Abolizione dell’abuso d’ufficio, dai giudici i primi dubbi di legittimità costituzionale

Come auspicato (o paventato) da molti, stanno arrivando alla Consulta le richieste di esame della legittimità costituzionale della riforma Nordio che ha abrogato l’abuso d’ufficio. La prima è del Tribunale di Firenze per violazione del diritto internazionale e lesione dei principi di buon andamento e imparzialità della PA.  


Abolizione dell’abuso d’ufficio, dai giudici i primi dubbi di legittimità costituzionale Credits: https://pixabay.com/it/photos/giustizia-statua-dublino-irlanda-626461/

Come auspicato (o paventato) da molti subito dopo l’approvazione della riforma Nordio (legge 9 agosto 2024, n. 114), stanno già arrivando alla Corte costituzionale le richieste dei giudici ordinari per un controllo di legittimità, cioè per un controllo sulla conformità della legge alla Costituzione, soprattutto nella parte in cui ha cancellato, dopo 94 anni di onorata carriera, l’articolo 323 del codice penale che puniva l’abuso d’ufficio commesso da un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio [1]. La prima ordinanza di rimessione degli atti alla Consulta, perché compia questo controllo, è datata 24 settembre e proviene dal Tribunale di Firenze [2].

I giudici del capoluogo toscano, durante lo svolgimento di un processo penale, hanno pensato di chiedere alla Corte costituzionale un controllo di legittimità dell’articolo 1 della riforma Nordio - proprio quello che ha abrogato l’abuso d’ufficio - per possibile violazione degli articoli 11, 117 e 97 della Costituzione. I magistrati hanno infatti ipotizzato che l’abrogazione dell’abuso d’ufficio avrebbe prodotto due conseguenze:

1. l’inosservanza degli obblighi che incombono sul nostro Paese dall’adesione alle convenzioni internazionali, con violazione degli articoli 11 e 117 della Costituzione che impongono proprio il rispetto di tali obblighi. L’Italia ha infatti aderito alla Convenzione dell’ONU contro la corruzione del 2003 (la c.d. Convenzione di Merida), che vincola i paesi aderenti che non la prevedono a considerare di adottare una norma penale che punisca l’abuso d’ufficio ed obbliga, invece, gli altri a mantenere in vita tale reato. L’Italia, che già prevedeva l’abuso d’ufficio tra i suoi reati penali al momento dell’adesione alla Convenzione, è tenuta così a conservarlo. Per cui l’abrogazione dell’articolo 323 del codice penale compiuta dalla legge 114 comporterebbe una palese violazione della Convenzione di Merida;  

2. la lesione dei principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, sanciti dall’articolo 97 della Costituzione (“i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione”), perché d’ora in avanti non sarà più possibile punire l’abuso di potere di un pubblico ufficiale o di un incaricato di un pubblico servizio a danno di un cittadino, oppure a vantaggio proprio o di altri.  

Com’è noto, l'abuso d'ufficio, previsto dall'abrogato articolo 323 del codice penale, puniva “il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto”. La sua abolizione è stata voluta e salutata favorevolmente da più parti, soprattutto sindaci e pubblici amministratori, che hanno sempre temuto di incappare nelle maglie di tale delitto durante l’esercizio della loro funzione. Essi basavano la loro posizione sostanzialmente su tre argomenti: a. la scarsa concreta applicazione di tale reato (sono state poche le condanne inflitte negli anni per l’articolo 323 del codice penale); b. la deflazione del carico di lavoro dei giudici dopo la sua abrogazione; c. la possibilità di perseguire gli abusi di funzionari e amministratori pubblici infedeli ricorrendo ad altre norme punitive.

Chi, invece, ha criticato l’abrogazione dell’articolo 323 ha affermato che d’ora in avanti non sarà più permesso ai giudici di controllare il rispetto delle leggi da parte degli altri poteri, trasformando così l’Italia nell’unica democrazia europea a non avere un reato specifico per punire il pubblico ufficiale che “intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale e arreca ad altri un danno ingiusto”. Tale abrogazione, poi, comporterà pure una amnistia mascherata, perché tutti coloro che sono stati finora condannati per questo reato potranno chiedere – come del resto sta già avvenendo in molti tribunali - la revisione della decisione, ottenendo così la pulizia della loro fedina penale. 

Ritornando ora alla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Firenze, essa è avvenuta nel corso di un complesso procedimento penale aperto contro un magistrato accusato, insieme ai carabinieri, di avere adottato un decreto di sequestro preventivo di quote sociali al di fuori dei presupposti di legge e solo per danneggiare alcuni imprenditori e favorirne altri. La riforma Nordio, intervenuta durante il processo, impedirà ai giudici di applicare all’imputato l’articolo 323 del codice penale, col rischio di mandarlo assolto, senza la possibilità di punire un simile comportamento illegittimo. La parola passa adesso alla Corte costituzionale, che quanto prima dovrà decidere sul quesito posto dai magistrati toscani sull’abrogazione di un reato così rilevante per il nostro ordinamento giuridico.  

Anche la Procura della Repubblica di Catania, nel corso di un processo che si sta svolgendo nel tribunale etneo su presunti concorsi truccati nell'ateneo, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale sull’abrogazione dell'articolo 323 del codice penale. I giudici hanno già fissato una nuova udienza per sentire le parti e poi decidere sulla richiesta degli inquirenti.

Note:

[1] Ne avevamo già parlato su questo giornale

[2] Il testo lo si può leggere qui.

11/10/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Ciro Cardinale

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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