Si apre a Parigi la Conferenza per la pace in Medio Oriente senza l’apporto diretto dei principali protagonisti, ma con la possibilità di avviare una nuova fase di negoziati gestiti in modo plurale e multilaterale, anziché, come finora è stato, sotto l’unica direzione degli USA.
di Bassam Saleh*
La capitale francese ospita, da venerdì 3 giugno, una conferenza internazionale per la pace in Medio Oriente, per rilanciare il processo di pace tra israeliani e palestinesi, giunto a un punto morto da oltre un quarto di secolo. Dalla convocazione della Conferenza di pace di Madrid nel mese di ottobre 1991, è stato istituito l’avvio del processo di pace, che ha portato agli accordi di principio di Oslo tra l'OLP e Israele, poi (l’accordo di Wadi Araba) tra Giordania e Israele.
La Conferenza di Parigi, vedrà la partecipazione di ventotto Stati controbilanciati e influenti nella politica internazionale e nel destino del Medio Oriente, in testa i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, oltre agli Stati della Lega Araba, come l'Egitto, l'Arabia Saudita e la Giordania.
L'iniziativa francese, oggi, è concentrata sullo sviluppo di norme condivise per risolvere le questioni fondamentali, “irrisolte per le debolezze o i difetti degli accordi di Oslo”, e raggiungere un accordo di pace definitivo. Diversamente dai meccanismi di attuazione voluti degli Stati Uniti, che hanno lasciato alle parti la responsabilità di negoziare e concordare senza alcun controllo o garanzia, o riferimenti o interventi internazionali.
Oggi, l'iniziativa francese richiede titolo per determinare il periodo di tempo per eventuali futuri negoziati tra le parti, e determinare gli argomenti controversi che devono essere risolti, e misure internazionali con obbligo attuativo per le parti, in un modo che permetta di arrivare a un accordo definitivo dettagliato per la soluzione dei due Stati. Questo richiede un patrocinio internazionale diretto e multi-laterale, basato sulle risoluzioni internazionali pertinenti.
I lavori della conferenza, descritti come preparatori, inizieranno in assenza dei principali protagonisti del conflitto, vale a dire la Palestina e Israele.
La leadership palestinese ha accolto con favore l’iniziativa francese, il presidente palestinese Abu Mazen nel recente incontro dei ministri degli esteri arabi, ha ribadito la posizione e le richieste palestinesi, alla conferenza di Parigi come ad altri sforzi volti a risolvere il conflitto, basate sul principio dei due Stati: il ritiro israeliano dai territori occupati nella guerra del giugno 1967, la risoluzione del problema dei profughi come previsto dalla risoluzione internazionale 194 del 1948. Oltre al resto, che è noto come questioni relative allo status finale cioè (insediamenti, profughi, Gerusalemme, confini, acqua).
L’iniziativa francese è stata accolta con apatia da parte degli Stati Uniti e freddezza dalla Russia che chiede soluzione globale per il M.O; il governo israeliano l’ha respinta con riserva. Tuttavia la diplomazia francese ha continuato a sottolineare la necessità di tenere la conferenza e di creare un clima politico e diplomatico adeguato per il ritorno al negoziato israelo-palestinese, onde evitare l'esplosione del processo di pace già congelato, se non morto e sepolto, per l’intransigenza e la prepotenza del governo dei partiti estremisti religiosi israeliani.
Non vi è alcun dubbio che la Francia e l'Unione europea, che hanno stretti legami con Israele sin dalla sua creazione (1948), sono consapevoli della gravità e delle conseguenze della morte del processo di pace, non solo sulla sicurezza e la stabilità dei paesi dell’UE, ma anche sul futuro dello stesso Israele. Considerando la variabilità della situazione nella regione come un sensore per l’Europa, la gravità del fenomeno del terrorismo che affligge la regione e le sue schegge volatili per le capitali europee, basti pensare a Parigi, Londra e Bruxelles. La diplomazia francese conscia di questi rischi messi insieme, e dopo il fallimento degli Usa, che per decenni hanno padroneggiato i negoziati fra le due parti, sembra che Parigi sia determinata a tenere la conferenza e punti al suo successo, oltre il livello di gestione della crisi.
L'iniziativa francese dovrebbe porre fine al monopolio degli Stati Uniti e adottare il principio della internazionalizzazione del processo di pace in modo plurale e multilaterale. Certo è che i palestinesi preferiscono un processo sotto l’egida della Francia e dell’Europa piuttosto che l'unicità degli Stati Uniti, alleati e protettori di Israele. Ben sapendo le contraddizioni fra Usa e Ue, e i rapporti consolidati dell’Ue con Israele, è molto chiaro per i palestinesi che l’Europa e la Francia non cambieranno la loro politica nei confronti d’Israele, ma l’auspicio è che sia una politica equilibrata fra le parti. In modo di poter fare pressioni politiche sul governo israeliano, e non solo sulla leadership palestinese, come hanno fatto gli Usa negli ultimi venti anni.
Dall’altra parte, vista la situazione in Medio Oriente, per Israele questo è il momento favorevole per arrivare a una soluzione politica. Altrimenti il rischio è che ci sarà un solo stato, quello israeliano, con un regime di apartheid, che continua a occupare i territori di un altro stato, riconosciuto dall’Onu, pur sulla carta, ma è sempre uno stato osservatore dell’assemblea generale dell’Onu.
Nella speranza che la conferenza di Parigi porti venti di pace in questa parte del mondo martoriata da troppe guerre e silenzi.
*Giornalista palestinese