La polarità idealismo-materialismo ha caratterizzato a lungo, e fino ai nostri giorni, il dibattito sulla relazione fra il pensiero di Hegel e quello di Marx. Ma si potrebbe tentare, come d'altra parte già è stato fatto, una lettura dei due filosofi che superi questa secca contrapposizione e lo schematismo che, a partire da Materialismo ed empiriocriticismo di Lenin, ha segnato uno dei nodi teorici più importanti in seno al movimento comunista.
di Aristide Bellacicco*
Prendo le mosse da un'arcinota definizione di Hegel, che si trova nella prefazione ai Lineamenti di filosofia del diritto, riguardante l'essenza della filosofia. "La filosofia" scrive Hegel in quel testo "è il proprio tempo appreso in pensieri." Scrutando bene in questa definizione si possono mettere in evidenza due cose:
- esiste qualcosa come "il proprio tempo"
- questo "qualcosa" non coincide con il pensiero ma è da quest'ultimo fatto proprio attraverso un processo di apprendimento
Il "proprio tempo" è dunque "esterno" al pensiero: fra le due istanze esiste una relazione ma non un'identità.
Un'analoga relazione si può rintracciare nel Marx della Introduzione alla critica dell'economia politica (1857). Scrive Marx in questo frequentatissimo testo: "Il concreto è concreto perché è la sintesi di molte determinazioni, cioè unità del molteplice... il metodo di risalire dall’astratto al concreto è il solo modo per il pensiero di appropriarsi del concreto, di riprodurlo come concreto nello spirito. Mai però il processo di genesi del concreto stesso."
È possibile sostenere che fra l'hegeliano "proprio tempo" e il marxiano "concreto" esista un'omologia di significato?
Questa domanda che, ovviamente, non sono il primo a pormi, si situa sul crinale affilato di una polemica che ha attraversato, con punte di impervia durezza, il dibattito teorico comunista e che, ancora oggi, mantiene una sua attualità. Vale a dire che qui ci troviamo dentro l'opposizione idealismo/materialismo che, a partire per lo meno da Materialismo ed empiriocriticismo di Lenin (1908), ha influenzato a lungo l'interpretazione che in campo comunista venne data di Hegel e, di conseguenza, del rapporto del suo pensiero con quello di Marx.
Quando parlo di "impervia durezza" intendo riferirmi, in particolare, allo scontro che oppose il giovane Lukács all'Internazionale Comunista in occasione della pubblicazione di Storia e coscienza di classe dello stesso Lukács. Anche allora i termini del dibattito, che per molti aspetti ebbe il tono di un vero e proprio processo, si concentrarono sull'endiadi materialismo/idealismo, e proprio di una sua caduta in quest'ultimo fu accusato il filosofo ungherese.
Il cuore della faccenda stava in ciò, che Lenin, nel testo citato, aveva posto al centro della sua polemica contro il machismo e il kantismo (che egli raggruppava sotto la categoria "idealismo") una lettura, direi estrema, di una affermazione che, effettivamente, è rintracciabile in Marx, vale a dire la nota formula de L'ideologia tedesca secondo la quale "non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza."
È opportuno, a mio avviso, mettere a confronto questa affermazione con il famoso passo del Capitale in cui Marx riconosce che la differenza fra il lavoro umano e l'attività animale (Marx utilizza come esempi un'ape e un architetto) risiede nell'essere il lavoro umano un'attività conforme allo scopo in cui tale scopo compare, letteralmente, come "sua legge".
E dunque: Marx pone o non pone, in questo passo, una dimensione ideale (il progetto dell'architetto) come "legge" di una attività umana inerente in modo determinato alla produzione materiale della vita umana stessa? Non sarebbe possibile, allora, accusare Marx di "idealismo"? Nel caso dell'architetto non è forse la coscienza - lo scopo come "legge" dell'azione - a generare l'essere? Ma torniamo alla domanda posta in precedenza sulla possibile vicinanza di significato fra il "proprio tempo" di Hegel e il "concreto" di Marx.
Quando Hegel stabilisce una non-identità fra "il proprio tempo" e il pensiero, non si pone forse in modo "materialistico" affermando che l'essere del tempo, o dell'epoca, precede il pensiero che è chiamato ad apprenderlo a riconoscerlo come suo contenuto? E quando Marx parla, nell'"Introduzione" citata sopra, di riproduzione del "concreto" nello spirito, sta dalla parte dell'idealismo o del materialismo? Che cos'è lo spirito se non quell'attività umana capace di ricostruire nel pensiero la totalità del reale e, proprio in virtù di ciò, di progettare nuove forme del reale stesso? E in quest'ultimo caso non sarebbe l'essere a seguire il pensiero?
Sicuramente, io credo, la tematizzazione di idealismo-materialismo ha risentito di un'epoca in cui attorno a queste parole, che oggi possono sembrare astratte e accademiche, si annodavano problemi politici gravi e non eludibili, primo fra i quali la situazione oggettiva nella quale era costretta a vivere e a svilupparsi l'Unione Sovietica.
Detto ciò, è necessario, io ritengo, essere consapevoli che l'ambito in cui si collocano queste riflessioni sembra oggi qualcosa di definitivamente consegnato al passato, una sorta di archeologia filosofica di cui il pensiero - o meglio l'ideologia dominante - non ha più alcuna consapevolezza perché tutto questo è diventato inutile. Utilizzo questo termine allo scopo di sottolineare la forma rozzamente utilitaristica in cui la classe dominante, ormai formata in massima parte da "mosche del capitale", nega di fatto qualsiasi forma razionale di conoscenza del reale. Ciò che negli anni venti-trenta dello scorso secolo aveva rilevanza teorica e politica in relazione all'effettivo sviluppo storico e alle polemiche che lo accompagnavano, giace oggi nelle maglie soffocanti del pensiero unico (benché il termine "pensiero" sia troppo nobile per indicare il nulla che occupa l'anima rinsecchita di ciò che resta della borghesia).
E anche questo Hegel e Marx ci hanno insegnato, vale a dire che nessuna epoca storica si pone problemi che non può risolvere. Ma, come diceva Marx, non si possono ordinare stanze nelle osterie del futuro.
Voglio concludere con un'ultima citazione da Hegel, poco frequentata, forse, ma che ci trasmette, in forma sintetica e smagliante, ciò che lo stesso Hegel intendeva per idealismo. "La proposizione - scrive Hegel - che il finito è ideale, costituisce l'idealismo. L'idealismo della filosofia consiste soltanto in questo, nel non riconoscere il finito come un vero essere". È possibile sentire in queste parole l'anticipazione della critica dell'economia politica sviluppata da Marx? E dunque della dialettica di Marx? Perché, ed è questo il punto che vorrei porre in evidenza, qui non si tratta di domandarsi se sia l'essere a precedere la coscienza o il contrario, ma di cogliere quel nesso che lega ogni determinazione al proprio opposto e dunque solo in questo nesso contraddittorio scorge la natura del reale al di fuori dell'isolamento empirista. "Il finito è ideale": dunque qualunque oggetto "in sé" è ideale. Il reale risiede nella relazione fra gli oggetti che solo una coscienza può porre e indagare. Quando Marx ci parla di "riproduzione del concreto nello spirito" non è sulla stessa lunghezza d'onda? E si tratta di materialismo o di idealismo?
*Collettivo di Formazione marxista Stefano Garroni