Pubblichiamo di seguito, la lettera inviata all’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, John R. Phillips da parte di Felice Besostri, già docente di Diritto Pubblico Comparato e componente della Commissione Affari Costituzionali del Senato.
Come si ricorderà, di recente l’ambasciatore Usa è entrato a gamba tesa nel dibattito referendario. Con la delicatezza di un elefante che balla il tip tap in una cristalleria, Phillips ha affermato che “La stabilità dei governi è fondamentale”, e che perciò “Sarebbe un passo indietro per gli investimenti stranieri in Italia” se i cittadini non confermassero la proposta di modifica costituzionale.
Il messaggio dell’ambasciatore Usa è di una chiarezza che non lascia spazio ad interpretazioni: i capitali vogliono governi che sappiano imporre, senza troppi contrattempi, decisioni che rispondano ai loro desiderata. Si tratta di quell’efficienza dello Stato utile ai capitali di cui parlano Renzi e Boschi, Confindustria e JP Morgan, la Bce e l’Ue: uno Stato che sappia rapidamente approvare provvedimenti per aumentare la precarizzazione del lavoro, a trasformare la scuola in un luogo di formazione di lavoratori flessibili, ad imporre sui territori impianti devastanti per l’ambiente e la salute pubblica.
Sul piano istituzionale, questo tipo di “efficienza” dello Stato si può avere in modo soltanto: accentrando i poteri nelle mani di un governo sostenuto da un Parlamento di nominati e svuotato delle sue funzioni, senza forme di controllo o contrappesi per il potere esecutivo. In questo senso, anche il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica può essere un intralcio.
Nella lettera di Felice Besostri - che pubblichiamo per sua gentile concessione - appare immediatamente evidente come la struttura istituzionale verrà trasformata con un inaudito accentramento dei poteri in mano al governo, nel caso in cui il prossimo 4 dicembre la riforma Renzi-Boschi dovesse venire approvata dalla maggioranza dei cittadini che si recheranno alle urne.
Votare NO sarà un atto di resistenza in difesa della democrazia.
Egregio Signor
John R. Phillips
U.S- Ambassador
Villa Taverna
Rome
Milan, september 22nd 2016
L’obiettivo principale della cosiddetta riforma costituzionale è quello di superare il bicameralismo perfetto (bicameralismo paritario): due camere legislative con uguali poteri, il sistema applicato anche negli Stati Uniti.
Secondo questa proposta di riforma, il nuovo Senato non sarà più eletto direttamente dai cittadini, ma dalle assemblee regionali, diversamente dal Senato degli Stati Uniti che oggi viene eletto dai cittadini. Come ricorderete, in passato il Senato degli Stati Uniti veniva eletto dagli Stati, procedura che aveva portato in Usa un alto livello di corruzione e che per questo fu successivamente riformata.
Il mantra di coloro che sono favorevoli alla nuova legge elettorale, approvata parallelamente alla revisione costituzionale, è il fatto che si conoscerà il partito vincente la stessa sera delle elezioni.
Anche negli Stati Uniti si sa chi diventerà Presidente lo stesso giorno delle elezioni, ma allo stesso tempo è anche molto importante conoscere l’attribuzione dei nuovi seggi al Senato (1/3) e alla Camera dei Rappresentanti.
In più esiste una forma di controllo aggiuntivo rappresentata dalle elezioni di mezzo termine [in cui vengono eletti i rimanenti parlamentari, N.d.R.].
Vorrei anche sottolineare che l’articolo 90 della Costituzione, per quanto riguarda la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica, che richiede la maggioranza assoluta, non viene modificato con la riforma proposta.
Per questo motivo, mentre oggi sono necessari 476 voti per mettere sotto accusa il Presidente (la metà più uno dei 630 alla Camera, più 315 al Senato, più 5 senatori a vita), in futuro, secondo la riforma, sarà sufficiente raggiungere 366 voti (la metà più uno dei 630 alla Camera più 100 al Senato).
Secondo una nuova legge elettorale, il partito vincente ottiene 340 seggi alla Camera. Significa che saranno necessari solo 26 senatori su 100 per mettere sotto accusa il Presidente.
Come sapete, negli Stati Uniti questa procedura richiede i 2/3 dei voti del Senato dopo il voto della Camera dei Rappresentanti.
Gli Stati Uniti sarebbero disposti a seguire l’Italia in questo tipo di riforma?
Felice C. Besostri