Una testimonianza diretta dal Vietnam che festeggia oggi i quarant’anni della sua eroica liberazione, pietra miliare di tutta la decolonizzazione e della lotta per il socialismo. Tra le tante acquisizioni della nuova era e le cicatrici dolorose che ancora segnano un intero popolo.
di Fabio Marcelli
Davvero emozionante, per me, partecipare qui in Vietnam al quarantennale della liberazione e riunificazione del Paese. Stamattina ho assistito, nella splendida cornice di Ho Chi Minh City (già Saigon), oggi una luminosa metropoli di oltre dieci milioni di abitanti, alla parata celebrativa.
Va detto che si è trattato di una parata molto sostenibile dal punto di vista ambientale, senza neanche un carro armato, un blindato, un aereo o un elicottero, ma la partecipazione di numerose organizzazioni di massa e reparti militari che davano vita a una festosa coreografia variopinta. Vedendo sfilare un reparto di operai in tuta armati mi è venuto in mente il vecchio slogan "Democrazia è il fucile sulla spalla dell'operaio". Ma oltre e più delle armi le migliaia di persone perfettamente organizzate e disciplinate che hanno dato vita alla parata portavano fiori e indossavano divise e vestiti, tradizionali o meno, di ogni colore.
Questa è in effetti la cifra fondamentale del Vietnam di oggi, pronto alla cooperazione, al dialogo e allo scambio con tutti, all'insegna dello slogan "Costruire il futuro senza dimenticare il passato". In questi quarant'anni il Vietnam ha saputo compiere sbalorditivi passi avanti da ogni punto di vista. Alla crescita economica si è accompagnato lo sviluppo dell'infrastruttura, che qui viene intesa essenzialmente dal punto di vista sociale, come capacità di garantire alla popolazione i diritti fondamentali alla salute e all'istruzione. Realtà rispecchiata anche nelle parole, molto significative, di un veterano statunitense che ha partecipato a uno dei molti incontri che, con un'ampia delegazione internazionale di cinquanta e più persone, abbiamo svolto ad Hanoi e stiamo ora svolgendo ad Ho Chi Minh City: "Se è vero che il futuro di un Paese si legge nello sguardo dei suoi giovani, posso dire di aver visto, qui in Vietnam, molti giovani ottimisti, fiduciosi e sorridenti, il che lascia davvero ben sperare nel futuro del Vietnam".
Il gruppo dirigente del Paese è impegnato a costruire una democrazia partecipativa di massa e sono significativi da questo punto di vista anche i dati relativi all'accesso a Internet, che vede oltre trenta milioni collegati su di una popolazione di ottantasette, e ben tre milioni di blogger attivi. Davvero sorprendente appare la capacità del gruppo dirigente storico, quello che ha combattuto per oltre trent'anni prima i giapponesi, poi i francesi e infine gli statunitensi, di trasmettere alle giovani generazioni il proprio bagaglio di valori e la fiducia nel lavoro collettivo, che da sempre costituisce un carattere proprio di questo popolo.
Questo aspetto è stato significativamente rievocato dall'ottantottenne Costas, un greco che, non potendo rientrare nella sua patria, che settant'anni fa era in preda alla guerra civile, si arruolò nella Legione straniera. Portato a combattere in Vietnam, incontrò una giovane vietnamita e, presa coscienza del suo ruolo, disertò e divenne combattente del Viet Minh. "Mi insegnarono che anche il combattimento è un'impresa collettiva", ha detto Costas, in seguito divenuto maggiore dell'esercito di liberazione e insignito della più alta onorificenza militare, "eroe dell'esercito popolare".
Con Costas ho avuto stamattina a colazione anche uno scambio di idee sulla situazione della Grecia: "Non è ammissibile che ci vogliano imporre le loro ricette su come uscire dalla crisi", mi ha detto. E ancora: "Privatizzano solo per chiudere le strutture produttive, come è successo nei più importanti cantieri nautici greci svenduti ai tedeschi".
Certo, c'è ancora molto da fare per eliminare le conseguenze della guerra, dove in alcune province, come Quang Tri, ben l'ottanta per cento del suolo è ancora infestato dalle mine. Per non parlare del micidiale defoliante "agent orange" contro il quale i giuristi democratici stanno svolgendo un'importante e difficile battaglia nei tribunali degli Stati Uniti e sul piano internazionale, per ottenere il risarcimento degli enormi danni (degrado ambientale permanente e migliaia di bambini che tuttora nascono malformati) da parte delle multinazionali colpevoli della produzione del defoliante, quali Dow Chemicals e Monsanto.
C'è ancora molto da fare ma l'esempio del Vietnam segna, in modo luminoso la storia dell’umanità e, nonostante il silenzio dei media, niente e nessuno riuscirà a cancellarlo. Un esempio che vale in modo universale e quindi anche per noi, specialmente per tutti coloro che, nelle scuole, nelle università e nei posti di lavoro si mobilitavano, quaranta e più anni fa anche per il Vietnam. Ma poi se ne sono in certa misura dimenticati.