La sconfitta di Hillary Clinton alle presidenziali dello scorso novembre, conseguenza della profonda crisi sociale negli Usa e della sempre minore credibilità di entrambi i partiti di governo, ha determinato un inaspettato cambiamento che mette in discussione e rischia di stravolgere la strategia finora condotta dall'imperialismo sotto la guida di Obama, che aveva raggiunto importanti risultati (per loro), tra cui in particolare la riconduzione di buona parte dell'America Latina all'ordine neoliberale e il forte indebolimento economico della Russia.
Trump, osteggiato dall'establishment di entrambi i partiti, con la sua politica apertamente reazionaria all'interno e potenzialmente meno controllabile all'estero, minaccia di generare instabilità nel cuore dell'Impero e di conseguenza indebolire la presa degli Stati Uniti sul mondo.
La nuova situazione, dall'esito al momento imprevedibile, apre delle possibilità alla sinistra di classe americana di organizzare una resistenza di massa nel Paese. Nonostante l'effetto anestetizzante della figura di Obama, negli ultimi otto anni ci sono state mobilitazioni interessanti come Occupy Wall Street o Black Lives Matter, e anche l'illusoria campagna di Sanders ha mostrato il consenso che parole d'ordine radicali iniziano a raccogliere presso larghi strati della popolazione statunitense.
Su queste e altre questioni abbiamo intervistato John Catalinotto, da anni in prima linea, responsabile esteri del Workers World Party/Partido Mundo Obrero, organizzazione che ha come obiettivo quello di lavorare a una ricomposizione e riunificazione in un fronte unitario dei diversi soggetti della sinistra di classe negli Usa.
[Domanda]. È passsata poco più di un mese dall'entrata in carica di Trump come presidente degli Usa e la tensione nel Paese è già alle stelle, con migliaia di persone scese in piazza contro le sue prime decisioni : qual è il punto di vista del Workers World Party sulla situazione attuale e come vi state muovendo ?
[J.C.] Chi avesse pensato che il nuovo presidente sarebbe tornato sui suoi passi rispetto all'esagerata retorica della campagna elettorale e che si sarebbe comportato come un normale CEO dell'imperialismo USA sarà dispiaciuto. La nuova amministrazione ha colpito il mondo come uno tsunami.
L'unica buona notizia è che una sezione della popolazione ha continuato a resistere all'inondazione in una maniera imprevedibile anche fino a qualche settimana fa.
Nelle prime tre settimane Donald Trump ha annunciato le seguenti misure:
La costruzione della Dakota Access Pipeline a della XL Pipeline; queste sono aperture per l'industria petrolifera, un assalto all'ambiente e un attacco diretto ai popoli indigeni.
La costruzione di un muro o barriera al confine tra USA e Messico continuerà e il Messico pagherà per essa. Le sue parole al presidente messicano sono state così insultanti che persino Peña Nieto ha cancellato la sua visita a Washington. Trump ha anche parlato di mandare truppe all'interno del Messico per ripulirlo dalle gang.
In maniera simile, ha minacciato l'intervento federale nella città di Chicago se l'amministrazione cittadina “non sistema il massacro che sta avvenendo”. Non è chiaro se facesse riferimento alle truppe federali, ma l'affermazione è stata vista come un attacco agli Afro-americani.
Ha minacciato la salute delle donne in tutto il mondo tagliando il finanziamento Usa alle istituzioni sanitarie che anche solo menzionino la possibilità di aborto. In patria ha nominato alla Corte Suprema un giudice noto per la sua opposizione al diritto di scelta delle donne.
Trump ha attaccato un gruppo dietro l'altro di quelli che sono scesi in piazza il 21 gennaio nelle proteste di 3,3 milioni di persone guidate dalle donne. Ma poi si è superato risvegliando la più attiva opposizione a quello che è ora famoso come “Muslim Ban”.
Il presidente, l'ideologo razzista e Consigliere per la Sicurezza Nazionale Stephen Bannon, il Generale Michael Flynn e il resto della gang di Trump dietro le porte della Casa Bianca, il 26 gennaio hanno emesso un divieto di ingresso di 90 giorni per persone provienti da 6 paesi prevalentemente islamici – Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan e Yemen – e un divieto permanente per i cittadini e rifugiati siriani.
Il divieto originario includeva anche tutte le persone in possesso di “green card” che permetteva loro di vivere e lavorare negli Usa. Questo significa un divieto per centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo.
Il divieto ha provocato un'ondata di proteste senza precedenti negli aeroporti. In totale ci sono state – al 30 gennaio -100 manifestazioni in 42 stati, e stanno continuando. Migliaia di persone sono andate nei maggiori aeroporti e in decine di aeroporti più piccoli nel Paese. Queste azioni sono un rifiuto politico dell'infame islamofobia che Trump ha attizzato per un anno e mezzo.
Solo la lotta di massa che è scoppiata negli aeroporti il giorno successivo ha costretto il capo dell'Homeland Security, il Generale John Kelly, a revocare il divieto per le “green card”. Al 6 febbraio, le decisioni dei tribunali hanno fermato l'amministrazione dall'applicazione del divieto e molti rifugiati e immigrati fermati agli aeroporti sono potuti entrare negli USA o perlomeno hanno visto fermarsi le deportazioni.
Un nuovo senso di solidarietà ha pervaso il movimento, che ha avuto cognizione della sua forza alla Marcia delle Donne del 21 gennaio. Quella forza si è trasformata in solidarietà e nel rifiuto militante dell'islamofobia. Ciò è estremamente importante dal momento che il sentimento anti-islamico è stato un sostegno ideologico e politico fondamentale della classe dominante e dell'establishment politico dagli attacchi dell'11 settembre a oggi.
È ufficialmente per proteggere gli Usa da organizzazioni terroristiche come al-Qaeda e lo Stato Islamico (IS) che la gang di Trump ha imposto il divieto. Ma il divieto è parte di un'offensiva più generale contro il mondo islamico del Medio Oriente e del Nord-Africa, ricco di petrolio e strategico geopolitcamente.
Molte persone hanno sottolineato che sei su sette dei Paesi inclusi nel divieto – con la sola eccezione dell'Iran – sono stati bombardati e/o invasi dagli Usa negli ultimi 15 anni, sotto amministrazioni repubblicane o democratiche.
I bombardamenti non sono certo iniziati con Trump.
Sono proprio il Pentagono e la Cia ad essere responsabili per la crescita di gruppi come al-Qaida e l'IS. Washington ha bombardato 11 paesi islamici negli ultimi 25 anni. Il Pentagono ha inflitto indicibile distruzione, sofferenza e morte su molti Paesi, dall'Afghanistan alla Somalia.
Se negli ultimi 10 anni la maggior parte della popolazione Usa ha accettato passivamente l'intervento dell'esercito Usa in quella parte del mondo, ora la solidarietà mostrata agli islamici può portare molti a mettere in discussione le basi ideologiche e materiali che hanno portato al divieto stesso.
[D.] La sua elezione è giunta inaspettata e la maggioranza dell'establishment Usa – ad es. la Cia – sembra volerlo contrastare, in particolare a causa delle sue dichiarazioni sulla normalizzazione del rapporto con la Russia. Dall'altro lato, la nuova amministrazione sembra identificare la Cina come il suo obiettivo principale. Come ritenete che si risolveranno queste contraddizioni e quale pensate possa essere la sua politica estera?
[J.C.] Attualmente larghi gruppi della classe dominante si oppongono alla presidenza Trump, anche se tutti i settori sono soddisfatti delle sue promesse di tagliare le tasse e allentare i controlli sulle imprese. Non apprezzano il suo stile autocratico che li lascia fuori dalle decisioni. Hanno paura che i suoi attacchi sconsiderati generino una rivolta di massa che vada oltre al mero appoggio ai politici “democratici“.
Questa opposizione della classe dominante a Trump è insidiosa per i lavoratori e per le popolazioni oppresse negli Usa. Il Partito Democratico e il resto dell'establishment non possono portare alcuna soluzione. Tuttavia, la rottura nella classe dominante e specialmente nei suoi mezzi di comunicazione fa continuamente crescere la critica a questa amministrazione presso la popolazione.
La paura e la rabbia generati dall'amministrazione Trump hanno già portato a delle azioni dirette nelle strade, il che dà la possibilità di sviluppare un movimento non solo contro il nuovo presidente, ma contro la guerra imperialista e le aggressioni Usa.
Se Trump non è stato il primo a bombardare questi paesi, ha però già dato il suo consenso a un attacco brutale nello Yemen. Ha continuato a minacciare uno scontro economico e anche militare con la Cina, minaccia di interrompere la normalizzazione delle relazioni con Cuba e lui e i suoi generali minacciano di rompere il trattato con l'Iran, se non scatenarvi una guerra aperta.
La sua rappresentante nelle Nazioni Uniti, Nikki Haley, ha appoggiato l'aggressione ucraina contro le repubbliche del Donbass e ha intimato alla Russia di restituire la Crimea all'Ucraina, e questa è una delle aree in cui Trump avrebbe dovuto essere più aperto al dialogo.
[D.] Per portare avanti il suo piano di riportare le fabbriche negli Usa senza andare contro agli interessi delle imprese, dovrà necessariamente attaccare duramente le condizioni dei lavoratori americani.
Qual è lo stato della sinistra di classe americana e quali le prospettive di costruire un movimento di resistenza dal carattere di massa, senza che sia controllato e manipolato dal Partito Democratico e dalle sue ramificazioni?
[J.C.] Noi della sinistra negli Usa abbiamo di fronte un periodo tumultuoso. Ci saranno attacchi costanti a tutti i settori della classe lavoratrice e una minaccia permanente di guerra. Ci aspettiamo, però, di avere anche un'opportunità di organizzare una resistenza potente e unita al regime apertamente reazionario di Trump.
Ci sono già stati appelli sui social media per uno sciopero generale contro la nuova amministrazione. Alcuni propongono l'8 Marzo, la Giornata Internazionale delle Donne, o il Primo Maggio, la Giornata Internazionale dei Lavoratori, che quest'anno cade di lunedì. Negli Usa, il Primo Maggio non è una giornata di festa, quindi una manifestazione di massa in quella data già di per sé significherebbe un'astensione dal lavoro per almeno una parte della giornata.
Il Workers World Party sostiene che sia venuto il momento di uno sciopero generale, o anche di uno sciopero generale globale contro l'amministrazione Trump. Sapremo se le masse sono intenzionate a unirsi a uno sciopero generale di questo tipo solo se ci sarà, da parte di sufficienti organizzazioni, la volontà e l'impegno di lottare per esso.
In un certo modo questo appello ha delle somiglianze con lo sciopero avvenuto questo Ottobre in Italia che ha portato nelle piazze i lavoratori che si opponevano alle riforme della costituzione proposte da Renzi. C'erano diverse forze ad opporsi alle “riforme”, e le organizzazioni più rivoluzionarie hanno tentato di prendere l'iniziativa in modo che fossero le istanze della classe lavoratrice a guidare il movimento contro il cambiamento della Costituzione.
Nel 2006 il movimento degli immigrati negli Usa ha tenuto delle gigantesche manifestazioni per il Primo Maggio in tutto il Paese, mostrando che anche senza l'appoggio del mondo sindacale tradizionale, un'azione di quel tipo era possibile.
L'appello del WWP quest'anno sottolinea le rivendicazioni che un'azione di massa di questo tipo dovrebbe fare proprie, in modo che non sia limitata a un'opposizione solo a questa amministrazione:
“Lo sciopero generale del Primo Maggio deve sollevare le rivendicazioni dei movimenti dei lavoratori e degli sfruttati contro gli attacchi crescenti del capitalismo. Queste includono, ad esempio, le rivendicazioni contro gli attacchi ai sindacati e quelle che si rivolgono alla lotta dei lavoratori sottopagati, quindi la lotta per un salario minimo”.
In ogni caso, il punto centrale dello sciopero generale del Primo Maggio deve essere contro tutto ciò che Trump rappresenta: il razzismo, il suprematismo bianco, il neo-fascismo, l'islamofobia, gli attacchi contro gli immigrati, le donne e gli omosessuali, e una spinta verso la guerra imperialista
Soprattutto, lo sciopero generale del Primo Maggio deve essere contro l'intero sistema del capitalismo e dell'imperialismo, per il socialismo. Costruire un fronte unitario tra le forze più militanti e rivoluzionarie può contribuire a renderlo possibile.