TAV e altre grandi opere in regime capitalistico: affari, sfruttamento e contraddizioni. Dietro la follia (anche economica) del TAV ci sono le scelte del capitale che nella crisi sperimenta e impone un vero e proprio modello, in aperta contraddizione con l’interesse collettivo.
di Pasquale Vecchiarelli
Uno dei tratti caratteristici del regime capitalistico nella sua fase monopolistica, vale a dire l’imperialismo, è la tendenza sfrenata al superamento di tutte quelle barriere (ad esempio doganali, stradali ma anche linguistiche, etc..) che limitano in qualsiasi modo il libero - e rapido - scambio delle merci. Avvicinare i mercati, ridurre i tempi di produzione e connetterne le varie fasi in un’epoca ormai dominata da procedimenti di fabbricazione dai caratteri transnazionali: sono tutte risultanti del generale processo di accumulazione che richiede necessariamente, al fine di rigenerare se stesso e, di conseguenza, la società borghese, un progressivo e crescente livello di alienazione (furto) di valore. Ovvero, simmetricamente, potremmo senz’altro affermare che è esattamente in tale quadro generale di espansione capitalistica e di sempre maggiore sfruttamento della forza lavoro che s’inseriscono a pennello gli investimenti nelle grandi opere infrastrutturali.
Se si volessero analizzare la genesi e la natura di tutte le grandi annessioni capitalistiche avvenute nella storia recente, otterremmo molteplici riconferme della robustezza di quanto affermato da questo schema, con un ulteriore rilievo: le grandi opere infrastrutturali che sono seguite a queste stesse aggregazioni, hanno contribuito a calcificarne l’ossatura.
È pur vero, tuttavia, che questo modello analitico, qui semplicemente enunciato per ragioni di brevità, va necessariamente considerato nella sua essenza generale, nella sua forza motrice, e non pretende di esaurire in sé tutta la discussione nel merito della questione, che rimane estremamente complessa. Il rischio di cadere in contraddizioni, seppure solo apparenti, in queste evenienze è grosso.
Un caso su tutti sia da paradigma: il TAV Torino-Lione.
Analizzando la questione del TAV, la prima contraddizione, apparente per l’appunto, balza all’occhio osservando i grafici della circolazione di merci su quella tratta dagli anni ’90 ad oggi e paragonando l’andamento dei flussi reali con quelli stimati in alcuni studi condotti da LTF (Lyon Turin Ferroviaire S.A.S).
La linea blu descrive l’andamento del traffico reale sulla tratta del Frejus, in calo dalla metà degli anni ‘90 ai giorni nostri, mentre la linea tratteggiata di colore rosa rappresenta il livello di capacità della ferrovia attuale; le rimanenti curve illustrano previsioni di traffico realizzate con diversi modelli di stima da LTF.
Due cose possono agilmente essere evinte per il tramite di questo grafico: innanzitutto le stime finora effettuate sono state tutte puntualmente disattese nella realtà economica e, inoltre, questione forse ancor più rilevante, l’utilizzo della linea esistente si assesta al disotto del 50% della sua attuale capacità di carico.
La domanda sorge spontanea : perché tanto interesse alla realizzazione di un progetto che sembrerebbe inutile e inefficiente anche agli stessi scopi di espansione capitalistica?
La risposta a questa contraddizione apparente è veramente complessa, ed in questa sede limito la trattazione ad alcune osservazioni che vedranno uno scrupoloso approfondimento nel prossimo futuro.
Innanzitutto il TAV è un buon affare in sè. Osservando il grafico che segue ci possiamo rendere conto delle cifre esorbitanti che gravitano attorno a questo genere di progetti infrastrutturali [1] [2] e della loro “curiosa” distribuzione a seconda del paese committente.
Il costo della Torino-Lione è attualmente stimato, attingendo ai dati de il Sole 24 ore [1], intorno ai 12 miliardi di euro di soldi pubblici. Affari miliardari, dunque, dove a sobbarcarsi i maggiori oneri è direttamente lo Stato (vedi debito pubblico). Quale Paperon de’ Paperoni non investirebbe immediatamente in un mercato dove, a priori, ha la garanzia assoluta di riuscire a monetizzare, in poco tempo e interamente, tutti i profitti? Non solo. Oggi, a trent’ anni dall’avvio delle famose “riforme strutturali”, siamo dinnanzi al compimento di una trasformazione epocale: la totale privatizzazione della committenza pubblica. TAV S.p.A. (controllata al 100% da RFI a sua volta completamente controllata dalla Holding Ferrovie dello Stato) può legalmente operare nel duplice ruolo di committente e concessionario; l’azienda infatti può lecitamente affidare senza alcuna gara pubblica la realizzazione completa dell’opera ad un “general contractor”, il quale, per obbligo di legge, deve essere uno tra i più grandi gruppi industriali italiani (come FIAT group, per intenderci) che a sua volta, e senza nessun vincolo, può subappaltare ad una sua controllata – ad esempio Impregilo – dando il via ad una catena di numerosi subappalti verso un numero infinito di ulteriori piccole imprese che realizzeranno il progetto in diversi lotti. Ed è su queste piccole imprese, appunto, che viene scaricato tutto il peso, in termini di estrazione del profitto, di questa complessa macchina da soldi. Un peso che per essere sorretto non può che cercare di evadere dai recinti costituzionali. Sotto questo aspetto non deve, infatti, stupire la diffusione di infiltrazioni mafiose, lavoro nero e sottopagato, scarsa sicurezza sul lavoro e via discorrendo.
Dietro una grande opera come il TAV Torino-Lione non si cela solo un grosso affare ma qualcosa di peggio. In esso si realizza, infatti, una gestione privatistica (e monopolistica) della cosa pubblica, una concentrazione fortissima di potere economico e politico nelle mani della borghesia che oggi impara a gestire progetti e trasformazioni sempre più complesse, a chiudere alleanze solide a livello transnazionale. Tutto questo a discapito di una classe operaia sempre più debole, incosciente, frammentata ed impossibilitata a confrontarsi perché decisamente incapace di sostituirsi nella gestione alla classe dominante.
Di fronte a tutto questo ci sono popoli che resistono e movimenti organizzati, consapevoli, cui aderiscono sempre più soggetti a prescindere dal coinvolgimento diretto dei loro territori di appartenenza. Persone che hanno ogni diritto ad opporsi all’ennesimo tentativo del grande capitale di rapinare i lavoratori del loro tempo, dei loro soldi, del loro lavoro, della loro dignità, del loro ambiente all’unico scopo di ingrassare ancor di più le insaziabili pance dei padroni. Persone che per la loro protesta vengono incriminate per terrorismo.
È infatti questa una lotta che non si sviluppa solamente sul piano del confronto politico: il maxi-processo ai militanti no TAV, il caso del giornalista Davide Falcioni ci dimostrano che purtroppo anche i tribunali sono luoghi nei quali resistere.
Bibliografia
[1] |
Il sole 24 ore, [Online]. Available: http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2014-10-24/il-costo-tav-sale-12-miliardi-063902.shtml?uuid=ABfB4I6B. |
[2] |
I. Cicconi. [Online]. Available: http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/10/il-libro-nero-della-tav-di-ivan-cicconi-capitolo-1-la-madre-di-tutte-le-bugie/156600/. |