Mercoledì 27 settembre, alle ore 18, avrà luogo il quarto incontro del corso: controstoria della filosofia e della storia, introdotto dal prof. Renato Caputo, dedicato all’analisi, in una prospettiva marxista, dei comuni e di Abelardo. Per una introduzione al corso, in cui si chiariscono le motivazioni che hanno portato alla scelta del tema, rinvio all’articolo: Le ragioni di una controstoria del medioevo pubblicato in questo settimanale. Di seguito potete leggere una versione sintetica dei temi che saranno affrontati e discussi nel quarto incontro, al quale si potrà partecipare in diretta facebook https://www.facebook.com/unigramsci/, in videoconferenza per i membri dell’Unigramsci o per chi ne farà richiesta. Il video del corso sarà disponibile nei giorni successivi sul canale youtube dell’Università popolare Antonio Gramsci, sulla pagina facebook e sul sito.
La fortuna dell’argomento ontologico
L’argomento di Anselmo non solo sarà ripreso da altri pensatori medievali, ma a esso si rifaranno alcuni dei massimi filosofi moderni come Cartesio, Spinoza e Leibniz. Mentre Kant si richiamerà agli argomenti di Gaunilone e Tommaso.
Il pensiero teologico di Anselmo
Il pensiero teologico di Anselmo segue Agostino di Ippona. Anselmo se ne allontana sostenendo che la libertà è stata conservata dall’uomo nonostante il peccato originale, cioè con quest’ultimo l’uomo ha perso la libertà, ma non la capacità di essere libero, libertà che può conseguire con il supporto della grazia. La libertà dell’uomo non è limitata neppure dalla prescienza divina. Dio prevede cosa farà l’uomo, ma prevede che lo farà in modo libero.
L’Europa dei comuni
In un mondo feudale in crisi sorgono i comuni
A partire dall’XI secolo vi è una rinascita delle civiltà sorta sulle ceneri dell’impero romano, dopo secoli di dominazione, prima dei barbari, poi degli arabi a sud, dei normanni a nord e degli ungari a est. Tale rinascita è connessa a uno sviluppo economico. Vi è un parziale recupero del controllo sul mediterraneo e i mari del nord, principali vie dei commerci, precedentemente dominati dai pirati saraceni e normanni.
Risorgono, in particolare in Italia, le città
Ciò permette un primo superamento della società feudale, società della crisi caratterizzata dal ritorno a una agricoltura di sussistenza. Risorgono le città e ne sorgono di nuove intorno alle fiere, dove si svolgono i commerci, in particolare nelle Fiandre, nello Champagne e nella Pianura padana. Per la prima volta si inverte il flusso migratorio, non si va più, come dopo il crollo della civiltà antica dalle città alle campagne, ma al contrario vi è l’inurbamento. Il fenomeno riguarda in primo luogo l’Italia, il paese delle città, costrette a costruire nuove cinte murarie.
Enfiteusi e mezzadria
Cambia la funzione della città rispetto all’alto medioevo, quando era essenzialmente sede vescovile o del feudatario scarsamente abitata e sede di un mercato locale. Ora la città diviene centro di ampi traffici, si sviluppano la manifattura e i servizi. Tale sviluppo dei commerci costringe a una progressiva ritirata il sistema feudale dominante. Da una parte sempre più servi si rifugiavano nelle città, dall’altra anche i feudatari si inurbano. Così fra le città e le remote campagne rimaste feudali si sviluppa un modo più moderno di governare la terra, non più servi che producono per i signori, ma concessionari che gestiscono la terra in modo più moderno per i proprietari attraverso l’enfiteusi e la mezzadria.
Sorge la borghesia
Soprattutto nelle città sorge un ceto intermedio, fra servi e signori, che si chiama borghesia, dal termine borgo. Ne fanno parte: mercanti, artigiani ricchi, liberi professionisti, come giuristi e medici, e la borghesia finisce per inglobare anche i proprietari terrieri inurbati. Tale unità avviene per dominare il popolo minuto, i non proprietari: giornalieri, servi e poveri cioè un proto proletariato e sotto-proletariato. D’altra parte tale unità e associazione è funzionale a strappare il governo della città ai vecchi ceti dominanti, signori feudali e vescovi, indeboliti dalla lotta per le investiture. Si ha così una svolta nella gerarchia dominante nell’alto medioevo, con il sorgere dell’organizzazione di classe dei ceti medi, che prendono progressivamente il controllo dei borghi.
L’assemblea diventa la base del governo cittadino
Tale tendenza all’associazione, in particolare quelle proto-borghesi, caratterizza il processo di urbanizzazione in Italia, Fiandre, Germania e Francia. Abbiamo le confraternite religiose, le associazioni di comune difesa armata e, soprattutto, funzionali alla conquista del potere.
Il sorgere del parlamento
In primo luogo si associano i più ricchi, impegnandosi a rispettare le decisioni della loro assemblea che si chiamerà parlamento e che gestisce i loro interessi economici, regolamenta il mercato e garantisce la pace cittadina, in funzione del dominio e dei commerci dei ceti abbienti. Si sviluppa un dualismo di poteri fra la giurisdizione feudale, regia o vescovile – fondata sulla gerarchia e l’arbitrio – e la giurisdizione “privata” dell’assemblea dei più ricchi, relativamente egualitaria al proprio interno. Il rapporto fra i due poteri è in parte conflittuale, in parte di alleanza per tenere sottomesso il popolo minuto. Alla fine l’assemblea dei ricchi ha il sopravvento nelle città, anche se rimane l’accordo, per quanto conflittuale, con il potere feudale nelle campagne, con le autorità politiche – re e imperatori – ed ecclesiastiche.
La conquista violenta o pacifica del potere
La conquista del potere da parte dei nuovi ricchi avviene spesso per via rivoluzionaria, con rivolte sanguinose, scontri violenti fino all’uccisione o espulsione del vescovo o feudatario. Altre volte si trova un accordo fra borghesia mercantile e feudatari inurbati, per non indebolire il comune dominio economico sul popolo minuto, in vista della realizzazione di un potere autonomo, con la creazione di un blocco sociale.
Da dove deriva la parola comune?
Con il termine “Comune” si indicano forme di autogoverno delle città apparse in Germania, Inghilterra, Francia, Fiandre e, soprattutto, in Italia nate come associazioni private di cittadini sorte per affermare le loro rivendicazioni nei confronti del signore fino a ottenere poi il riconoscimento da parte dell’autorità superiore (signore, vescovo, re o imperatore) che gli concedevano la carta comune ovvero l’insieme dei diritti e privilegi della comunità in cambio di ingenti somme di denaro o di condizioni politiche particolari, ad esempio il mantenimento dei loro rappresentanti all’interno della città. Quando i signori si rifiutavano di concederla si ricorreva alla rivolta armata.
Le istituzioni principali del governo comunale erano i consigli o arenghi che eleggevano come loro rappresentanti i magistrati o consoli. Essi rimanevano in carica un tempo breve, massimo un anno per evitare che si formassero potentati e per consentire la rotazione tra le famiglie più ricche e potenti della città, cioè quelle di origine feudale, di mercanti ed esperti in legge. I cittadini a pieno diritto erano pochi, essendo escluse le donne, la massa dei servi, i lavoratori giornalieri, gli immigrati, i disoccupati, le minoranze religiose.
La nascita del comune ebbe ripercussioni sul piano urbanistico: era necessaria una residenza per i magistrati e gli uffici amministrativi; la piazza e il palazzo comunale divennero ovunque il simbolo dell’autonomia cittadina e punto di aggregazione dei cittadini.
Il comune in Italia
Le forme comunali si affermarono in modo più deciso in Italia settentrionale: vescovi intraprendenti – dopo la dissoluzione dell’impero carolingio – si appropriarono dei poteri pubblici appoggiati dalle comunità cittadine composte da gruppi sociali eterogenei – ossia mercanti, artigiani, piccoli proprietari, giudici e notai – che partecipavano anche all’elezione del vescovo. Ma, a partire dall’XI secolo, con la lotta per le investiture, i vescovi vennero imposti o dal papa o dall’imperatore: si formarono così nelle città due opposti schieramenti politici: il ceto dominante e gli esclusi dal potere: schierarsi dalla parte del papa o dell’imperatore era irrilevante. Il comune nell’Italia settentrionale servì anche per pacificare una situazione di violente lotte intestine. Nel meridione, a causa dell’affermarsi di una monarchia accentratrice, inaugurata dai normanni, la concentrazione dei comuni era piuttosto bassa; i comuni del nord invece dipendevano dall’imperatore, spesso assente, e la loro autonomia era sovente incoraggiata dal papato per indebolire ulteriormente la presenza dell’imperatore nella penisola.
I comuni italiani, a differenza di quelli transalpini, non restarono legati alla cerchia delle mura cittadine e quindi isolati dalle campagne dominate dai feudatari, anzi i feudatari spesso si stabilivano in città e facevano parte o anche controllavano le istituzioni comunali, mantenendo il controllo sul territorio circostante: da qui la tendenza dei comuni italiani a estendere la propria autorità anche al di fuori delle mura. È il fenomeno dell’irradiazione del potere politico del comune sul contado. In conseguenza di ciò i comuni italiani assunsero subito la fisionomia di Stati territoriali con tendenze espansionistiche. Gli abitanti del contado non godevano degli stessi diritti degli abitanti delle città e subivano da essi un forte prelievo fiscale.
In Italia del nord, mancando un forte potere esterno, i comuni divengono piccoli Stati che si espandono sino a controllare province o regioni. Dove il potere centrale è forte, come nella monarchia francese, vi è un accordo fra proto-borghesia mercantile e sovrano, ma lo sviluppo autonomo dei comuni è, in tal modo, limitato.
Abelardo
Pierre Abelard nasce vicino Nantes nel 1079, insegna dialettica e dal 1113 teologia presso la scuola Cattedrale di Parigi. Dotato di grande potenza comunicativa, ottiene un enorme successo, che rende celebre la scuola di Parigi e dà impulso al sorgere da essa dell’università. In seguito la lascia per fondare una propria scuola in cui vive con i suoi allievi in modo comunistico. Decidendo di sposare la sua allieva Eloisa, contraria perché non gli voleva rovinare la carriera, subisce la castrazione da parte dei fratelli. Il suo pensiero libero e rivoluzionario gli attira persecuzioni e condanne, ad esempio della sua dottrina sulla trinità. Muore nel 1142 ed è sepolto vicino a Eloisa, con cui ha la storia d’amore più celebre e profonda del medioevo, di cui ci resta un prezioso epistolario.
Ragione e autorità
Abelardo sostiene il diritto della ragione, per cui si può credere solo a ciò che si capisce, altrimenti si crederebbe anche a chi dice il falso. L’autorità ha valore solo fino a che la ragione non accerta da sé la verità.
Sic et non
In Sì e no, mette in luce come agli stessi problemi i padri della chiesa abbiano dato risposte opposte. Dunque non basta la fede o seguire i dogmi, ma è necessario fare uso della propria ragione.
La rivalutazione dei pensatori pagani di cui coglie analogie con la religione cristiana
L’importanza che dà alla ricerca razionale porta Abelardo a valorizzare i filosofi pagani, tanto da pensare che siano in accordo con il cristianesimo.
L’ottimismo metafisico
L’azione di dio nel mondo è secondo Abelardo necessaria. Dio non può volere che il bene. La volontà divina non è un cieco arbitrio ed egli fa ogni cosa nel migliore dei modi possibili. Da ciò deriva l’ottimismo metafisico di Abelardo, per cui tutto ciò che accade è bene, dal momento che accade per volontà di dio. Tutti i mali del mondo hanno un fine positivo, per quanto possa essere nascosto.
L’etica
Per Abelardo l’uomo è libero perché può agire in base al proprio giudizio razionale. L’uomo rinuncia a tale libertà quando agisce seguendo l’istinto. La moralità dipende dalla capacità di superare le inclinazioni naturali. La virtù consiste nella lotta e nella vittoria con il vizio che è la propensione al male. Quando si cede, si commette peccato. Il desiderio invece, secondo Abelardo, non è né buono né cattivo, ma è, come il corpo, una caratteristica dell’uomo.
Una morale dell’intenzione
Le intenzioni, ovvero il modo di assecondare o meno i desideri, rientrano invece nell’ambito morale. Basta l’intenzione a determinare il peccato e l’azione non aggiunge nulla di peggiore. Così se si desidera la donna altrui non si pecca, ma solo se si segue tale inclinazione a prescindere dal compimento o meno dell’azione. Le cattive azioni non sono tutte peccaminose per Abelardo, in quanto possono essere involontarie e coatte e, perciò, non bisogna giudicare gli altri, perché non conosciamo l’intenzione del loro agire. Un’azione può essere buona anche se non si realizza, come una cattiva resta tale anche se non giunge a compimento, mentre delle azioni cattive possono non essere colpevoli.
Una moralità interiore contro l’esteriore formalismo religioso
Questa etica rivolta all’interiorità individuale è opposta al formalismo esteriore religioso e all’importanza data nel medioevo ai rituali esteriori. Se l’intenzione è tutta interiore e soggettiva, i valori per Abelardo sono del tutto oggettivi.
La mistica
Al contrario della scelta razionalista di Abelardo, la mistica è lo sforzo di vincere la finitezza dell’uomo e congiungersi a dio in virtù della grazia. La mistica tende a criticare la via razionale, che sopravvaluterebbe la ragione umana e non valorizzerebbe come il mistico lo slancio d’amore verso dio.
Bernardo di Chiaravalle
Fondatore della mistica medievale è Bernardo di Chiaravalle, nato in Francia nel 1091. Egli considera inutili le discussioni filosofiche. L’unica cosa importante a suo avviso è conoscere Gesù e tale conoscenza si ha attraversando i gradi della via mistica: il primo grado è l’intenzione dell’anima; il secondo l’intuizione e la contemplazione; tale momento si articola in ammirazione ed estasi, excessu mentis, in cui l’anima si perde in dio. L’estasi è un processo di deificazione in cui l’uomo si spoglia del proprio corpo e dell’umanità.