Un celebre detto di Mao Tse Tung sostiene: “grande è la confusione sotto il cielo, dunque la situazione è [per noi] favorevole”. Tale massima, apparentemente paradossale, diviene pienamente condivisibile quando la confusione domina nel campo avversario, o comunque si afferma in uno Stato nazione dominato dal nemico di classe. In quest’ultimo caso, significa che l’ideologia dominante, strumento di egemonia del blocco sociale che detiene il potere, è in crisi e anche lo Stato, quale strumento del dominio di classe di un blocco sociale, è in crisi, non riesce a imporre la propria volontà di potenza e questo crea la possibilità di sviluppare un dualismo di potere che produce una situazione potenzialmente rivoluzionaria. Ben diversa è la situazione se la confusione domina nelle fila delle classi dominate e nell’opposizione di classe al dominio della borghesia. Ciò non solo impedisce di sfruttare la situazione favorevole, prodotta dalla grave crisi strutturale del modo di produzione capitalistico, ma impedisce alle classi subalterne e alle loro aspiranti avanguardie di mettere quantomeno in discussione l’egemonia e il dominio del blocco sociale borghese.
Dunque, è essenziale per i subalterni, gli oppressi, gli sfruttati, per uscire da tale condizione, cercare di contrastare in ogni modo la confusione nelle proprie fila. Tuttavia, sino a qui abbiamo detto cose ovvie, la questione più complessa che ci dobbiamo porre è se in questo determinato momento storico la confusione regni nel nostro campo a livello nazionale e internazionale. Evidentemente la risposta non può che essere in generale, purtroppo, affermativa. D’altra parte è importante, per mantenere un’analisi dialettica della fase attuale, cogliere per valorizzarli i segnali di controtendenza. Fra questi va innanzitutto ricordato Potere al popolo!, che pur non avendo ancora potuto invertire la tendenza dominante al predominio della confusione nel nostro campo, tuttavia rappresenta, oggettivamente, un significativo elemento in grado di contrastare tale tendenza.
Seconda questione ancora più rilevante, esistono a livello internazionale delle significative controtendenze? Presumibilmente no e, tuttavia, riteniamo che lo sforzo fatto dal Parti de Gauche (PG), per quanto al momento limitato al piano essenzialmente europeo, costituisca un significativo potenziale elemento di controtendenza. Certo è evidente che, in prima istanza, superare la confusione dominante nel proprio campo implichi un processo di superamento dialettico delle differenze indifferenti che ostacolano il complesso processo di unificazione sul piano politico delle classi subalterne. D’altra parte bisogna tener egualmente presente l’aforisma, apparentemente paradossale, di Hegel: “Esiste davvero un partito quando esso si scinde in sé (…). Poiché nello scindersi la differenza interna si costituisce come realtà” [1].
Si tratta, evidentemente, di una problematica centrale nella riflessione e nell’analisi politica del più significativo marxista e comunista italiano, Antonio Gramsci, che da una parte ha fondato un quotidiano chiamato “l’Unità” – in quanto mirava alla costituzione di un blocco sociale dei subalterni, formato essenzialmente da proletariato urbano e rurale – dall’altra non si stancava di insistere sullo spirito di scissione, nei confronti dei revisionisti e dei riformisti, da cui era sorto, sulla linea sancita dalla Terza Internazionale, il Partito comunista d’Italia.
Tornando alla scelta del Parti de Gauche di rompere con la Sinistra europea in quanto quest’ultima, sebbene si definisca partito, non lo è nei fatti – in quanto incapace di praticare lo spirito di scissione rispetto a Syriza che, al governo in Grecia, ha finito per farsi garante dell’applicazione delle ricette di austerità imposte dalla Troika – non possiamo che considerarla favorevolmente. Come non possiamo che considerare altrettanto favorevolmente l’importante dichiarazione, già riportata nel nostro editoriale della settimana scorsa, di Eric Coquerel, noto esponente del PG, che ha risposto così all’accusa – che gli viene generalmente rivolta dai revisionisti, contrari allo spirito di scissione e favorevoli all’Unione dei paesi imperialisti europei – di essere portatori di un nazionalismo di sinistra: “Quello che noi costruiamo con ‘Ora il Popolo’ è la prova che noi abbiamo una visione internazionalista. Per contro, quello che per noi sarà centrale in queste elezioni [del parlamento europeo] è la questione della sovranità popolare. È alla base di tutto. Noi dobbiamo rompere con questa Unione Europea antidemocratica. Quella è una macchina per la costruzione di nazionalismi, di xenofobia e di ripiegamento su se stessa. Non ne possiamo più di discorsi socialdemocratici che lasciano credere che potremo riformare questa UE dentro il quadro dei trattati liberali”.
Tale dichiarazione comprende elementi di chiarificazione essenziali – rispetto ai tentativi, di aumentare la confusione nel nostro campo, portati avanti dai revisionisti – sottolineando che tale scissione non è fine a se stessa, ma mira a costituire una unificazione fra le forze internazionaliste di contro all’UE che, nei fatti, negando la sovranità popolare, favorisce il sorgere del nazionalismo e del razzismo. Dunque, evidentemente, con questa dichiarazione l’esponente del PG vuole distinguere la propria posizione da quella nazionalista e xenofoba (con cui è sovente malignamente confusa) che non rivendica, di contro all’Ue, la sovranità popolare, ma l’interclassista sovranità nazionale che, in società sempre più multietniche, finisce con il favorire – nei fatti – la xenofobia. Inoltre la dichiarazione rivendica con forza la necessità di ricostruire un’unità di classe attraverso lo spirito di scissione con le forze revisioniste della socialdemocrazia che sostengono un processo di unificazione europea che mira a negare la stessa sovranità popolare.
D’altra parte, come riguardo all’importante esperimento di Potere al popolo!, che sosteniamo in quanto più significativa controtendenza al dominio della confusione nel nostro campo, ciò non ci impedisce di esercitare l’irrinunciabile spirito critico che deve caratterizzare un giornale comunista, discorso analogo deve necessariamente valere rispetto alla posizione del PG. Nella stessa importante presa di posizione, sopra richiamata, di Coquerel, fra i molteplici aspetti positivi che abbiamo appena sottolineato, vi sono alcuni segnali che non possono che portarci a esercitare il nostro spirito critico.
Innanzitutto il dirigente del PG, dopo aver in modo sacrosanto rivendicato l’internazionalismo di contro al nazionalismo di sinistra, lo declina sul piano delle elezioni del Parlamento europeo. Per quanto si tratti indubbiamente di un appuntamento elettorale da non trascurare e di un significativo momento per praticare il proprio internazionalismo, non si può a tal riguardo non praticare lo spirito di scissione che separa i comunisti dai populisti di sinistra, che considerano le elezioni parlamentari borghesi lo strumento principale per “abolire lo stato di cose presente” [2]. Tanto più che si tratta di elezione del parlamento europeo, ovvero di un’istituzione dell’Ue che, come sottolineato dallo stesso dirigente del PG, è antitetica sia all’internazionalismo, in quanto favorisce il risorgere di nazionalismo e xenofobia, sia alla sovranità popolare. Inoltre il Parlamento europeo, oltre a costare enormemente di più dei parlamenti nazionali, ha molto meno potere reale di questi ultimi, visto che le sue risoluzioni non sono in nessun modo vincolanti né per i singoli paesi, né per l’Ue nel suo complesso. Tanto è vero che il Parlamento europeo è stato il prodotto di una rivoluzione passiva, operata dall’oligarchia che da sempre domina l’Ue, di contro alle sempre più insistenti rivendicazione dal basso della sovranità popolare. Infine è evidente che l’Ue sia antitetica all’internazionalismo, in quanto mira a unire i paesi europei che condividono il pensiero unico dominante neoliberista.
Altro aspetto allarmante nel ragionamento, per lo più pienamente condivisibile di Coquerel, e più in generale nella linea del PG, è che come “prova” del proprio sacrosanto internazionalismo richiami Ora il popolo, ovvero il percorso comune intrapreso, sulla base della dichiarazione di Lisbona, in primo luogo dal PG, dalla spagnola Podemos e dal portoghese Bloco de Esquerda. In effetti, come aveva osservato a ragione Gramsci: “se a uno strumento si domanda più di quanto può dare, se si fa credere che uno strumento possa dare più di quanto la sua natura consente, si commettono solo spropositi, si esplica un’azione puramente demagogica” [3].
In altri termini, la questione è se Ora il popolo sia veramente lo strumento adatto per l’obiettivo essenziale che ha portato il PG a praticare lo spirito di scissione con la Sinistra europea, ossia “rompere con questa Unione Europea antidemocratica”. Non solo, infatti, di tale rottura non c’è traccia nella dichiarazione di Lisbona – sulla cui base è nato Ora il popolo – ma in essa non vi è nessun riferimento allo stesso, ormai celebre, “Plan B”. Quest’ultimo, tatticamente, potrebbe essere un accettabile compromesso – visti gli attuali rapporti di forza fra comunisti e sinceri democratici – per tenere insieme la duplice esigenza di costruire il blocco sociale delle classi al momento subalterne, mantenendo vivo lo spirito di scissione. Il Piano B prevede, se non fosse possibile riformare in senso socialdemocratico l’Ue, la necessità della rottura anche di un singolo paese con essa. Evidentemente i comunisti non possono che ritenere irriformabile l’Ue e, quindi, ritengono indispensabile passare, nel più breve tempo possibile, dall’utopistico piano A, al realistico piano B. Altrettanto evidentemente andare al di là di questo compromesso tattico – imposto dalla fase storica di debolezza delle forze internazionaliste – con i sinceri democratici che ritengono riformabile l’Ue non è possibile andare, in quanto comporterebbe nei fatti accettare nel fronte unico, che si va a costruire, l’egemonia dei riformisti e dei revisionisti.
Ora è evidente che la rottura con la catena dei paesi imperialisti, avrà definitivamente successo se si affermerà al livello internazionale, ma essa rimarrà una pura utopia se non si partisse dalla rottura dell’anello più debole. Se ne deduce che l’internazionalismo a ragione rivendicato da PG debba dialettizzarsi con il tentativo di creare le condizioni per rompere la catena degli Stati imperialisti a partire dal proprio. Dunque, è evidente che la linea internazionalista del PG debba dialettizzarsi con la necessità di superare la confusione dominante nel proprio campo, purtroppo, anche in Francia. Si tratta anche in questo caso di praticare lo spirito di scissione con quelle forze socialdemocratiche che, in nome dell’unità di azione, tattica, con le forze social-liberiste, sacrificano la propria identificabilità da parte del proletariato, quale avanguardia politica della lotta all’austerità imposta dalla Troika.
Appare quindi giusta la posizione del PG di rompere con le forze socialdemocratiche dominanti nel Partito comunista francese che, in nome della tattica dell’unità di azione con i socialisti, ritengono necessaria l’austerità. Altrettanto corretta ci pare la posizione di rompere con la maggioranza delle forze della Sinistra europea che ritengono necessaria l’unità di azione con le forze del socialismo europeo, favorevoli alle politiche di austerità.
Non può, d’altra parte, che rimanerci il legittimo dubbio che Ora il popolo non sia lo strumento adeguato alla realizzazione di questo giusto scopo. Anche perché, al di là della stessa discutibile Dichiarazione di Lisbona, a differenza del Pg la maggioranza sia di Podemos che del Bloco de esquerda sono contrarie al Plan B, ritenendo necessariamente prioritaria la lotta per la democratizzazione dell’Ue. Inoltre, le maggioranze di ambedue queste forze politiche non sembrano condividere la più che legittima necessità di praticare lo spirito di scissione, sostenuta dal PG, nei riguardi delle forze socialdemocratiche che ritengono necessarie applicare, anche se in modo possibilmente soft, le politiche di austerità, proprio per non essere estromessi dall’Ue.
Note
[1] G.W.F. Hegel, Aforismi jenesi, Feltrinelli, Milano 1981, p. 57.
[2] K. Marx-F. Engels, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1972, pp. 24-25.
[3] A. Gramsci, Sindacalismo e Consigli, in “l’Ordine Nuovo” [1919], ora anche in Bordiga-Gramsci, Dibattito sui consigli di fabbrica, Samonà e Savelli, Roma 1971, p 45.