Noi siamo quelli senza cassa integrazione, siamo quelli senza partita IVA, noi siamo quelli non scritti in alcuna categoria.
Noi siamo gli invisibili.
Anzi no, siamo indicati, come i disabili, come fosse una qualifica, una categoria che ispira un senso di umanità fatta di pietismo. Perché ci è toccata in sorte la più triste delle condizioni. Inaffidabili perfino se chiediamo di lavorare. Chi non può, poi, non deve dar fastidio più di tanto, che se ne stia in un angolo senza disturbare. In fondo, con quello che lo stato spende, può sempre farcela senza troppo enfatizzare.
Ma si dal caso che questa emergenza, caduta come una mannaia sulla testa (di tutti, per carità), ha evidenziato, col suo taglio netto, criticità che c’erano ma che nessuno vedeva, o preferiva non farlo.
Lunghi anni di privatizzazioni ci avevano già misurato, dividendoci per classi sociali: chi poteva fare accesso a forme private di medicina e assistenza o terapia, e chi no. Quel poco di pubblico non bastava mai.
Qui la grande enorme vergognosa negazione del diritto inteso come universale. Alcuni lo gridavano da prima: attenzione che il capitalismo farà terra bruciata. E non come la morte, che tutto allinea, ma alimenterà differenze, esalterà la sofferenza, così che persino nella malattia o nel disagio, curarsi o ricevere sostegni, dipenderà solo dallo stato sociale in cui si nasce, in cui si ha la fortuna di nascere.
Ma erano parole vane, e oggi eccoci, persone messe in pericolo. Senza sostegni finanche senza dispositivi di protezione, gli stessi che per taluni sono utilizzati sempre, anche senza pandemie. Protezione! Si perché intorno al disabile gira un mondo fatto di persone, familiari, infermieri, terapisti, e senza protezioni, questi possono rappresentare una minaccia. E allora, poco importa del numero di famiglie che sono rimaste isolate nella loro piccola invisibile realtà di messi al muro.
Il capitalismo questo ha prodotto: una linea profonda al di là della quale c’è chi vive e chi sopravvive.
E se negli anni meno sospetti chiedevamo più sanità pubblica e assistenza, oggi quelle grida restano un monito. Avevamo ragione.
Perché appare evidente che quella era già di per sé una prima selezione.