In questa quarta lezione del corso sul marxismo, tenuta dal compagno Renato Caputo, si è trattato di Gramsci e della rivoluzione in Occidente, capendo come il pensiero del rivoluzionario si sia inserito e abbia analizzato il contesto a lui contemporaneo e sia in particolare partito dalla presa di coscienza che la rivoluzione, vittoriosa in Oriente, a Occidente non sia risultata vincente.
La lezione
All’inizio dell’incontro si è contestualizzato Gramsci rispetto al suo tempo storico, trattandone la vita. Da ragazzo gobbo, di una povera famiglia del centro della Sardegna e costretto fin da giovane a lavorare, Gramsci riesce, continuando a studiare con sacrificio, a diplomarsi, e vince una borsa di studio per l’università di Torino, dove studia per alcuni faticosi anni isolato dai giovani delle classi agiate che frequentavano solitamente l’università.
Mentre l’interesse per lo studio universitario si spegne, si sviluppa in Gramsci l’interesse politico, generato dall’incontro con il Psi. Dopo aver abbandonato l’università, questi decide perciò di dedicarsi a tempo pieno alla politica e, dopo un periodo di attività come pubblicista per i giornali del partito, diventa prima direttore del settimanale “Il grido del Popolo”, per fondare poi la rivista (che diventerà un giornale) “L’ordine nuovo”, dal quale rivendica l’importanza dei consigli dei lavoratori per la costruzione della società futura. Ci troviamo ormai nel biennio rosso (1919-1920). Il movimento dei lavoratori, che combattono armati e organizzati avendo fatto la guerra, viene tradito dal sindacato e dal partito, spaccato in una maggioranza massimalista (che pensava che il socialismo si sarebbe realizzato senza bisogno di una rivoluzione) e in una minoranza riformista, che non voleva la rivoluzione ma voleva soltanto una riforma del sistema capitalistico.
Nel 1921, dopo aver conosciuto Bordiga, membro della sinistra del Psi, Gramsci lo segue e partecipa alla fondazione, a Livorno, del Partito Comunista d’Italia (PCd’I). Poco dopo, tuttavia, si allontana da Bordiga perché si rende conto che l’estremismo di questi non solo non riesce a portare avanti la rivoluzione, ma non ferma neppure la controrivoluzione. In questo contesto, di fronte al precipitare della situazione italiana, la terza internazionale convoca Gramsci, visto come una speranza, a Mosca. È il 1922.
Nel 1923 Gramsci, che si è convinto della giustezza delle critiche della terza internazionale a Bordiga, è a Vienna a riorganizzare il PCd’I; è qui che fonda “L’Unità”, unità che nella sua idea doveva essere quella tra gli operai e i contadini poveri. Nel vedere il bisogno di unità tra operai e contadini Gramsci si differenzia nuovamente da Bordiga, che vedeva invece quei settori delle campagne come parte della piccola borghesia. Il lavoro di quegli anni viene ripagato quando nel 1926, a Lione e ormai in esilio, si svolge il terzo congresso del partito, dove la maggioranza dei delegati elegge Gramsci segretario. Tornato in Italia per organizzare le forze che resistevano al regime fascista, il neosegretario viene subito imprigionato e rinchiuso nel carcere di Turi, in Puglia. Dal 1929, tramite la lotta, Gramsci riesce a ottenere una cella individuale e dei quaderni nei quali scrivere, gli stessi quaderni che, chiamati Quaderni del carcere, verranno pubblicati da Togliatti dopo la Seconda guerra mondiale. Dal carcere Gramsci scambia anche delle lettere, soprattutto con i familiari, che verranno raccolte nelle Lettere dal carcere.
Pur di non chiedere la grazia al regime e così riconoscerlo, e nonostante fosse conscio che avrebbe potuto probabilmente ottenerla per via delle pressioni internazionali, Gramsci, le cui condizioni di salute si erano aggravate, preferisce restare in carcere. Nel 1933, proprio in seguito a questo continuo peggioramento, ottiene la libertà condizionata e viene ricoverato in clinica. Muore nel 1937.
Rispetto alle questioni del pensiero gramsciano, in questo ampio periodo esso si sviluppa diversamente, analizzando le nuove sfide che il presente pone di volta in volta. Si può comunque dire che il pensiero di Gramsci sia influenzato inizialmente da Labriola, il primo intellettuale a introdurre il marxismo in Italia, dal sindacalismo rivoluzionario e dal più progressivo pensiero borghese del tempo (Croce, Gentile etc.). Durante il biennio rosso emerge la posizione gramsciana sui consigli, che dalle pagine de “L’ordine nuovo”, come già detto, difende strenuamente come strumenti di autogoverno dei lavoratori e necessari per lo sviluppo razionale delle forze produttive. Il biennio rosso è caratterizzato dall’occupazione delle fabbriche nel Nord, dove gli operai continuano la produzione in maniera autonoma, mostrando l’inutilità ai fini produttivi del padronato. In carcere, successivamente, il grande sforzo di Gramsci consisterà nell’effettuare una rielaborazione creativa del marxismo. Gli appunti scritti dal rivoluzionario vengono riordinati quando Gramsci ha ormai poche forze, e trattano una grande quantità di argomenti (il ruolo degli intellettuali, questioni di filosofia, la rivoluzione in Italia o in Occidente, una critica del neoidealismo, letteratura ed estetica, pedagogia, economia politica etc.), tutti legati dal filo comune di una analisi delle cause della disfatta della rivoluzione in Occidente.
A questo punto della lezione sono state trattate alcune delle questioni poste nei Quaderni del carcere. Secondo Gramsci, l’errore dei comunisti che interpretano il marxismo in modo dogmatico è voler ripetere l’esperienza russa in Occidente. Questo nell’interpretazione gramsciana non è possibile, in quanto la società civile occidentale, più sviluppata di quella a Oriente, funge da scudo contro le avanguardie guidate dal partito rivoluzionario. Gramsci include nella società civile anche quelle istituzioni atte a fare egemonia, come le chiese, i sindacati, i partiti, la scuola, l’università e così via. Di fronte a questa situazione, la rivoluzione in Occidente non può prospettarsi come una guerra di movimento, come avvenuto in Oriente; si tratta piuttosto di una più lunga guerra di posizione, necessaria a conquistare le casematte del potere, prima della rivoluzione vera e propria. Come emerge da quanto già detto, Gramsci critica e si scaglia contro la riduzione della cultura a semplice ideologia o elemento determinato univocamente dai rapporti economici, rivendicando piuttosto il rapporto di causalità reciproca tra la struttura economica e le sovrastrutture culturali.
La necessità della battaglia sovrastrutturale in funzione della modifica dei rapporti oggettivi viene ulteriormente approfondita parlando della necessità della classe proletaria di fare egemonia sui ceti medi, che sono l’ago della bilancia in una società a capitalismo avanzato. Questo concetto di egemonia viene ripreso e ampliato da Gramsci a partire dalle considerazioni di Lenin, e contrappone il blocco sociale dominante della grande borghesia alleata con i ceti medi al blocco del proletariato urbano, dei contadini poveri e così via. Quest’ultimo blocco gioca la battaglia egemonica con l’obiettivo di separare i ceti medi dall’alleanza con la grande borghesia, portandoli invece sotto l’egemonia politica e culturale dei comunisti.
A questo punto Gramsci analizza il problema di trovarsi in una società dove tutte le strutture dove giocare questa battaglia sono sotto il controllo della classe dominante (per esempio la chiesa che controllava scuola e università al tempo in cui Gramsci scrive). Per fare fronte a questo controllo della classe dominante il pensatore sardo ritiene necessario da una parte egemonizzare gli intellettuali tradizionali già esistenti e dall’altra formare intellettuali organici alla classe, ovvero intellettuali proletari, in quanto consapevole che gli intellettuali borghesi nei momenti decisivi tendono a spaventarsi e a passare dalla parte della classe dominante. Secondo Gramsci a un dato momento del loro sviluppo storico le classi sociali producono dei loro intellettuali, questi intellettuali prodotti per necessità oggettive (di produzione) possono svolgere un ruolo importante nel processo di sviluppo della coscienza di classe.
Successivamente viene sviluppata nei Quaderni la questione pedagogica, dove si analizza la divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Rispetto a questa divisione Gramsci in particolare critica quella riforma completata da Gentile sotto il fascismo e iniziata da Croce durante l’ultimo governo liberale di Giolitti (1920-21) che vedeva una sostanziale divisione della scuola in istituti destinati ai figli delle classi subalterne e che dovevano insegnare un sapere dogmatico/religioso, caratterizzato dal lavoro manuale, e licei, destinati invece a formare i futuri intellettuali tradizionali e caratterizzati quindi da lavoro intellettuale. Scagliandosi contro questa concezione dell’istruzione, elitaria e speculativa, che separa le masse dagli intellettuali, Gramsci al contrario ritiene che l’intellettuale organico debba possedere un sapere tecnico-pratico e uno specialistico: il primo per guidare l’apparato produttivo senza doversi appoggiare su tecnici borghesi, il secondo per comprendere (e guidare) le linee direttrici del processo storico. Gramsci descrive quindi il marxismo come filosofia della praxis, caratterizzandolo come un’unione indissolubile di teoria e prassi.
Rispetto alla questione della filosofia neoidealista, Gramsci dice: “il marxismo è uno sviluppo dello hegelismo”. Partendo da questa base e mettendo in luce come Marx non sia mai stato dogmatico ma si sia sempre aperto agli sviluppi più significativi del pensiero storico che gli era contemporaneo, Gramsci sviluppa un parallelismo tra la sua critica del neoidealismo e la critica sviluppata da Marx stesso rispetto a Hegel. Sempre Gramsci, fedele a queste considerazioni, valorizza infatti il progressismo del pensiero di Croce, il suo storicismo, criticandone allo stesso tempo la forma idealistica mistificante. Parallelamente al neoidealismo Gramsci critica il positivismo, che era permeato persino nella seconda internazionale, mettendo nuovamente al centro il materialismo storico.
Ancora nei Quaderni, analizzando la storia italiana del secolo a lui precedente, il pensatore sardo esamina le ragioni storiche della sconfitta dei mazziniani, che trova nel fatto che questi non abbiano posto al centro l’essenziale questione della terra, non rispondendo quindi a quella fame di terra che caratterizzava in particolare le regioni del Sud Italia. Per non aver posto al centro la questione della terra, dice Gramsci, i democratici radicali persero la guida del processo di unificazione, che passò ai liberali moderati. Siamo agli inizi del predominio del blocco storico degli industriali del Nord e degli agrari del Sud alla base della questione meridionale. Di fronte alla mancata alleanza tra operai del Nord e contadini del Sud, Gramsci mette in luce l’importante fatto che, contrariamente a operai e contadini, la piccola borghesia frustrata, base di massa del fascismo quando lui scrive, si trovi sull’intero territorio nazionale. Si pone qui la necessità di una riforma intellettuale e morale del paese che veda il proletariato come classe egemone e che permetta la conquista della classe media.
Rispetto alle questioni di filosofia politica Gramsci studia in particolare Machiavelli, che aveva analizzato le questioni della conquista del potere e della creazione di un nuovo tipo di Stato; alla figura della soggettività politica come Principe delineata da Machiavelli Gramsci contrappone un élite collettiva, ovvero il partito rivoluzionario che deve dare organizzazione alla massa variegata.
Dibattito
Il dibattito è stato particolarmente ampio e si è articolato su varie questioni.
Sono state fatte considerazioni importanti sulla capacità di Gramsci di sviluppare in modo non dogmatico il marxismo. In tal senso si è fatto notare per prima cosa come Gramsci riprenda nei suoi scritti delle questioni che Marx poneva nei Grundrisse, che vennero pubblicati molti anni dopo la morte di Marx e che Gramsci non ebbe l’occasione di leggere, a simboleggiare la grande capacità dell’autore italiano di comprendere le questioni cruciali del marxismo; si è poi ulteriormente sviluppata, lodandola, la posizione gramsciana dell’importanza dei fattori soggettivi nella storia (senza per questo dimenticare la centralità dello studio dell’economia politica), mostrando anche qui la capacità innovatrice del filosofo. Su queste questioni si è ricordato che Gramsci, pur non potendo leggere alcuni testi di Marx, ebbe possibilità nella sua vita di studiare i testi di Engels e Labriola, che già svolgevano una critica della concezione meccanica del rapporto struttura-sovrastruttura.
Successivamente si è chiesto un chiarimento su quel rapporto tra Gramsci e il PCd’I, e tra Gramsci e Togliatti, che è stato più volte oggetto di dibattito. La questione si è ulteriormente espansa da una parte chiarendo che più che il rapporto tra Gramsci e il Partito la questione in esame dovrebbe essere l’uso che venne fatto di Gramsci dopo la Seconda guerra mondiale, e dall’altra esprimendo specificamente interesse sulla possibilità o meno che esista una qualche continuità tra Gramsci e Berlinguer, come a volte al giorno d’oggi si sente dire. Su queste complesse questioni si è primariamente chiarito come non sia possibile dividere ideologicamente Gramsci dal Partito, cosa che invece a volte si è tentato e si tenta di fare per “disinnescarne” la figura, troppo segnante per essere ignorata come avviene con altre. Rispetto al rapporto tra Gramsci e Togliatti si sono esposte, per fare luce sulla vicenda, le circostanze del tempo, facendo notare la condizione difficile in cui si trovò Togliatti, che era un esponente fondamentale della Terza internazionale, avendo di fronte da una parte Gramsci, che spingeva per preservare l’unità del Partito in Unione Sovietica, e dall’altra i due principali esponenti del partito, Stalin per la maggioranza e Trotsky per la minoranza, che non accettavano più la sintesi e il centralismo democratico. È solo entrando in questo contesto che si capisce perché Togliatti, per opporsi al socialfascismo, preferì non far conoscere la posizione di Gramsci e nascose le lettere critiche di questi su Stalin e Trotsky e i testi critici su Stalin. Nel dibattito si è chiarito d’altra parte che, nonostante le critiche ai leader rivoluzionari russi, non bisogna dimenticare che Gramsci fu un sostenitore della prima ora della Rivoluzione d’Ottobre, come indicato nel suo articolo La rivoluzione contro il Capitale. A queste considerazioni se ne sono aggiunte altre sull’interpretazione italiana di Gramsci, che sono partite dal dato di fatto che Togliatti e il Pci abbiano interpretato Gramsci sulla base di nuove teorie. A titolo esemplificativo, si è messo in luce il passaggio dal PCd’I dell’epoca di Gramsci, un partito leninista di quadri, al Pci, un partito di massa che era espressione della togliattiana “via italiana al socialismo”, nella quale veniva meno la centralità della rivoluzione. In questo contesto le critiche che Althusser esprime, e che sono state citate nel dibattito, sono giuste, ma, lungi dal riguardare Gramsci, ne riguardano gli sviluppi operati successivamente. Dopo aver sviluppato queste questioni, sempre in risposta a questo blocco di domande, si è discussa la eventuale continuità tra Gramsci e Berlinguer, che è stata completamente esclusa, avendo da una parte un marxista rivoluzionario e dall’altra un socialdemocratico; si è esclusa anche una continuità tra Togliatti e Berlinguer, in quanto il primo si trovava, pur avendo tradito la via rivoluzionaria, su posizioni più avanzate di quelle del secondo.
Rispetto alla visione revisionista/strumentale di Gramsci, si è messo in luce come questa sia stata utilizzata anche da Domenico Losurdo nei suoi testi sul rivoluzionario italiano, al fine di favorire le proprie tesi.
Riguardo a una domanda sulla eventuale differenza tra Marx ed Engels da una parte e Gramsci dall’altra sulla questione dell’estinzione dello Stato, si è ribadita la centralità della concezione, che non è quella anarchica ma è quella marxista, che resta in continuità dai padri del marxismo fino al rivoluzionario sardo.
Conclusa questa serie di complessi interventi, si è posta in luce la questione cruciale della possibilità dell’esistenza, oggi, di un intellettuale del calibro di Gramsci. Rispetto a questo importante punto, oltre a indicare che si pensa possibile e si auspica l’esistenza di un nuovo Gramsci, si è chiarita la funzione essenziale del corso sul marxismo proposto da noi del Gruppo Giovani de “La Città Futura”, che mira proprio a ricostruire, parlando degli autori del passato ma non solo, un tassello che renda possibile uno sviluppo del marxismo oggi. Per ampliare ulteriormente il discorso si è detto che, in ogni caso, a prescindere dall’essere o no degli intellettuali del calibro di Gramsci, è fondamentale l’apporto di ogni persona allo scopo rivoluzionario; in sintesi si è rivoluzionari se si appartiene al Partito, o, se questo non esiste, a una frazione comunista che opera per la sua ricomposizione, e non perché si sia intellettuali brillanti.
Una ulteriore discussione, sulla falsariga di quanto detto finora, è partita dal chiedersi oggi a quali settori sociali sia necessario rivolgersi per un’alleanza. Per discutere questa importante questione si è primariamente tenuto fermo che Gramsci operò una traduzione di Lenin al contesto occidentale, chiarendo quindi come sia nostro compito, oggi, operare una traduzione di Gramsci al contesto attuale. Se l’unità di Gramsci era caratterizzata dall’alleanza tra il proletariato urbano e i braccianti agricoli, che dovevano poi fare egemonia, come abbiamo già detto, sui ceti intermedi, oggi, sebbene giudicando la situazione da un punto di vista internazionale o internazionalista le masse operaie e contadine nel mondo siano la maggioranza, bisogna prendere atto che, per cercare di sconfiggere i tentativi rivoluzionari degli anni ’60-’70, la condizione specifica italiana si sia sempre più caratterizzata, anche più che in altri paesi dell’Europa, per una spaventosa delocalizzazione dell’apparato produttivo. Andando ad analizzare la situazione attuale, se questa strategia da una parte ha segnato effettivamente una sconfitta storica per la classe operaia, dall’altra ha reso l’Italia meno competitiva a livello produttivo; la strategia qui attuata inoltre non è replicabile su scala internazionale. Per questo, si può dire che l’inapplicabilità generale della strategia di delocalizzazione e i danni che essa ha portato per l’Italia rendano la situazione attuale analoga a quella gramsciana: permane la necessità di raccogliere attorno al proletariato cosciente (proletariato che è definito come la classe che vende la propria forza lavoro, e che quindi non è rappresentato solo dal “tradizionale” operaio di fabbrica), tramite un processo di egemonizzazione, i ceti medi (colletti bianchi, impiegati etc.).
Dopo aver sviluppato queste importanti questioni si è chiarito, per le persone, specialmente giovani, che non hanno vissuto nessuna politica se non quella attuale, il carattere non semplicistico, denigratorio e demagogico del Partito nella concezione marxista, che in questo si differenzia particolarmente dai partiti e dai sindacati attuali, funzionali solo al mantenimento del potere della classe dominante. Il Partito viene concepito dai marxisti, in modo più avanzato, come un soggetto rivoluzionario che forma e trasforma il mondo reale; si è fatto cenno, rispetto al ruolo del Partito, anche alla fondamentale istituzione della “Scuola di Frattocchie”, una scuola per lavoratori a Roma che ha contribuito a realizzare lo sviluppo culturale delle classi subalterne, uno degli atti più importanti del Pci.
Dopo aver svolto la discussione sulle questioni fin qui poste, si è fatta infine una breve digressione sulla questione ambientale, che sarà oggetto di un prossimo incontro del corso a gennaio, chiarendo come sia importante non cancellare la centralità della questione dei rapporti di produzione e di proprietà sulla base dell’emergere di quella climatica, ma che anzi la questione climatica non si possa realmente comprendere se posta al di fuori di un quadro generale; come indicava Chico Mendes: “L’ambientalismo senza anticapitalismo è giardinaggio”. Su questa importante tematica si è inoltre esposta la differenza, che specialmente di recente è stata messa in luce, tra le categorie di antropocene e capitalocene, ribadendo come non sia la società umana in generale a distruggere l’ambiente, ma la società nella sua attuale organizzazione; contro chi ritiene necessario un regresso dello sviluppo umano bisogna contrapporre la prospettiva di un’organizzazione razionale, impossibile nel capitalismo, della società, basata su un ricambio organico tra uomo e natura.
Questi sono stati in sintesi i molti punti discussi in questo denso quarto incontro del corso sul marxismo. Vi aspettiamo sabato 12 per la quinta lezione del corso, che si terrà alle 15:00 su Meet. Ricordiamo che per informazioni è possibile contattare noi del Gruppo Giovani de “La Città Futura” su Instagram o visualizzare l’evento Facebook della lezione.