la carne ci offre. Ancor ieri, scendevo giù al fiume, e, nascoste nel bosco, alcune donne discinte, nell’edera avvolte, mi guardavano strane. Mi seguirono sinché tornai sui miei passi; solo allora si ritirarono e sparirono tra le felci e i noccioli, ma le vidi negli occhi, e il loro sguardo invasato mi suggerì essere tra quelle che si fan tue seguaci.

Dioniso: Delle Menadi, intendi?

Orfeo: Quelle che, selvagge, nelle orge si gettano. Non le temo, ma, se ripenso all’incontro,

intuisco le loro intenzioni. Vorrebbero amarmi, ma mi sanno lontano. Mi san morto nel cuore. Forse un’altra morte in loro mi attende.

Dioniso: Tu sai certo che terribile fine sarebbe. Se prese dal nettare, di tutto fan scempio. Anche il corpo di un uomo ridurrebbero in brani.

Orfeo: Io sono già morto, non ne temo la furia.

Dioniso: Hai un potere invincibile che legherebbe anche loro.

Orfeo: Qual potere ora invochi?

Dioniso: Quello del tuo canto celeste, che ogni cosa sospende. Con la voce e col suono anche Zeus e gli altri Dei tu potresti piegare. Come ottenesti la resa di Ade e il complice assenso di Persefone, anche il cuor d’Afrodite e l’abbraccio di Artemide strapperesti all’Olimpo. Quando canti non solo alberi e fiumi si sospendono attenti, ma dai gioghi celesti si sporgono i Numi per restarne estasiati.

Orfeo: E le Menadi, tu pensi farebbero anch’esse altrettanto? Sensibile credi il cuor loro al mio vibrar della voce? O anche quel canto vorrebbero far tacere per sempre, prese dal terribile fremito?

Dioniso: Il tuo canto è invincibile, perché in esso è nascosto il respiro del mondo, ogni sguardo e destino. Come luce e bagliore accecherebbe i lor occhi; più di tutte le vigne sarebbe dolce liquore. Loro lo sanno, e per questo in silenzio ti seguono. Ti amano e odiano allo stesso tempo. Ma non osano ancora toccarti. Non si sbrana un Dio facilmente.

Orfeo: Lo faranno domani, glielo leggo negli occhi. Tu pure lo sai. Attendono solo il momento che al loro cuore si leghi. Lo vedo nei sorrisi inquietanti che sovente in lor scorgo, in quei denti taglienti che scintillano al sole. Le loro orme, che sconvolgon le foglie, sembrano quelle di un branco di belve selvagge. Io sono sul loro sentiero; mi troveranno, lo so, e, insieme a me, anche il mio canto proveranno ad uccidere.

Dioniso: Ti preoccupi d’esso?

Orfeo: Di me stesso non curo.

Dioniso: Non ha fine il tuo canto. È ricordo per tanti, ha legato anche chi ha eterna memoria, si è distinto in imprese che i poeti diranno. Io non amo i poeti, che d’istinto e di sensi adorno i miei giorni. Pure in te vi è qualcosa cui non resto insensibile. Sento vibrare nella tua voce distesa le dimensioni e gli accenti che legano spirito e corpo. Se anche tu fossi morto, le tue note continuerebbero a fluire come l’acqua di un fiume, come il mare che trasporta le onde.

Orfeo: Le onde sulla spiaggia si frangono, non ne resta più nulla.

Dioniso: Ne resta il sospiro diffuso nell’aria, che richiama altre onde e altri suoni. Te l’ho detto.

Orfeo: Eterno è il tuo canto. Basterebbe che tu slegassi la voce, che toccassi quella lira che ha un nome, per fermarne l’ardore ed averle impotenti ai tuoi piedi. Potresti farne il tuo seguito, se soltanto volessi.

Orfeo: Non posso sempre cantare, per tutta la vita sognare e temere un ricordo. Se domani, anziché allontanarsi, decideranno l’assalto, chiuderò la mia bocca, Bistonia cesserò di pizzicare. Forse, solo da morto potrò cantare in eterno.

Dove trovare i “Dialoghi tra l’Ade e l’Olimpo”

Il libro è reperibile sia sul catalogo online della distributrice che su quello della casa editrice ai seguenti link:

https://www.cinquantuno.it/shop/altromondo-editore/dialoghi-tra-lade-e-lolimpo/

http://www.altromondoeditore.com/libri/dialoghi-tra-lade-e-lolimpo/

Disponibile su Amazon prime, mentre per acquistarlo tramite la distributrice Cinquantuno è necessario sulle opzioni di acquisto cliccare su "nuovo" e selezionare cinquantuno.it

Si trova inoltre in alcune librerie che ne abbiano fatto richiesta.

23/02/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: la copertina del libro Dialoghi tra l'Ade e l'Olimpo di Giuseppe Vecchi

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L'Autore

Giuseppe Vecchi

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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