Storia delle filosofia antica, Giuseppe Cambiano, Laterza, Roma-Bari 2004.
La storia della filosofia antica è un valido manuale, caratterizzato da un buon equilibrio fra le esigenze divulgative e l’indagine più propriamente scientifica. In particolare le parti dedicate ai due massimi esponenti della filosofia politica, Platone e Aristotele, che sono anche i pensatori più studiati da Cambiano, sono discrete. L’esposizione di Cambiano è molto chiara e certamente equilibrata, la forma espositiva anche è discreta. L’opera è priva di cadute nel postmoderno e non fa particolari concessioni all’ideologia dominante, né cerca di rendere più accattivante la propria opera con trovate estemporanee o interpretazioni forzate o forzatamente attualizzanti. Non perde neanche tempo ad ammirare la propria lingua o a riaffermare, mediante la retorica, la propria superiorità rispetto al comune lettore, ma mira direttamente alla cosa stessa e si dà il giusto compito di far comprendere il più possibile, senza inutili e soverchi sforzi, al proprio lettore.
Il limite maggiore dell’opera è una scarsa presenza del materialismo storico. La storia della filosofia antica è poco contestualizzata dal punto di vista storico e politico, ancora meno dal punto di vista economico e sociale, per niente rispetto al conflitto di classe. Manca quasi del tutto il rapporto fra la struttura, in primo luogo economica, e le sovrastrutture principalmente filosofiche.
È assente una storia, sia pur succinta, della fortuna dei grandi pensatori presi in esame. Non si comprende così la sbalorditiva attualità di questi due giganti del pensiero e la loro eccezionale influenza sulla cultura e civiltà umana, al punto che Hegel definirà nelle sue lezioni di storia della filosofia Platone e Aristotele i due grandi maestri dell’umanità. In tal modo, si perde di vista l’eccezionale influenza di Platone su tutte le successive utopie e sui modelli di società comuniste. Non si mette nella giusta luce, quanto l’ellenismo, il cristianesimo, il medioevo, l’umanesimo e il rinascimento siano debitori nei riguardi della filosofia di Platone e Aristotele. Né si mette in evidenza come la filosofia di questi due giganti del pensiero manterrà una notevole influenza sulla filosofia di Hegel. Né si mette in luce come grandissimi esponenti del pensiero conservatore e reazionario abbiano fatto del pensiero di Platone uno dei principali obiettivi dei loro attacchi.
In particolare, nell’interpretazione di Platone si dà un peso davvero eccessivo alle spiegazioni mitologiche, che parlano più all’immaginazione, piuttosto che alla ragione mediante i concetti. In tal modo, il pensiero di Platone viene un po’ troppo semplificato e banalizzato. Ci si limita così, spesso, a esporre più le apparenze della filosofia platonica, piuttosto che risalire all’essenza a al concetto. In tal modo, si fanno troppe concessioni alle presunte esigenze di un lettore semplice, ingenuo e poco avvezzo alle asperità della scienza filosofica.
Anche il rapporto fra teoria e prassi, così importante in Platone, viene troppo poco considerato. In tal modo finiscono per essere, di fatto, occultati gli aspetti più rivoluzionari e anche più interessanti, intriganti e attuali della filosofia platonica. Peraltro si finisce, così, per perdere almeno in parte di vista lo sviluppo interno dell’opera platonica.
Cambiano finisce, così, a evitare di fare i conti con gli aspetti del pensiero platonico maggiormente stridenti con il senso comune oggi dominante. In tal modo la sua interpretazione finisce con l’apparire più ideologica che scientifica. Così Cambiano non coglie e valorizza né gli elementi più distopici del pensiero di Platone, né il suo formidabile spirito dell’utopia. La questione centrale della formazione dell’uomo nuovo finisce del tutto in secondo piano. Persino la celeberrima e così discussa e influente prima teorizzazione di una società sotto diversi aspetti comunistica passa del tutto in secondo piano. Addirittura Cambiano si limita a sbarazzarsi di una questione così ampia e dibattuta con un giudizio tranchant, buttato lì senza uno straccio di dimostrazione. Come se fosse un dato di fatto scontato e indiscutibile che la concezione dello Stato di Platone non ha nulla a che vedere con il comunismo.
Allo stesso modo, non appaiono per nulla valorizzate e/o problematizzate le critiche, per diversi aspetti ancora attuali, nel bene e nel male, al regime democratico. Né Cambiano evidenzia come Platone, sebbene necessariamente in modo contraddittorio, sviluppi per la prima volta un radicale progetto di emancipazione femminile e una società dove la schiavitù, fondamento strutturale della società antica, è in buona parte posta decisamente in secondo piano.
Egualmente non si coglie la portata rivoluzionaria della stessa filosofia teoretica di Platone, al contrario immediatamente colta e profondamente criticata dai grandi pensatori reazionari, primo fra tutti Nietzsche. Perdendo di vista il fatto che il pensiero di Platone ha per la prima volta fatto della filosofia una scienza e ha riconosciuto in tutto il loro valore gli universali, esso non viene posto in relazione – come fa molto più acutamente Nietzsche – né con le costanti e crescenti rivolte nei secoli successivi, né nel suo contrapporsi alla società greca tradizionale, decisamente schiavista, classista, gerarchica, oligarchica e maschilista.
Allo stesso modo non si dà e riconosce il giusto rilievo agli aspetti rivoluzionari e antiaristocratici della pedagogia platonica, ovvero alla concezione che la subordinazione degli schiavi e delle donne dipenda dal fatto che non ricevono un’adeguata educazione. Tanto che, una volta adeguatamente formati, le donne e persino gli schiavi potrebbero secondo Platone non solo sviluppare una visione del mondo scientifico-filosofica, ma le donne sarebbero in gradi di svolgere tutte le funzioni direttive tradizionalmente riservate, anche nella società ateniese, ai soli uomini.
D’altra parte neanche si mettono in luce gli aspetti più conservatori e persino reazionari di Platone, nella sua strenua difesa della polis, cuore pulsante della civiltà ellenica, di contro a quel sorgere della soggettività e dell’individualità – con i sofisti e Socrate – che non potrà che portarla inevitabilmente alla crescente crisi, di cui il pensiero di Platone è espressione.
Altro aspetto carente nella trattazione di Cambiano è l’importanza e la portata rivoluzionaria della concezione platonica della dialettica, su cui si fonda la moderna visione del mondo. Questo aspetto che consente di cogliere la realtà nella sua complessità e contraddittorietà, non è messo in evidenza come pure avrebbe meritato.
Più in generale, possiamo dire che Cambiano intenda il procedere del filosofo, nel caso specifico dello storico della filosofia, in modo sostanzialmente opposto a quello che Platone ha reso immortale mediante il suo celeberrimo mito della caverna. In questa rappresentazione il filosofo per liberare gli altri dal mondo dell’opinione – dell’ideologia dominante, diremmo noi – deve battersi affinché gli uomini comuni rompano radicalmente con il modo del tutto distorto di vedere e comprendere le cose, dovuto alla loro subalternità e cattività, di cui non sono neppure coscienti. Naturalmente si tratta di un compito estremamente complesso e delicato.
Il filosofo dovrà dapprima rompere radicalmente con il modo di vedere le cose della coscienza comune e, una volta che ha fatto propria una visione del mondo di fatto antitetica, dovrà compiere l’ancora più eroico percorso opposto, dovrà calarsi nuovamente nel fondo della caverna per strappare quanti più uomini è possibile dal mondo distorto e fittizio cui sono stati abituati, dalla educazione da schiavi che hanno ricevuto, per poter vedere e considerare la realtà. Senza timore che questo suo procedere del tutto controcorrente possa portare molti a rifiutare radicalmente, in modo veemente e addirittura violento, il suo modo decisamente rivoluzionario di considerare le cose.
Al contrario, Cambiano sembra cercare il più possibile di avvicinare scienza e opinione, il modo filosofico-scientifico di interpretare il mondo con quello della coscienza comune. Invece di problematizzare e rendere più complesso e anche intimamente contraddittorio ciò che spiega, mira piuttosto a spianarne gli angoli, a limitarsi a mettere in evidenza gli aspetti più apparenti e immediati per il timore di contrariare il proprio lettore.
Naturalmente le attitudine filosofiche di Cambiano sono decisamente in maggiore sintonia con il modo realistico a antiutopista di considerare la realtà di Aristotele, con la tendenza di quest’ultimo a ricercare sempre il giusto mezzo fra gli opposti estremismi. Senza contare che la forma stessa con cui il pensiero di Aristotele ci è stato tramandato, proprio al contrario della forma dialogica delle opere platoniche, ne favorisce una esposizione per quanto possibile sistematica, manualistica, piana e lineare.
Particolarmente prossime al modo di essere e di vedere il mondo dell’autore sono le critiche di Aristotele a Platone, tanto che Cambiano è molto più propenso a sottolineare i motivi di discontinuità, rispetto agli altrettanto significativi momenti di continuità. Del resto il pensiero di Aristotele è decisamente meno lontano di quello di Platone dal nostro modo di vedere le cose.
Da questo punto di vista è decisamente meno ostico esporre il pensiero di Aristotele, rispetto a quello di Platone, senza entrare in necessaria collisione con il sentire comune. È possibile tradurre il pensiero di Aristotele per il lettore contemporaneo non addetto ai lavori senza necessariamente doverlo tradire come avviene decisamente più spesso con il pensiero platonico.
D’altra parte, nonostante l’attitudine decisamente più empirica e realistica di Aristotele, la sua grandezza non può che essere evidenziata sottolineando i lati più rivoluzionari della sua opera, che avranno maggiore capacità d’influenzare il successivo sviluppo del pensiero filosofico-scientifico.
Da questo punto di vista anche di Aristotele – per quanto oggi appaia più facilmente normalizzabile rispetto a Platone – non si riconosce il giusto peso agli aspetti più radicali e addirittura sovversivi della sua filosofia. Ciò vale innanzitutto per il radicale immanentismo del pensiero aristotelico, che segna una cesura ancora più netta, rispetto alla filosofia di Platone, con il modo di vere il mondo tradizionale e, perciò, tendenzialmente conservatore o reazionario, ossia nei confronti della visione del mondo mitologico-religiosa. Tale drastica rottura di Aristotele con la concezione dualistica – ancora presente in Platone – con il ricorso di quest’ultimo al trascendente, non è adeguatamente esposta nella sua carica sovversiva, non solo alla sua epoca dirompente, ma ancora oggi non facile da digerire per l’ideologia dominante.
La mancata sottolineatura di questi aspetti è anche funzionale a non evidenziare come proprio i tratti più radicali e rivoluzionari di questi pensatori antichi, sono anche quelli più ripresi e valorizzati nel pensiero marxista. Quest’ultimo, per essere contrastato nel modo più efficace, deve essere mostrato come sostanzialmente estraneo a quella che viene considerata la placida evoluzione – senza rotture o salti – della cultura occidentale, generalmente considerata come sinonimo della civiltà tout court.