Bordiga il dimenticato

Ad un anno dal centenario della Rivoluzione d'Ottobre riprendiamo in modo critico le considerazioni del rivoluzionario napoletano.


Bordiga il dimenticato

La recensione del libro "La struttura economica e sociale della Russia d'oggi" (edizioni Lotta Comunista) offre la possibilità di avviare alcuni spunti di riflessione sul rimosso della storia del comunismo italiano. Un pensiero controverso quello dell'ingegnere napoletano, grande amico e rivale di Gramsci: l'analisi sulla storia della Rivoluzione d'Ottobre, sullo sviluppo economico in Urss, sul permanere di forme capitalistiche nelle campagne russe, ma anche l'astensionismo elettorale e il rigidissimo classismo. In vista del centenario del '17 bisogna che i comunisti di oggi tornino a fare i conti anche con lui.

di Stefano Paterna

Esiste un rimosso in ogni storia. Amadeo Bordiga lo è nel quadro della vicenda storica del movimento comunista italiano. Da questo punto di vista, la lettura de La struttura economica e sociale della Russia d'oggi (edizioni Lotta Comunista), ha costituito per l'autore di questo articolo lo spunto non solo per avvicinarsi a un filone intellettuale che mi era sostanzialmente ignoto, ma credo anche per alcune riflessioni di ordine generale sulla storia del comunismo e dei comunisti in vista del centenario della Rivoluzione d’Ottobre. 

In fondo, si tratta di affrontare una visuale di pensiero tutta interna al marxismo ma che è irriducibile agli schieramenti teorici che nel nostro stesso campo hanno avuto gran fortuna, sebbene spesso su versanti opposti: stalinismo, trotskysmo, maoismo, Nuova Sinistra e, soprattutto, la tradizione gramsciana.

Ora, forse costituisce il massimo della “dissacrazione” dedicare uno spazio su “La Città Futura” al grande nemico-amico del nostro amato Gramsci, ma sono convinto che sia un bene e il secondo segretario del Partito Comunista d'Italia lo avrebbe grandemente apprezzato.

Lungi da me qualsiasi tentazione di apparire (e di essere) esaustivo, la trattazione e il commento della lunga storia di Bordiga e della Sinistra comunista italiana e del loro apporto teorico è al di fuori delle risorse e delle conoscenze di chi scrive, ma mi riterrei soddisfatto se queste poche righe potessero stimolare altri contributi a un dibattito che, in ambito di formazione politica comunista, non potrebbe che arricchirci.

 

Il libro

La struttura economica e sociale della Russia d'oggi è, di fatto, una raccolta di articoli di Bordiga pubblicati su “Il programma comunista” tra il 1955 e il 1959. Gli articoli a loro volta riproducevano interventi del suddetto nel contesto di riunioni tematiche del Partito Comunista Internazionalista, organizzazione a cui Bordiga aveva in qualche modo aderito nel '45.

In più di 700 pagine (e con un linguaggio un po' astruso che, come diceva Costanzo Preve, pare a metà tra Totò e Benedetto Croce) vi si affronta tutta la tormentata storia della Rivoluzione nei suoi aspetti sia politici, sia economici e poi non si tralascia l'analisi dello sviluppo economico sovietico fino agli anni '50. Il volume è inoltre ricchissimo di dati economici tratti dall'analisi comparata delle statistiche ufficiali sovietiche, delle Nazioni Unite e di grandi stati capitalistici tra i quali gli Usa, la Francia e l'Italia.

In linea generale, Bordiga in queste pagine difende con vigore e rigore estremo le sue tesi che riassumiamo “barbaramente” così: la Rivoluzione d'Ottobre ha costituito un grandioso rivolgimento sociale di quel Paese che Marx aveva considerato l'esercito di riserva della reazione in Europa. Essa ha assicurato la fine del “mattatoio” della Prima Guerra Mondiale e ha distribuito, in qualche modo, la terra ai contadini, strappandola ai grandi proprietari borghesi e aristocratici. Tuttavia, in assenza di una rivoluzione socialista nei Paesi a maggiore sviluppo capitalistico (Germania, Francia, Inghilterra e Usa) si è dovuta limitare a compiti borghesi, quelli che in Europa occidentale erano stati adempiuti dalla Grande Rivoluzione francese del 1789.

Nessuna edificazione del socialismo quindi, ma certamente sì giganteschi passi verso lo sviluppo di un potente capitalismo di stato che in un Paese come la Russia in larga parte contadino e con pesanti incrostazioni feudali, costituiva già un enorme titolo di merito per i bolscevichi.

In quest'ottica, il demerito invece dei successori di Lenin (ovvero di Stalin) non è quello di non essere riusciti a raggiungere da soli e assediati da potenze imperialiste l'obiettivo impossibile del socialismo, ma quello, al contrario, di averci costruito una teoria giustificazionista sopra e, obiettivamente, solo ideologica, cioè appartenente alla sfera della falsa coscienza (appunto il socialismo in un Paese solo).

Del resto, di questo e di molto altro nel libro Bordiga non fa gran colpa a Stalin, perché fedele a una visione della storia del tutto non individualista, ritiene che l'ondata controrivoluzionaria che si succede dopo la morte di Lenin, dipenda da forze materiali e sociali che sovrastano di gran lunga la figura del baffuto inquilino del Cremlino.

Centrale in questo senso è il dibattito che si accende nel seno del Partito comunista russo dal 1924 in poi sulla NEP, la Nuova Politica Economica di Lenin che consentiva ai contadini il ricorso a forme di mercato e quindi incentivava nelle campagne russe un regime economico di capitalismo privato.

Come è ben noto, sul tema del che fare della NEP nel partito russo si manifestarono ben tre approcci: quello industrialista della sinistra capeggiata da Trotsky, il centro di Stalin e la cosiddetta destra di Bucharin, Rykov e Tomski.

In realtà, secondo Bordiga, solo la destra e la sinistra del partito russo avevano un'autentica proposta di politica economica, il centro di Stalin appoggiandosi sulla destra solo per utilizzarla nella lotta prima contro il solo Trotsky e poi anche contro Zinoviev e Kamenev. E qui (sorpresa!) il teorico campano afferma “che sinistra e destra erano entrambe sul terreno dei principii marxisti, e il centro, nelle sue successive svolte nella politica sia russa che internazionale, ad ogni bordata ne andava sempre più fuori (cit. p. 467)”.

L'apparente paradosso si spiega con il fatto che entrambe le fazioni con metodi diversi propugnavano lo stesso obiettivo, ovvero portare a un gradino superiore di sviluppo le arretrate campagne russe: da un'economia parcellare di piccole aziende familiari al capitalismo privato (Bucharin) o a quello di Stato (Trotsky). Il primo, fermo restando che la proprietà della terra rimaneva allo Stato, voleva trasformare i contadini in coloni consentendo loro di utilizzare capitali propri e salariati alle loro dipendenze. 

Questo avrebbe consentito la trasformazione progressiva delle piccole in grandi aziende agricole, la costituzione di un vasto proletariato agricolo e il pagamento di una rendita allo Stato dei Soviet.

Il secondo, invece, propugnava l'impiego della pianificazione e lo sviluppo dell'industrializzazione, mentre in campagna propendeva per la collettivizzazione attraverso lo sviluppo delle aziende collettive e di Stato (Sovcos).

Stalin passò poi alla storia come il promotore della sanguinosa collettivizzazione, dopo aver sconfitto Trotsky, abbandonato Bucharin e ripudiate le sue stesse posizioni. Ma Bordiga contesta in radice che quella gigantesca operazione fosse in realtà una vera collettivizzazione. Le terre strappate ai contadini ricchi, in effetti, furono in gran parte affidate ai colcos (e non ai Sovcos) ovvero a cooperative formate da famiglie contadine che, pur non avendone la proprietà (rimasta formalmente allo Stato), ne avevano il godimento. Inoltre, questi nuclei familiari avevano a loro personale disposizione una propria casa e un piccolo lotto di terreno, dove coltivare prodotti che poi potevano essere consumati da loro stessi o rivenduti sul mercato.

In realtà, secondo Bordiga, siamo di fronte a un “capitalista collettivo” o in termini più comprensibili al giorno d'oggi a semplici cooperative come se ne trovano in tutti i paesi capitalistici, Italia attuale compresa. I colcosiani, inoltre, godevano di una doppia entrata: il salario distribuito dalla cooperativa e il frutto della parte di lavoro sul terreno assegnato personalmente.

È evidente, pertanto, che l'economia sovietica presentava una struttura dualistica: un'industria completamente statalizzata e un'agricoltura sostanzialmente privata, con conseguente ineguaglianza di reddito a sfavore della classe operaia e una endemica scarsa produttività della campagna.

“Distinguere il grano dal loglio”: gli aspetti controversi e non condivisibili

Questa analisi bordighiana del colcos mi pare di grande interesse e meritevole di un'approfondita riflessione: non bisogna dimenticare che la crisi dell'agricoltura sovietica, la necessità di importare grano dall'estero fu uno degli elementi di crisi del sistema.

Così come importante mi pare la prefigurazione di Bordiga del particolare rapporto tra città-campagna e demografia in regime di socialismo avanzato (fine della concentrazione della popolazione nelle città, distribuzione più omogenea su tutto il territorio e fine dell'esplosione demografica). 

L'analisi del colcos rappresenta un elemento di arricchimento della riflessione marxista che ci permette una migliore comprensione del crollo del mondo del socialismo reale e anche dell'evoluzione del post '89.

D'altra parte moltissime altre conclusioni del pensiero di Bordiga appaiono meno convincenti e piuttosto controverse: la definizione di capitalismo di stato dell'industria sovietica e quindi della definizione dell'Urss come società del tutto affine (e concorrente) a quelle dell'Europa occidentale, del Giappone e degli Usa. Una visione che nel libro, tuttavia, non ci spiega l'assenza di una vera e propria borghesia, così come l'assenza di crisi economiche ricorrenti tipiche del capitalismo e di una vera e propria politica imperialistica.

E, poi, la convinzione granitica di Bordiga nell'invarianza del marxismo, ossia l'immutabilità e completezza assoluta del pensiero del filosofo di Treviri che avrebbe già detto tutto, negando pertanto gli apporti originali di chi l'ha seguito: di Gramsci, ma perfino di Lenin che non sarebbe altro che un geniale esecutore. Senza contare, poi, una concezione rigidissima del classismo che nega ogni valore, ad esempio, alla Resistenza antifascista.

Infine, il rifiuto assoluto di qualsiasi contaminazione parlamentaristica e il conseguente astensionismo elettorale che è un tratto tipico della biografia politica bordighiana. Anche questo aspetto, tuttavia, va giudicato nel contesto della storia piuttosto controversa del comunismo italiano: Bordiga non segue certamente la lezione di Lenin sulla necessità di impiegare la tribuna del parlamentarismo borghese, ma quanto ha pesato in negativo l'elettoralismo anche nella storia recente delle organizzazioni politiche comuniste?

Sono tutti aspetti rilevantissimi e molto controversi, ma che non giustificano alcun atteggiamento di “scomunica” e di oblio forzato.

Credo che se dobbiamo avvicinarci degnamente a una data importante come quella del centesimo anniversario della Rivoluzione d'Ottobre dobbiamo farlo in modo cosciente, maturo, rispondendo finalmente ai tanti interrogativi che generazioni di compagni si sono posti e hanno posto senza ricevere risposte convincenti. 

In questa operazione di bilancio l'ingegner Bordiga può esserci utile.

12/02/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Stefano Paterna

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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