I componenti della calorosa realtà del centro sociale Je so’ pazzo, in collaborazione col gruppo dei Clash City Workers, hanno portato a termine il proposito di organizzare un’assemblea aperta, proprio il 18 novembre a Roma, con un risultato grandioso e commovente, chiamando a raccolta tutte e tutti coloro che, organizzati o singolarmente, vogliono dare mani, gambe e cuore a una sinistra popolare e di classe, che parli una lingua comprensibile e unisca le lotte contro le ingiustizie che dilagano nel nostro Paese.
In questa città caotica e trafficata, il teatro Italia è diventato il luogo dell’incontro di centinaia di compagne e compagni, 800 scrivono. Dal Nord al Sud del paese, molti giovani, donne e uomini di diverse età, sono venuti per raccontare la propria esperienza di lotta o semplicemente per esserci. L’emozione si vedeva nei volti e si sentiva dagli applausi che si susseguivano per accompagnare i discorsi e le parole, quasi sempre segnalando un’empatia che connetteva chi interveniva a coloro che ascoltavano.
Questa atmosfera si respira dall’inizio, quando Viola (Je so’ pazzo) introduce, mette in chiaro che non ci sono ricette, che “raccontiamo quello che abbiamo sperimentato, cercando di ascoltare e di capire”, perché vogliamorovesciare quello che normalmente viene fatto, perché bisogna partire dal popolo e dalle lotte. L’esperienza dell’ex OPG è stata una bella scuola, coloro che si sono impegnati a trasformare un ex-ospedale psichiatrico in un centro sociale multifunzionale, hanno certamente imparato a prendersi delle responsabilità, ad affrontare le difficoltà delle ingiustizie sociali cercando risposte possibili, trasformando così la realtà intorno a loro, per le persone più fragili, vittime di una società pervasa dal capitalismo.
Il bisogno di rispondere alla barbarie che avanza, il bisogno di reagire alla mancanza di lealtà di coloro che dicono di rappresentarci (ma che in realtà si autorappresentano), sono tra le motivazioni che ci hanno portati qui, che hanno messo in moto le tante volontà alla ricerca di un percorso comune, che con semplicità ed umiltà, ma con tanto entusiasmo, possa radicarsi, divenendo politicamente solido ed efficace. Una solidità che potrà esserci solo se le relazioni tra le persone e i vari soggetti già aggregati potranno consolidarsi e svilupparsi in altrettanti discorsi che qui sono appena cominciati. Una parola chiave: relazioni, le relazioni leali e costruttive che sono fondamentali per camminare e agire per il cambiamento.
“Dov'era il no faremo il sì.” (dice Viola nell’introduzione, citando l’Internazionale di Fortini)
Il bisogno di farsi comprendere da tutte e da tutti, di andare all’attacco con determinazione, fa emergere l’esigenza di avere un programma minimo che raccolga i punti chiave condivisi. All’assemblea c’è stata la partecipazione del PCI, di compagni e compagne iscritti al PRC, che dall’inizio sono stati vicini a Je so’ pazzo, e che sono presenti in tante lotte. Anche il segretario Maurizio Acerbo interviene dichiarando l’adesione al percorso, come partito che si unisce a tutti i soggetti che condividano il progetto. Eleonora Forenza sottolinea l’esigenza di unire le lotte. Gli interventi sono stati circa quaranta, la voce di lotte di lavoratori che difendono il diritto al lavoro, insieme a quella di chi difende l’ambiente, la scuola e il diritto alla salute.
Potere al popolo dicono le scritte sui manifesti e gli striscioni. “La sovranità appartiene al popolo” recita la Costituzione, dove sovranità vuol dire che gli organismi istituzionali possono esercitare la loro funzione e hanno legittimazione nella volontà popolare, una volontà che può essere dimostrata direttamente col voto o indirettamente in altri modi.
È chiaro che oggi c’è una grande spaccatura nella vita politica del paese, perché gli organismi istituzionali non ascoltano la volontà che viene dal popolo, ma anche, realtà drammatica, perché manca la partecipazione attiva alla vita sociale e politica. Individualismo e indifferenza predominano in una società in cui la dimensione politica e collettiva sono spesso estranee e lontane, sopraffatte dalla competizione dettata dal Pensiero unico. [1]
Sovranità vuol dire anche poter decidere di sé e della propria vita, avere la possibilità di determinarne il corso, ma se il lavoro manca, se i servizi che rendono possibile salute e sicurezza ci vengono negati, allora questa libertà diventa impossibile. Proprio qui dovrebbe intervenire la Repubblica che deve “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, …”. Allora, chiamiamoci a raccolta intorno all’articolo 3 della nostra Costituzione, che oggi rappresenta la nostra barricata:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Ѐ un articolo così chiaro, esprime la grandezza della visione di una democrazia popolare da parte dei Padri costituenti che, dopo la catastrofe di due guerre mondiali, intervallate da un ventennio fascista, davano le linee fondative per uno Stato in cui il razzismo e le ingiustizie contro la dignità umana non dovevano avere più dimora. Forse si è pensato che la virtù democratica, una volta date le linee guida, una volta instaurata la democrazia e affermato il diritto/dovere di partecipazione, avrebbe avuto diffusione come uno ‘spirito guida’, oppure che la democrazia avrebbe essa stessa educato alla democrazia.
Ma così non è e così non è stato, finora, nel nostro paese, in cui la storia e l’attualità ci dicono che la Costituzione ha bisogno di essere difesa sempre e che la Democrazia non è data una volta per tutte, ma che è la conquista di ogni giorno in cui riusciamo ad affermarla in ogni campo. Ed è per questo che il primo punto dell’impegno comune risulta essere questo: realizzare l’applicazione dei principi costituzionali, smascherando l’incostituzionalità di determinazioni e di imposizioni che compromettono la giustizia sociale e la dignità umana.
Note
[1] Pensiero Unico: descrive, con accezione negativa, l'egemonia culturale del neoliberismo come ideologia alla fine del XX secolo.