Considerazioni Inattuali n. 92. The battle of Britain? Enrico ottavo? L’Inghilterra sembra uscita di senno. La vera paura di Londra e Bruxelles è che vengano chiusi i battenti della City of London, il vero bordello finanziario d’Europa.
di Lucio Manisco
Anglofili e desolati ci chiediamo cosa abbia mai stravolto l’immagine di un paese amato che ha accompagnato sin da tenera età la nostra lunga esistenza, un amore non cieco, spesso tormentato da critico disappunto per il bellicismo di alcuni suoi governi, da quello Thatcher a quello Blair, per il sangue versato in Irlanda, a Cipro, in Medio Oriente, alle Falkland, per l’insensibilità sociale Tory e il declino fino a ieri inarrestabile del Labour. Ma ogni volta l’asprezza del giudizio critico negli scritti, alla radio o alla televisione sospendeva ma non azzerava l’ammirazione sottaciuta per una nazione, per la sua cultura, per i suoi costumi e per il suo sense of humour.
Da due anni a questa parte, soprattutto da due settimane ad oggi quell’immagine è stata infranta dall’invereconda, virulenta polemica sul Brexit – che alla vigilia del voto ci appare altamente improbabile – dalla dissennatezza, dall’iperbolica esagerazione dei termini del dibattito tra brexists e remainers, tra i Farange, i Geldof, i Cameron. Di quest’ultimo in particolare, irresponsabile promotore di un referendum che gli è sfuggito di mano sfociando in qualcosa di simile ad una guerra civile fino all’uccisione di una donna generosa ed indomita come Jo Cox. Se David Cameron non ha saputo prevedere il corso degli eventi il suo IQ deve essere sceso così in basso da richiedere, per citare Molly Ivins, copiose innaffiature quotidiane. L’uscita dall’Unione Europea “un disastro senza precedenti nella storia del Regno Unito”? “Un disastro economico ventennale”? “Una decisione che verrà pagata a caro prezzo dall’Europa e dal mondo intero”? E dalla parte dei Brexists: “rimanere in Europa vuol dire azzerare la sovranità del popolo britannico”? “L’alta corte di Strasburgo annullerà le sentenze dell’Old Baiey”? “Bruxelles raddoppierà e triplicherà le tasse nel Regno Unito”? “Decine di milioni di migranti magrebini invaderanno la sceptred island”?
Le une e le altre baggianate che non hanno mancato di portare in superficie il lato oscurodell’opinione pubblica, deleterie nostalgie mai sopite di un passato imperiale relegato ai libri di storia e, diciamolo pure, un razzismo fino ad un decennio fa mimetizzato dal buonismo di maniera dei dibattiti ai Comuni.
Certo i danni di un Brexit, che ripetiamo ci appare quanto mai improbabile, ci saranno ma non sono certo quelli indicati. Il colpo verrà avvertito da un Europa già in crisi profonda e che da tempo ha ignorato e vilipeso gli ideali di Altiero Spinelli. Certo il Regno Unito cadrà dal ramo dell’albero su cui si è appollaiato nel 1973, che potrebbe segare e che in quarantatre anni gli ha elargito i vantaggi notevoli delle clausole speciali.
Ma i timori reali per l’uscita dall’Europa che accomunano Bruxelles e Londra sono ben altri, sottaciuti e a dir poco disdicevoli: nascono dalla natura ideologica e statutaria del neo-capitalismo speculativo d’assalto promosso dalla globalizzazione a stelle e strisce. Parliamoci chiaro: il Brexit chiuderebbe i battenti di quello noto sic et simpliciter ai cognoscenti come il Gran Bordello Finanziario della City of London, un paradiso fiscale legale, fuori controllo, ben più vasto di quello portato alla luce dai Panama Papers. “Porteremo altrove la sede della Fiat” – ha avvertito con spudorato candore il signor Marchionne.
Sorvolano su questo tema i mass media britannici che si soffermano su altri pericoli non trascurabili, nuove frontiere con l’Irlanda (tornerà in campo il braccio armato dell’I.R.A. e gli eredi dei Black and Tans? E sulle Highlands tra Scozia e Inghilterra tornerà ad aleggiare lo spirito di Bonnie Prince Charlie?).
Ma sono i titoli della stampa d’oltre Manica a far rizzare i capelli in testa:”The new battle of Britain” ad esempio, la seconda battaglia della Gran Bretagna dopo quella combattuta dagli Spitfires della Royal Airforce contro i Messerschmit della Luftwaffe. Hanno abrogato la chiusura dei pubs alle 23? Ovvero è d’uopo parafrasare Winston Churchill: “Mai nel campo dell’umano conflitto un debito così alto è oggi dovuto da tanti imbranati a così pochi ubriachi”. Il New York Times va oltre: ha tracciato un’analogia tra il Brexit e l’uscita di Enrico VIII da Santa Romana Chiesa. Sono usciti di senno i colleghi britannici? Se è così potranno accogliere senza notarli, come Amleto, i matti dei nostri mass media.
A scomparire del tutto è il proverbiale sense of humour che ha reso famosa nei secoli la Gran Bretagna, la presa in giro di temi e personaggi riveritissimi, come la Monarchia e Sua Maestà Elisabetta, il clero anglicano, la magistratura.
Quando lavoravo per la BBC, scrissi un pezzo ironico sui “Chelsea Pensioneers”, i vecchi reduci dalle giubbe rosse ospitati in una confortevole caserma sulla Royal Hospital Road. Li chiamai “i poveri detriti lasciati sulle spiagge britanniche dalla risacca dell’impero”. Pensai di aver toccato un “tema sensibile” e che il pezzo non sarebbe andato in onda. Non fu così e il direttore dei programmi Tony Lawrence si fece quattro risate e citò lo scritto come un buon anche se approssimativo esempio di umorismo inglese.
Oggi la BBC ha assunto toni lugubri, quasi funebri sul dramma del Brexit.
Rimaniamo più anglofili che mai, ma l’immagine di quel paese e del suo popolo si è offuscata, forse è scomparsa per sempre. Resta il ricordo di un age d’or, quella dei Beatles, dei Rolling Stones, di Mary Quaint e di Carnaby Street, del Goons Show e dei Monty Pythons. Nostalgia di un ottuagenario per un mondo che non c’è più.