Marx al cinema

Per la prima volta al cinema il Giovane Marx del grande regista haitiano Raoul Peck, in sala dal 5 aprile.


Marx al cinema Credits: http://www.moviedigger.it/il-giovane-karl-marx-anteprima-gratuita-a-roma-per-docenti/

Nonostante la vita di Marx ed Engels sia piena di avvenimenti di rilievo e si tratti di due degli intellettuali che hanno avuto la maggiore influenza sulla storia e il mondo contemporaneo, si è dovuto attendere il bicentenario della nascita del Moro di Treviri per poter vedere nelle sale un film dedicato alla sua vita e opera da parte di un grande regista. In effetti, ad eccezione di un dimenticato film girato in Urss più di quarant’anni fa, il film di Peck può essere considerato il primo vero e proprio film su Karl Marx. Quindi la sua uscita nelle sale in Italia dal 5 aprile è un’occasione certamente da non perdere. A questo proposito ringraziamo Malvina Diletti e Valentina Marone di Inter Nos ufficio stampa web che hanno dato la possibilità al nostro giornale di visionarlo in anteprima per i nostri, certamente interessati, lettori.

Il giovane Karl Marx è, in primo luogo, un’ottima occasione per avvicinare le giovani generazioni alla vita e all’opera di due giganti della Rivoluzione come Marx ed Engels. Anche perché il film è incentrato sugli anni giovanili, dal 1843 al 1848, presentandoci la vita e le opere di due giovani tra i 23 e i 30 anni. L’aspetto più sconvolgente ed esaltante del film è come due giovanissimi, con le loro compagne, siano riusciti in un arco temporale così limitato a incidere in una misura così significativa su tutta la storia successiva. Il film si conclude, infatti, con la realizzazione da parte dei due del Manifesto del partito comunista, l’opera più diffusa e influente al mondo dopo la Bibbia.

Nel frattempo il giovane Marx ha diretto giovanissimo la Gazzetta renana, il giornale più rivoluzionario della Germania del tempo, che gli costerà ad appena venticinque anni la condanna all’esilio. In seguito fonderà e dirigerà con Ruge, a 26 anni, la rivista Annali franco-tedeschi, componendo opere così rivoluzionarie da costringere persino la liberal-democratica Francia a condannarlo nuovamente all’esilio. Nel frattempo l’ancora più giovane Engels ad appena 20 anni, inviato a gestire le fabbriche paterne in Inghilterra a Manchester, compie una decisiva inchiesta che lo porta a scrivere due opere pionieristiche di importanza decisiva, in primo luogo per lo sviluppo del pensiero dell’amico Marx, La situazione della classe operaia in Inghilterra e i primi Lineamenti di una critica dell’economia politica.

Il film ha l’enorme pregio di mostrare come questi due giovanissimi intellettuali riescano a scrivere opere così decisive e rivoluzionarie, senza per questo rinunciare a dare un contributo significativo allo sviluppo delle prime organizzazioni rivoluzionarie dei gruppi sociali subalterni. In effetti, non solo riescono a comporre opere immortali senza rinchiudersi in una torre d’avorio, impegnandosi anima e corpo nella vita e nella lotta politica, ma ottengono un successo che li renderà immortali senza dover in nessun modo scendere a patti con il pensiero e il senso comune dominante, anzi portandone avanti la critica più aspra e decisa. Scelta di cui pagheranno, sin da subito, le necessarie conseguenze, ma le costanti persecuzioni da parte del potere costituito e dei ceti sociali dominanti, dei cui privilegi avrebbero potuto tranquillamente godere, per le famiglie di appartenenza, per tutta la vita, non gli fanno mai perdere di vista il loro obiettivo fondamentale: eliminare il vecchio mondo con tutte le sue intollerabili ingiustizie e gettare le basi per la costruzione di un mondo in grado di risolverne le contraddizioni reali, dando finalmente un saldo fondamento scientifico alle millenariste utopie prima religiose e poi laiche.

In maniera molto efficace, e si tratta non a caso anche dei momenti più godibili del film dal punto di vista estetico e cinematografico, il film mette in costante relazione lo sviluppo teorico dei due alla loro prassi sociale e politica. Vediamo così, sin dalla prima magistrale scena, come gli scritti anche più giovanili di Marx affrontino di petto le più spinose e drammatiche questioni economico-sociali e politiche del suo tempo e del suo paese. Mettendo a tal punto in difficoltà i poteri dominanti da fargli mettere a repentaglio la propria egemonia, visto che sono costretti a intervenire con la violenza contro la libertà di stampa e di parola di un giovanissimo e altrettanto brillante intellettuale, sino a costringerlo all’esilio. Ciò dà a Marx la possibilità di diffondere prima in Europa e poi anche al di fuori il suo pensiero rivoluzionario e di poter collaborare con le più avanzate avanguardie sociali e politiche del tempo, sino a svolgerne, nonostante la rigorosissima radicalità delle proprie posizione, un ruolo dirigenziale decisivo.

Ecco così spazzati finalmente via i pregiudizi da decenni diffusi dall’ideologia dominante secondo i quali il pensiero di Marx ed Engels sia qualcosa di astratto, dottrinario, dogmatico, vecchio, stantio, mentre si tratta, proprio al contrario, di un pensiero in continuo sviluppo, proprio perché sin da subito capace di rimettersi anche radicalmente in discussione nel suo stringente rapporto dialettico con la vita sociale e politica del proprio tempo. E non solo, anzi come si coglie magistralmente nella grandiosa scena finale del film, quello di Marx ed Engels è un pensiero quanto mai vivo e in grado di continuare a incidere in modo così costante e profondo fino ai giorni nostri, Like a rolling stone, come sottolinea magnificamente la canzone finale di Bob Dylan.

Marx al cinema

Da questo punto di vista il film tiene magistralmente – sottolineando l’effetto straniante e demistificatore del pensiero di Marx ed Engels, sempre capace di rimettere in questione tutto ciò che appare ovvio, necessario, naturale, mentre non è altro che ciò che appare scontato unicamente dal punto di vista dell’ideologia dominante – sino alla penultima scena. In quest’ultima ci viene presentato, in contraddizione con il resto del film e con l’entusiasmante scena finale, un Marx che ha perso il suo spirito faustiano, ormai stanco e addirittura pentito del tempo sprecato nella prassi politica, desideroso ormai di ritirarsi nella sua torre d’avorio per dedicarsi all’opera che lo avrebbe reso immortale: Il capitale.

Naturalmente momenti del genere Marx, come tutti gli intellettuali politicamente impegnati, li ha certamente drammaticamente e realisticamente vissuti, ossia la contraddizione fra la radicale finitezza della nostra esistenza e la necessità di contribuire tanto sul piano teorico quanto sul piano pratico a opere che ci faranno guadagnare l’immortalità. Peccato che una scena del genere, viene posta proprio in conclusione, subito dopo che il film e la parabola del giovane Marx hanno raggiunto il proprio apice, in quanto la sua teoria è infine divenuta a teoria “una forza materiale” proprio perché è infine riuscita a divenire così concreta e vivente che “si impadronisce delle masse”.

Quasi che Marx divenga maturo rinnegando la sua giovanile filosofia della prassi e, così, dopo aver scoperto che “I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo” si sia piegato a ricadere nel proprio da lui superato vecchio modo di intendere il ruolo di filosofo, di intellettuale. Qui evidentemente il regista si fa troppo condizionare da un certo modo errato di intendere Marx, particolarmente diffuso in Francia, alla cui interpretazione critica Peck è troppo unilateralmente legato, che lo porta a contrapporre il pensiero e la figura rivoluzionaria di Marx a quella della maturità. Dimenticando quanto, proprio al contrario, il Marx della maturità sia stato costantemente in prima linea nello scontro socio-politico a partire dal suo decisivo impegno, sempre al fianco di Engels, nella Prima Internazionale.

In tal modo il film pare quasi rinnegare se stesso e la sua tesi di fondo, posta sin dall’inizio, in modo sin troppo didascalico, come conquista decisiva dell’opera di Marx (ed Engels), che non a caso sarà anche il tratto dominante del momento apicale del film. Così la didascalia introduttiva al film sostiene che le prime organizzazioni dei lavoratori erano nate all’insegna dell’utopistica concezione che “tutti gli uomini sono fratelli” – dimenticando che tale concezione è alla base non solo del marxismo, della Rivoluzione francese e della stessa religione più diffusa al mondo – e che due giovani tedeschi hanno trasformato “la lotta… e il futuro del mondo” proprio mettendo in discussione tale “utopia”. Allo stesso modo, nella scena culminante del film, vediamo come i due grandi intellettuali rivoluzionari, prendono la direzione dell’avanguardia internazionale dei lavoratori, trasformando la Lega dei giusti in Lega dei comunisti, proprio criticando il motto della prima: “tutti gli uomini sono fratelli”, mostrando come i capitalisti, gli sfruttatori, non possono che essere dei nemici per i lavoratori salariati, per gli sfruttati. Quindi alle parole inneggianti all’amore e alla gentilezza era indispensabile sostituire parole d’ordine come la “rivoluzione totale e finché le classi continueranno a esistere l’ultima parola della scienza sociale sarà sempre, come ha detto George Sand, la lotta o la morte”.

Dal punto di vista formale, la principale critica che si deve rivolgere al film, è che a un contenuto così decisamente rivoluzionario, tolta la caduta ricordata alla fine, non corrisponde purtroppo una forma altrettanto rivoluzionaria. La necessità di sintetizzare in due ore contenuti teorici tanto profondi e complessi sviluppatisi in parallelo a eventi storici altrettanto complessi, ma contraddittori, ha portato il regista - per rendere fruibile e, quindi, godibile il film anche a un pubblico di non addetto ai lavori – ad accentuare un po’ troppo l’aspetto didascalico, la chiarezza espositiva a detrimento dello “specifico filmico”, anche in ciò, occorre riconoscere, in completa controtendenza rispetto all’ideologia dominante improntata al formalismo e alla concezione “dell’arte per l’arte”.

Da questo punto di vista il film non è purtroppo all’altezza di un autentico capolavoro come I Am Not Your Negro, che sebbene fosse un documentario, raggiungeva un perfetto equilibrio fra forma e contenuto rivoluzionario che ci ha portato a considerarlo il miglior film uscito nelle sale lo scorso anno.

31/03/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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