Nazi e omicidi: la Germania si processa

Quello che doveva essere un processo per dieci omicidi a sfondo razzista si sta trasformando in un procedimento contro le deviazioni dei servizi segreti tedeschi. Un gruppo terroristico denominato “Clandestinità Nazista”, ha operato almeno dal 1998 sino al 2011 soprattutto contro immigrati turchi e greci, indisturbato da chi era a conoscenza della sua attività criminale.


Nazi e omicidi: la Germania si processa

 

Quello che doveva essere un processo per dieci omicidi a sfondo razzista si sta trasformando in un procedimento contro le deviazioni dei servizi segreti tedeschi. Un gruppo terroristico denominato “Clandestinità Nazista”, ha operato almeno dal 1998 sino al 2011 soprattutto contro immigrati turchi e greci, indisturbato da chi era a conoscenza della sua attività criminale.

di Corrado Lampe

Il 17 dicembre scorso, con la 172ma udienza, si è concluso a Monaco di Baviera il secondo anno del processo per la serie di omicidi compiuti dalla cellula terroristica neonazista denominata “Nazionalsozialistischer Untergrund” (Clandestinità Nazista), nota con la sigla NSU. In Italia questa sigla fa al massimo pensare a una piccola berlina degli anni '70 e tutta la storia sui nostri quotidiani, nelle televisioni ed in rete, ha trovato poca eco e la voce in italiano di Wikipedia è estremamente imprecisa e non riesce a dare lontanamente un'idea del caso.

A monte del procedimento giudiziario c'è una storia lunga e complessa iniziata circa venti anni fa e mano a mano che il dibattimento va avanti sempre più particolari sorprendenti vengono a galla. Ma vediamo i fatti.

Il 26 gennaio 1998 la polizia della Turingia operò delle perquisizioni domiciliari in seguito al ritrovamento di bombe di fattura piuttosto artigianale. A casa di tre appartenenti ad una rete neo-nazista, già noti da tempo, furono rinvenuti ordigni identici, oltre a vario materiale documentario. I tre, Uwe Mundlos, Uwe Böhnhardt e Beate Zschäpe entrarono in clandestinità, facendo perdere le proprie tracce.

I due uomini riapparirono circa quattordici anni dopo, il 4 novembre 2011, in una drammatica sequenza criminale ad Eisenach, sempre in Turingia. Erano in trasferta a bordo di un camper per eseguire una rapina. Il colpo andò bene, ma non fecero in tempo ad uscire dalla città, rimanendo intrappolati nel cerchio dei posti di blocco. Attesero nel camper l'evoluzione degli eventi e quando videro avvicinarsi dei poliziotti appiccarono il fuoco e si suicidarono a colpi di pistola.

Erano ancora in corso i rilievi per identificare i due rapinatori quando qualche ora dopo a Zwickau, a circa 180 chilometri di distanza, salta in aria un appartamento che era stato  incendiato. Il pronto intervento dei vigili del fuoco permise alla polizia di recuperare molto materiale, tra il quale diverse armi da fuoco, un computer, che poi si rivelerà importantissimo e dei CD con un filmato di rivendicazione di 10 omicidi. Fu subito chiaro che ci si trovava di fronte alle macerie del sicuro nascondiglio dei tre latitanti. I due del camper furono infatti identificati per Mundlos e Böhnhardt, dopo di che la polizia si mise alla ricerca della Zschäpe, sospettata per l'esplosione di Zwickau. La ricerca non durò molto, visto che la donna si presentò dopo quattro giorni di fuga agli inquirenti, ma per non dire assolutamente nulla, se non “sono quella che cercate”.

Il caso sembrava risolto. Tre fanatici neonazisti, costituenti un gruppo isolato e senza contatti esterni, apparentemente avulso dagli ambienti di estrema destra noti, aveva concluso la propria attività. Non ci si chiedeva nemmeno con troppa insistenza che cosa avessero fatto durante i dieci anni di fuga passati in un comodo appartamento superattrezzato, come se si fossero dedicati esclusivamente a delle rapine di autofinanziamento tra Sassonia e Turingia. A cambiare la scena fu la Zschäpe, la quale, prima di costituirsi, aveva spedito per posta a vari indirizzi il DVD con le rivendicazioni. Un cartone animato della Pantera rosa manipolato con discreta professionalità racconta in modo cinico ed irriverente dell'esecuzione sommaria di otto turchi, un greco e una poliziotta, alla quale avevano preso la pistola e tenuto per ricordo le manette.

Sino ad allora, dopo ogni omicidio, le varie polizie (in Germania ogni Land ha il proprio corpo di polizia) avevano cercato i colpevoli esclusivamente tra gli immigrati stessi, dando per scontata la traccia del racket, della resa di conti tra spacciatori, di odii tra le varie etnie anatoliche o manifestazioni di non meglio precisate mafie straniere. Nonostante il fatto che tutte le esecuzioni furono eseguite seguendo un copione sempre uguale, non c'è stato scambio di informazioni tra i diversi comandi e mai nessuno ha avuto il sospetto che si potesse trattare di crimini a sfondo razzista compiuti da elementi neonazisti.

Questa prima anomalia emersa, mise in allerta i rappresentanti di diversi partiti e si formarono commissioni d'inchiesta regionali e una federale. Venne a galla una serie di fatti incredibili: in diversi servizi di sicurezza, sia a livello locale, sia a livello federale, decine di faldoni con documenti e migliaia di file informatici riferibili al gruppo NSU, del quale ufficialmente non si sarebbe saputo nulla, erano stati distrutti e cancellati in modo illegale.

Seguì la solita sequenza di dimissioni per stendere un pietoso velo sull'accaduto, ma la richiesta di spiegazioni non si placava. Le scuse furono quasi peggio del danno, dato che da parte dei vari servizi si disse che in merito ai documenti non si seguivano con molta attenzione le norme. Ne risultava un'immagine alquanto strana dei servizi tedeschi, quasi fossero un comitato dei festeggiamenti per il carnevale. Non solo Edathy, presidente della Commissione d'inchiesta federale, ma anche il ministro degli interni federale pro tempore, il cristiano-sociale bavarese Friedrich, fecero dichiarazioni roventi e pretesero provvedimenti per chiarire fino in fondo quali fossero le responsabilità dei servizi.

Nel 2013 si arrivò al processo. Dato che la metà degli omicidi era avvenuta in Baviera, il tribunale competente risultò quello di Monaco, dove fu allestita una aula-bunker con delle misure di sicurezza mai viste prima; all'ingresso venivano perquisiti anche i poliziotti.

Prima ancora di iniziare scoppiò una polemica per gli accrediti alla stampa, distribuiti in modo alquanto insolito, tanto che i rappresentanti della stampa turca e greca rimasero esclusi. Le proteste furono tali, che l'inizio del processo fu rinviato di un mese per procedere a una nuova assegnazione.

L'attenzione insolita per questo processo è un altro segno distintivo che ne conferma l'importanza e il peso. La Süddeutsche Zeitung, quotidiano di Monaco, ma letto in tutta la Germania, pubblica in un blog i protocolli dei dibattimenti, riassunti poi in un fascicolo speciale a fine anno. Secondo la cronista che segue il processo, qui si tratta della storia della Germania e la stessa giornalista crede che comunque alla fine molti dubbi e interrogativi resteranno. Non a caso, dunque, il processo, che durerà, secondo le attuali previsioni almeno fino alla fine del 2016, è già stato oggetto di elaborazioni teatrali e argomento di alcuni radiodrammi.

Il giudice che presiede la corte, otto togati in tutto, non è uno qualsiasi, ma lo stesso Manfred Götzl già noto per un processo contro un criminale di guerra nazista, responsabile di un massacro di civili nei pressi di Cortona, condannato all'ergastolo. In questi primi due anni di dibattimento si è dimostrato fermo e deciso, rigettando tutte le eccezioni presentate dalle difese che vorrebbero trattare esclusivamente gli episodi criminali e sorvolare sulle motivazioni “politiche” e sui collegamenti esterni dei tre.

Quello che è emerso sino ad ora con assoluta chiarezza, anche se nessuno ha per ora il coraggio di esprimerlo in modo compiuto, è che i tre abbiano avuto contatti con singoli e associazioni per tutto il periodo della latitanza e che i vari servizi sapevano benissimo che cosa stessero facendo. Anzi, sembra addirittura che procedessero, tramite agenti sotto mentite spoglie, su ordini specifici. È risultato, ad esempio, che il comportamento dei tre era perfettamente conformato, nei modi e negli obbiettivi, a un manuale intitolato “Sonnenbanner” (La bandiera del sole), dal quale si potevano apprendere le regole fondamentali della clandestinità, mentre l'obiettivo da raggiungere era la solita destabilizzazione per potere, attraverso una fase di guerra civile, imporre alla Germania un regime autoritario di stampo nazista. Il manuale fu trovato a casa della Zschäpe nella perquisizione del 1998 ed è risultato che ne fu autore Michael von Dolsperg, un infiltrato nel movimento nazista, che lo compilò su sollecitazione del suo anonimo contatto all'interno dei servizi segreti. L'opuscolo, a quanto pare, ha molti punti di contatto con il famoso manuale del “Werwolf” (lupo mannaro), l'organizzazione di “stay behind” della quale fu capo il famigerato Reinhard Gehlen, l'alto ufficiale delle SS, chiamato dopo la fine della guerra dagli americani per organizzare i servizi segreti della Germania occidentale.

I fatti oscuri che emergono mano a mano che testimoni e coimputati depongono, mandano in brodo di giuggiole gli amanti di complotti e cospirazioni. L'ultimo omicidio del trio, la poliziotta in servizio a Norimberga, ma originaria della Turingia, è un vero e proprio invito a teorizzazioni ardite, dato che i rilievi fatti sul luogo del delitto sembrano fatti da “acciacconi” e non da poliziotti esperti, le cui dichiarazioni sono in parte in contrasto con quanto risulta dai rilievi (a parte il fatto che uno dei tre telefoni che la vittima avrebbe avuto con se è stato ritrovato nel letto del fiume che scorre nei pressi, mentre in un verbale era stato descritto accanto al cadavere della poliziotta).

Ma ce n'è anche un'altra che sembra fatta apposta per ingenerare grossi interrogativi. I poc'anzi citati Edathy e Fischer, nel 2014 sono stati a sorpresa coinvolti in una inchiesta che ha portato alle loro dimissioni, una ricca tazza nella quale inzuppare il pane del sospetto.

Gran parte delle sedute a venire si occuperanno dell'aspetto strettamente criminale degli omicidi commessi dai tre, ma mano a mano che deporranno testimoni “politici”, crescerà all'orizzonte una minacciosa nuvola nera che potrebbe trasformarsi in una bufera politico-costituzionale per la Germania, un paese che non riesce ancora a occuparsi del proprio oscuro passato in modo trasparente.

09/01/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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Corrado Lampe

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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