A Roma partecipatissima assemblea per rilanciare un modello di città basato su partecipazione, conflitto e controllo dal basso degli indirizzi pubblici. Ora la nuova giunta del M5S dovrà rispondere bloccando immediatamente gli sgomberi e la messa a disposizione del profitto degli spazi sociali e dei beni comuni urbani promossi dalla giunta Marino prima e da Tronca poi. In assemblea intervengono Paolo Berdini, assessore all'urbanistica, che sostiene la cooperazione con i cittadini per il ripristino degli spazi sociali. L’esperienza del modello partecipativo di Napoli raccontata da Carmine Piscopo, assessore al patrimonio della giunta De Magistris.
di Alba Vastano e Andrea Fioretti
Assemblea molto partecipata il 20 luglio a San Lorenzo. Sventola sulla facciata dell’ex cinema Palazzo uno striscione per ricordare Carlo Giuliani manifestante “No global”, ucciso dalla polizia durante le proteste contro il G8 a Genova. Era il 2001. Il quartiere capitolino che da sempre è un laboratorio nella città di tentativi di partecipazione dal basso fatto di spazi sociali e di piazze aggregative, di vere e proprie agorà pubbliche. Qui si discute e prende corpo l’idea di un modello di città ribelle con servizi e lavoro a misura di persona e non del profitto.
Le politiche sociali, gestite dalle precedenti pessime amministrazioni, hanno messo in ginocchio la città, cancellato ogni idea di partecipazione popolare e favorito gli interessi dei privati. Nel far questo hanno attaccato le occupazioni abitative e gli spazi sociali, i luoghi d’incontro e di promozione lavorativa indipendente in cui si sperimentano modelli di mutualismo e welfare dal basso complementari a quelli dei servizi pubblici. Con le delibere 219/2014 e 140/2015 approvate durante la giunta Marino, provvedimento con cui il commissariamento Tronca ha affilato la lama dei tagli e degli sgomberi selvaggi, si è realizzato un attacco senza precedenti agli spazi sociali, penalizzando una vasta porzione di cittadini. Un piano efferato di sgomberi e “messa a valore” di una bella fetta di patrimonio pubblico sotto i dettami del Patto di Stabilità europeo e del ricatto del debito. Gli interessi delle banche e dei padroni della città imposti sopra le teste di esperienze di lotta finalizzate a promuovere forme di democrazia diretta e socialità in quartieri abbandonati da governi e amministrazioni e ad offrire ai cittadini servizi che la mano pubblica non vuole garantire per favorire le logiche di privatizzazione.
Sportelli per la casa, palestre popolari, biblioteche, teatri, spazi musicali e ritrovi per gli studenti. Luoghi di dibattito e di formazione politica per vivere la città. Per non sentirsene emarginati. Persone, quelle degli spazi sociali, che lottano contro il degrado culturale e politico che penalizza soprattutto il popolo delle periferie.
Con la disfatta della precedente amministrazione capitolina, firmata da un partito come il PD che è il puntello strutturale dei diktat della BCE sulle amministrazioni locali, si dà il via a un movimento per un modello di città alternativo e ribelle che si è presentato con una manifestazione di migliaia di persone “Roma non si vende” del 19 marzo scorso. Comitati contro le privatizzazioni, gli sgomberi e gli sfratti, per la ripubblicizzazione dei servizi come l’acqua e il recupero di quei luoghi che sono stati sottratti alle speculazioni per essere dati in pasto al mercato, lavoratori comunali che lottano per il salario e insegnanti degli asili che rivendicano il posto di lavoro. Ora la nuova giunta Raggi deve far capire velocemente se si trincererà dietro lo slogan grillino della “legalità” (che finora è stata usata per difendere gli interessi di privati e speculatori) oppure se aprirà alle istanze che nascono dai conflitti sociali e dalle lotte per una città ribelle che rifiuta le logiche liberiste. Saprà recepire la voce di questa città che pretende ora la difesa del Bene comune di fronte agli interessi privati e che chiede ripublicizzazione e internalizzazione dei servizi accanto al riconoscimento e affidamento all’uso collettivo dei beni comuni urbani?
Il movimento #DecideRoma #Decidelacittà, d’altra parte, ha già espresso chiaramente la propria posizione che è quella proporre pubblicamente modelli alternativi di forme di autogoverno e controllo popolare, sulla scia del modello Napoli di De Magistris, ma in autonomia dalle istituzioni locali occupando con forme di conflitto gli spazi che eventualmente si creeranno tra aspettative popolari e determinazioni amministrative.
Una moratoria immediata sugli sgomberi in vista della cancellazione della delibera 140/2015 è il primo banco di prova con cui si misureranno queste aspettative. Così come subito dopo lo saranno i processi di internalizzazione e ripubblicizzazione dei servizi e un audit pubblico e dal basso sulla legittimità o meno de pagamento del Debito che grava su Roma Capitale.
#DecideRoma, in rappresentanza di tanti cittadini e cittadine che amano Roma e vogliono viverla come bene pubblico accessibile a tutti, hanno già incontrato il neosindaco Raggi, allora ancora candidata, in un’assemblea pubblica al Nuovo cinema Palazzo, proprio nel quartiere San Lorenzo per un confronto su questi temi. E in quel confronto fu presentato a lei e ad altri candidati il lavoro della “Carta di Roma Comune” che contiene una bozza di proposte, programmi e principi fondativi da allargare a tutta la città. Ed è questo il documento che anche oggi all’assemblea di piazza Sanniti è stato rivendicato come manifesto per il ripristino dei luoghi sociali della città e per l’avvio di un laboratorio sui Beni comuni urbani. Quello che si presenta alla nuova amministrazione è un’idea di partecipazione diretta e popolare per il controllo e l’indirizzo dei servizi e delle risorse pubbliche, perché Roma diventi della collettività dei cittadini e non di un pugno di speculatori e aziende private. Questo è il senso del passaggio da “Roma non si vende” a “Decide Roma”: aprire una stagione del pubblico sotto controllo popolare che soppianti il modello liberista che ha dominato favorendo gli interessi speculativi di chi ha messo le mani sulla città per privatizzarla.
Fra i principi fondativi della carta di Roma Comune si parla di come risollevare la città dal degrado e dallo sfacelo in cui è piombata per l’incuria e i malgoverni precedenti. Si rifiuta senza appello la vendita dei beni pubblici così come si rifiuta e si contesta un debito di 14 miliardi non accumulato “per aver vissuto sopra le nostre possibilità” ma, al contrario, per aver attuato i modelli liberisti che hanno indirizzato le risorse verso speculazione, rendita, esternalizzazioni, privatizzazione e precarietà lavorative: i semi che hanno alimentato la malapianta di Mafia Capitale.
Per questo ora il debito non può e non deve pesare sulle tasche della stragrande maggioranza della popolazione romana (delle periferie in primis) che non sono in debito ma in credito verso la mala gestione delle pubbliche amministrazioni. Per questo la carta insiste inoltre sull’uso collettivo “di ciò che è comune” e rivendica la partecipazione dei cittadini alla gestione delle risorse per riqualificare gli spazi urbani. A partire dall’utilizzo di quelli dismessi per favorire la vita sociale e la cultura. Sì al riconoscerne la legittimità dell’uso, nel riconoscerne la valenza sociale. Perché una società che nega innovazione e crescita è una società ingessata, immobile. No alle privatizzazioni degli spazi pubblici o alla gestione lucrosa degli stessi. Sì anche al diritto primario alla salute e alla cura, come sancisce l’art.32 della Carta costituzionale e all’accesso libero ai beni comuni naturali, come l’acqua, l’energia e il territorio.
In Piazza dei Sanniti a rappresentare questa occasione imperdibile per Roma, il neo assessore all’urbanistica Paolo Berdini. Un compagno della sinistra sociale che ha ricordato il suo impegno coi movimenti ma anche con alcuni partiti (Rifondazione in particolare) in un’epoca in cui il comunismo sembra essere il “fantasma del Louvre”. Un discorso semplice e diretto che sostiene le ragioni dell’assemblea ma a cui chiede anche “aiuto” perchè si vada avanti in un processo di trasformazione radicale dei modelli partecipativi. Infatti quanto questo sia un suo sentito e accorato appello di condivisione o quanto invece sia espressione della nuova giunta “tutta” non è ancora chiaro e lo si capirà nelle prossime settimane. Lo lasceranno lavorare per mettere in atto il suo programma per salvare Roma dallo sfacelo urbanistico e dalla speculazione privata? La Giunta reggerà l’urto delle pressioni dei poteri forti e delle forze politiche di segno opposto a quelle di Piazza dei Sanniti? “Una piazza strapiena piena di giovanissimi e di persone non giovanissime. Anziani che come me non si sono arresi alla storiella che non ci sono i soldi e che bisogna rinunciare alla qualità della vita. Questa parte non ci ha creduto e ha costruito alcuni saperi che sono poi diventati patrimonio diffuso - dice Berdini. C’è l’altra parte della piazza, quella dei giovani, che sta pagando prezzi inauditi per questa scellerata concezione che s’è stabilita in Italia con grande soddisfazione di coloro che si chiamano democratici di sinistra. Stiamo in un momento di passaggio che può chiudersi immediatamente. O stiamo sulla corda oppure non ci capita un’altra occasione come questa”. E prosegue: “ Non c’è solo la delibera 140 scritta da ragionieri senza pietà, noi abbiamo il pareggio di bilancio che è scritto nella Costituzione del nostro paese.” E rivela il suo punto di vista sulle Olimpiadi: “Ci dicono che con le Olimpiadi il futuro sarà radioso. Con i Mondiali del ‘90, con i mondiali di nuoto del 2008 non è stato così. Abbiamo 13 miliardi e mezzo di deficit accumulato grazie a questa urbanistica scellerata. Noi dobbiamo portare le urbanizzazioni in luoghi che stanno a 12 km dal Gra. Li paghiamo noi, li pagano questi ragazzi che non hanno più un luogo dove poter esprimere la propria creatività, la propria interiorità. Non c’è più nulla per nessuno”.
Sugli spazi sociali Berdini chiede una collaborazione ma mette in guardia che l’iniziativa autonoma dei movimenti ha una sua importanza: “Questa storia la dobbiamo far finire in questo breve periodo in cui siamo sulla scia di una vittoria imponente. Chi ha perso sta cominciando a tessere la sua tela. Vi prego quindi di essere rigorosi nel manifestare la vostra posizione, sappiate che avete di fronte un’amministrazione che vuole ascoltare le vostre esigenze e vogliamo ragionare insieme a voi su un futuro possibile per questa città”.
In piazza interviene anche Carmine Piscopo l’assessore al patrimonio dell’amministrazione comunale di Napoli, a portare ai cittadini romani l’esperienza di una città che è oggi un riferimento importante per le conquiste sociali e che è autore proprio di una delibera che riconosce ufficialmente agli spazi occupati che svolgono una funziona sociale il ruolo “pubblico” e quindi inalienabile. Sulla stessa scia di Berdini, ma ovviamente più forte per la felice esperienza nella sua città: “Queste piazze saranno sempre più piene, queste collettività diventeranno sempre più forti. A Napoli lo sappiamo e partiamo da quella che abbiamo voluto definire un’anomalia Napoli. Anomalia perché ha voluto coniugare le stesse lotte, ma salvando quelle che sono le nostre reciproche autonomie, le nostre differenze. Abbiamo riconosciuto insieme però che la lotta oggi è la stessa. A Napoli non dismettendo, non privatizzando ci siamo accorti che stiamo risanando il debito. Ci siamo accorti che all’interno delle collettività sociali c’è una grande forza. Questi spazi noi non li chiamiamo spazi occupati, ma liberati. Noi oggi non crediamo più ai grandi racconti, a quello che ci vogliono far credere. Basta con la legalità formale, quello che a noi interessa promuovere è la giustizia sociale”.
Dall’esperienza napoletana del sostegno popolare a De Magistris interviene anche un giovane di Massa critica: “Con energia e rigorosità nel progetto di recupero degli spazi sociali e del Bene comune, il movimento è riuscito a fare recepire il messaggio alle istituzioni che hanno legittimato nello Statuto comunale l’utilizzo degli spazi sociali negli edifici dismessi offrendoli alla città. Un esempio di democrazia popolare che anche Roma non può lasciarsi sfuggire.”
Delusi invece quelli che all’assemblea di San Lorenzo attendevano il sindaco capitolino. Un’occasione persa per condividere con i cittadini e dare il via ad un confronto tra la nuova amministrazione e le associazioni della città.
Le lotte sociali per riappropriarsi delle città e il No al referendum di Novembre, la battaglia contro il DDL Boschi e il governo Renzi, potrebbero restituirci parte di quella sovranità popolare che ci apparterrebbe per Costituzione (e per cui abbiamo sempre dovuto lottare perchè inapplicata), ma che ora i dettami europei vorrebbero cancellare del tutto.
E non occorre aspettare l’autunno perchè la sfida è già sul tavolo e le risposte non si devono fare attendere. Infatti subito all’indomani dell’assemblea i corpi di Polizia a Roma hanno sgomberato lo studentato occupato Point Break forzando, di fatto, la mano per riportare il piano del confronto nella città da quello politico a quello repressivo e, per giunta, a difesa della rendita immobiliare. Le risposte dei movimenti non si sono fatte attendere con le occupazioni del Municipio da parte degli occupanti e dell’assessorato all’Ambiente da parte dei lavoratori dei canili comunali che chiedono l’internalizzazione del servizio e la risoluzione del loro problema occupazionale, nonché del destino degli animali della struttura comunale. Ora la Raggi non può esimersi dal prendere una posizione pubblica.