L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
L’Italia è una Repubblica per definizione democratica, fondata sull’amnesia.
La sovranità è delegata al popolo che la esercita solo nelle forme e nei limiti dall’ultimo di una lunga serie di primi ministri e presidenti della Repubblica.
Considerazioni Inattuali N°94. La sovranità popolare come principio fondativo della democrazia partecipativa più spesso che volentieri è stata criticata, attaccata o abrogata da governi eletti o meno, rigorosamente riformisti e modernizzanti, da regimi autoritari o di deriva autoritaria, da dittature spietate o paternalistiche e bonarie. È una costante ricorrente della storia antica, moderna e contemporanea. È una costante ignorata in quanto pericolo grave per la libertà nelle scuole primarie e secondarie del nostro paese. Perché la repubblica italiana non è fondata sul lavoro, ma sull’amnesia.
Un esempio recente, marginale ma per chi scrive significativo. In “Considerazioni Inattuali N°93” del 22 settembre ultimo scorso veniva garbatamente criticato il Presidente della Repubblica per aver giustificato il grossolano intervento dell’Ambasciatore USA a Roma John Phillips a favore del Sì con la pretestuosa “interconnessione globale” che attirava l’attenzione del mondo sulle vicende del nostro paese. Diversi commenti e-mail ci davano del bolscevico e ci invitavano a far ritorno nella “Unione Sovietica”. In quelle nostre note avevamo anche tracciato, “fatte le debite distinzioni”, l’analogia tra l’abrogazione della Camera dei Deputati, sostituita da Mussolini nel 1939 con la Camera dei Fasci e delle Corporazioni e quel pasticciaccio brutto di un para-senato non elettivo proposto da Renzi. Anche in questo caso commenti fascistoidi di chi non aveva capito o non voleva capire, del tipo “Ci hai messo 77 anni per accorgerti che il duce aveva ragione.”
Menzioniamo allora altre analogie sempre fatte le debite distinzioni nei diversi contesti storici: dopo il suffragio universale per soli uomini, il Patto Gentiloni del 1913 che expedit et non expedit mobilitò l’elettorato cattolico e soprattutto le parrocchie di tutto il paese – chi vota socialista va all’inferno – con la conseguente sconfitta del P.S.I. che perse 100 seggi alla Camera. Dopo la marcia su Roma Mussolini vara la legge Acerbo, il partito della nazione ed il listone che accoglie le candidature di illustri democratici come Antonio Salandra, Vittorio Emanuele Orlando ed Enrico de Nicola: il listone fascista con le liste alleate ottiene il 42% dei voti che grazie alla legge Acerbo conferisce al PNF la schiacciante maggioranza di 375 deputati (più di due terzi della Camera) – un po’ più, ma non molto più dell’Italicum.
Nel 1939, con un Senato di Accademici di Italia nominati dal fascio, Mussolini abroga una Camera dei Deputati non elettiva, burocratica e costosa e la rimpiazza con la Camera dei Fasci e delle corporazioni i cui membri vengono nominati dalle Federazioni fasciste regionali, con stipendi ridotti e competenze locali. Ogni riferimento alla riforma costituzionale proposta da Matteo Renzi è disdicevole, offensiva, fuori di posto e solo in apparenza calzante. Chiaro? No? Bene lo stesso.
Desistiamo da altre analogie con gli interventi del dopoguerra, i tentativi di legge truffa, il passaggio dal proporzionale al maggioritario, gli espedienti e i trucchi vari per incrementare i premi di maggioranza, sempre con il chiodo fisso di limitare il più possibile la sovranità popolare.
Ma veniamo ai giorni nostri, alle ultime settimane ricche di eventi turbinosi, contraddittori e a volte incomprensibili che hanno comunque permesso al Presidente del Consiglio una presenza continua ed ossessiva sulla televisione, sulla stampa, su twitter e via dicendo. È il metodo Trump: sparare a zero, raccontar balle, fare notizia ogni giorno e passar noccioline alle scimmie in gabbia, ai cosiddetti operatori dell’informazione. I sondaggi che davano un cialtron-populista alla pari con una pericolosa ma più esperta guerrafondaia assegnano oggi a quest’ultima una vittoria pressoché certa. I motivi sono diversi, su tutti emerge quello denominato “a surfeit of honey”, un eccesso, un’indigestione di miele propinata quotidianamente sui mass media all’opinione pubblica che ora palesa tutti i sintomi delle crisi di rigetto. È la crisi di rigetto che colpì Craxi prima ancora di Mani Pulite. Forse il parolaio rosa pallido che occupa Palazzo Chigi dovrebbe meditare sui destini del Trump di oggi e del Craxi di ieri e su uno almeno dei perché l’elettorato propende per il No nella consultazione referendaria del 4 dicembre.
A dire il vero non sembra che Matteo Renzi mediti molto da un po’ di tempo a questa parte.
È vero, conta su alcuni amici potenti, ad esempio Benjamin Netanyahu che gli fa visita privata a Firenze e si consulta con lui su linee telefoniche dedicate di Israele apparentemente inaccessibili anche alla NSA degli Stati Uniti. Il nostro ha così smentito il suo ministro degli esteri che si era astenuto sulla mozione di condanna dell’Unesco per le violazioni israeliane dell’area delle moschee dedicata alla libertà di culto delle tre religioni. Renzi ha definito “agghiacciante” quella mozione, ma la ha letta? Vada per l’amicizia per il popolo eletto, ma la nazione palestinese e i suoi diritti non vanno neppure menzionati?
Altri in questa maionese impazzita a sostegno del primo Ministro e del Sì: primo tra tutti il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che confida a Eugenio Scalfari di approvare la riforma e poi lo conferma implicitamente comunicando che si trattava di scambi privati. Mica male per l’arbitro e il garante della Costituzione. E mica male per l’interlocutore secondo il quale l’oligarchia è un istituto democratico e non sinonimo di plutocrazia… L’uno e l’altro marciano in buona compagnia, quella di un grande comico, Roberto Benigni.
E poi la visita a Washington e le trionfali accoglienze tributategli da Obama, inclusa la folla plaudente sui verdi prati della Casa Bianca: malgrado i guasti apportati dal passare degli anni abbiamo riconosciuto i volti di cuochi, camerieri, usceri, impiegati ed impiegate della Bianca Magione. Era una giornata di sole e una pausa di un’ora in un lavoro pesante, era un’occasione da non perdere. Lasciamo da parte le gaffes linguistiche: “our militaries are learning the Iraki troops….” – “i nostri militari stanno imparando le truppe irakene…” e via dicendo.
Quali accordi hanno raggiunto un Presidente alla fine del suo mandato ed un Capo di Governo che rischia lo sfratto da palazzo Chigi? Forse nessun accordo, a parte il consenso ufficioso di Obama agli attacchi di Renzi all’Unione Europea, contraria al progetto di trattato commerciale transatlantico con cui il capo dell’esecutivo USA intendeva concludere il suo secondo mandato.
Pubblico ed ufficiale invece, per quello che può contare a poche settimane dalle elezioni dell’otto novembre, l’entusiastico appoggio al Sì nel referendum italiano.
Interrogativo: perché pochi giorni dopo il Matteo a Bruxelles critica aspramente le sanzioni statunitensi ed europee contro la federazione russa di Putin. Per accattivarne le simpatie? E allora perché ha inviato 150 soldati italiani (in realtà più di 300) sulla frontiera della Lettonia con la Russia per respingere un eventuale attacco delle forze ex-sovietiche contro chi? Andorra, San Marino? Sarebbe la terza volta che i nostri alpini si appronterebbero ad invadere la Russia. La prima volta nel 1918 con truppe inglesi ed americane in appoggio della contro-rivoluzione cosacca, la seconda volta nel 1942 con l’alleato nazista.
Sarà peraltro interessante sapere se il nostro capo del governo seguirà l’esempio di quello spagnolo e apporrà un veto – in barba al diritto internazionale – al diritto di scalo in un porto italiano alla portaerei russa Ammiraglio Kuznecov.
Il centro Italia trema, l’Italia tutta crolla agli occhi del mondo. E si pensava che con Berlusconi avessimo toccato il fondo. Nave senza nocchiero in gran tempesta secondo l’Alighieri o piuttosto “le bateau ivre” di Rimbaud?