La “guerra di classe” che il gruppo di rampanti rottamatori postdemocristiani/demitiani ha scatenato contro lavoratori, precari, pensionati è iniziata con la “conquista” del PD da parte di Matteo Renzi. Con la vittoria al congresso, la mutazione genetica del Partito Democratico è giunta a compimento: la vocazione maggiortitaria e governativista dell’ibridazione tra ex-comunisti e popolari si è saldata con gli interessi di classe economico finanziari che Renzi vuole rappresentare con determinazione e dinamismo decisionista degni di un moderno dittatorello autocrate della postdemocrazia euroatlantica. Il tratto distintivo e sostanziale del PD non ha più niente del “centrismo” democristiano: dall’interclassismo egemonizzato da interessi padronali, ma temperato dall’idea della necessità di un riequilibrio assistenzialista, all’integrale scelta di sostenere gli interessi della parte più ricca e benestante del Paese con ipocrite promesse di stabilizzazione per i precari (emblematica la vicenda della scuola) e di diminuzione della pressione fiscale sui redditi inferiori a 25mila (lordi) o 18mila (netti), da cui sono esclusi disoccupati, pubblico impiego, incapienti fino ad 8mila per i quali non scatta il prelievo fiscale, partite IVA.
A sottolineare la scelta di campo di Renzi, ricordiamo che nel suo Governo sono presenti ministri che rappresentano direttamente interessi padronali e finanziari: spiccano i nomi di Federica Guidi, ex Presidente dei Giovani Confindustriali e AD di Ducati Energia (con un’evidente e macroscopico conflitto di interessi), al Ministero dello Sviluppo Economico, e di Carlo Padoan, esponente di primissimo piano del FMI e dell’OCSE, all’Economia.
Tra cene di sottoscrizione a suon di migliaia di euro (versione “perbenista” delle cene “eleganti” berlusconiane?), pacche sulle spalle da Marchionne, applausi a scena aperta dai confindustriali, strizzatine d’occhio da Squinzi e imprenditori alla Farinetti che puntano ad arricchirsi con procedure incontrollabili ed esposti alla corruzione come sull’EXPO milanese.
Renzi interpreta perfettamente la nuova linea di smantellamento delle costituzioni antifasciste e democratiche indicata da J.P.Morgan che a maggio stigmatizzò come ostacolo allo sviluppo dell’economia di mercato e al puro drenaggio di ricchezza verso i profitti dai salari diretti e indiretti (servizi sociali).
Al provvedimento che sta tenendo alta da settimane l’attenzione, il Decreto Poletti meglio noto come Jobs Act, che include la soppressione dell’articolo 18, si affiancano i provvedimenti contenuti nella Legge di Stabilità 2015 che prevedono una serie di tagli in tutti i settori di intervento, dal contenimento della spesa per enti locali e Regioni al blocco dei contratti, dell’indennità di vacanza contrattuale, degli automatismi stipendiali per i lavoratori della pubblica amministrazione; dal contenimento della spesa per scuola e università (eliminazione delle supplenze brevi e del personale delle segreterie per circa 500 milioni di euro) alle continua riduzione degli investimenti nella spesa per la sanità che sono in costante diminuzione da dieci anni a questa parte.
C’è poi l’odiosa riduzione di 100 milioni di euro (da 350 - 275 per la non autosufficienza+75per assistenza domiciliare - a 250), sconcertante perché colpisce cittadini particolarmente deboli per la drammaticità di una malattia degenerativa come la SLA: il risparmio su questo settore dimostra la delicata “sensibilità” di cui sono dotati i rampanti postdemocristiani dell’attuale PD.
La “finanziaria” del governo Renzi ha un chiaro segno di classe: in un’Italia che, al pari di molti altri paesi del capitalismo degenerativo in crisi, vede una polarizzazione sempre più drammatica della ricchezza concentrata nelle mani di pochi, il PD sceglie la strada della difesa ad oltranza dei profitti e delle garanzie per il padronato e gli speculatori, lasciando morti e feriti sul terreno delle politiche sociali. Il PD non ha più niente a che fare con la “sinistra”, né tantomeno con i comunisti, perché sta costruendo il progetto di una forza reazionaria di massa, un moderno fascismo fondato su una imprenditorialità al di fuori da ogni controllo (vedi il provvedimento del cosiddetto “Sblocca Italia” e le vicende legate all’EXPO di Milano), sul lavoro precarizzato (da sei a un anno) fino al servilismo/schiavismo (ad ore) sotto la forma dell’apprendistato, sulla progressiva distruzione delle garanzie sindacali con l’introduzione dei contratti a “tutele crescenti” (che ipocritamente significa: da tutele zero a qualche graziosa concessione dell’azienda se si dimostra sufficiente servilismo e sottomissione). Un partito da cui non solo bisogna stare alla larga, dalle giunte comunali a quelle regionali quanto dal governo nazionale, ma che occorre sempre di più considerare un vero e proprio nemico delle sempre più frammentate e variegate figure del proletariato contemporaneo.