È sempre molto difficile esprimersi sulla politica di un paese lontano, che inevitabilmente conosciamo di seconda mano e che per più ha portato avanti per decenni una politica sociale progressista e antimperialista, per liberarsi dal giogo degli Stati Uniti, i quali – come è ampiamente documentato – hanno finanziato, tramite la CIA vendendo le armi all’Iran [1], l’attività controrivoluzionaria dei contras contro il movimento sandinista, che nel 1979 aveva scalzato il dittatore Anastasio Somoza.
Come del resto avviene nel caso di Cuba, se mettiamo in evidenza qualche problematicità, finiamo per essere tacciati di filo-imperialisti e se non di traditori; tuttavia, se difendiamo il paese in questione in tutto e per tutto fino alle estreme conseguenze, proponiamo una visione che non aderisce alla realtà, di cui non solo noi stessi pagheremo le conseguenze, ma è anche il paese oggetto di riflessione, che rischia di non vedere il vicolo cieco in cui si è cacciato. Purtroppo, quando si parla di tali fenomeni occorre essere precisi e documentati e non richiamarsi a slogan precostituiti, che non ci aiutano certo a capire. E la risposta deve essere modulata secondo gli stessi criteri, altrimenti non si arriverà a nulla di concreto e di condiviso.
D’altra parte, non costituisce questa una strana pretesa, dal momento che nel movimento operaio si è sempre discusso, partendo da posizioni assai distanti, basti ricordare la Critica al programma di Gotha, scritta da Marx nel 1875, ma pubblicata nel 1891, in cui esprimeva un aperto disaccordo con il Programma del Partito operaio tedesco, esponendo allo stesso tempo le fasi di transizione dalla società capitalistica a quella comunista [2]. Inoltre, può anche darsi che chi vede le cose da lontano e con meno partecipazione emotiva, abbia forse la capacità di capire meglio e più a fondo.
Vediamo ora di ricostruire lo svolgimento delle vicende nicaraguensi. Il 5 settembre il governo, guidato da Daniel Ortega, ha organizzato una grande marcia pacifica per riconciliare i vari settori in conflitto, che è stata seguita anche dalla marcia dei giornalisti che hanno denunciato la diffusione di false notizie sul paese. La moglie di Daniel Ortega, Rosario Murillo, anche vicepresidente del paese, ha dichiarato che il Nicaragua trionfa perché nel suo paese c’è pace e amore.
In una recente intervista a France 24 Ortega ha affermato che la sua presa del potere del 2007 non è stata gradita all’amministrazione statunitense, che ha cominciato ad armare i gruppi di opposizione e a sostenerli tramite i mezzi di comunicazione di massa. Tale attività è esplosa nelle manifestazioni iniziate nello scorso mese di aprile, caratterizzate da atti vandalici e dall’aver provocato centinaia di vittime.
Da parte sua, l’OSA, il famoso ministero delle colonie degli Stati Uniti, ha elaborato un documento, firmato da 19 paesi, vicini alla grande potenza, in cui si invita il Nicaragua a riprendere il dialogo con le opposizioni ed avviare concretamente il processo elettorale. L’ultima marcia degli oppositori si è svolta in maniera pacifica, scandita da slogan in cui si denuncia il carattere corrotto e dittatoriale del regime di Ortega e si chiede la liberazione di 300 persone incarcerate durante le manifestazioni. Recentemente è stata pubblicata nel periodico Rebelión una lettera scritta da una serie di intellettuali spagnoli e latino-americani, nella quale si afferma che certo non è cosa buona coincidere con le idee del nemico, ma nemmeno è opportuno negare la realtà degli avvenimenti.
Seguendo questa linea, cercherò di ricostruire le ragioni di quello che è accaduto in Nicaragua, senza negare che gli Stati Uniti e i loro sostenitori cerchino di trarre vantaggio da tutto ciò, magari liberandosi di un Ortega dal passato troppo scomodo.
Nella lettera appena citata si legge che il Fronte sandinista di liberazione nazionale, a partire dagli anni ’90, si è incamminato in un processo di scomposizione, che ha prodotto la scissione del Movimiento Renovador Sandinista [3] e l’allontanamento di esponenti significativi come Ernesto Cardenal, ministro della Cultura, e Sergio Ramírez, vicepresidente nel 1984. Il ritorno al potere nel 2006 è avvenuto e si è protratto sino ad oggi, con il richiamo a un programma politico “socialista, cristiano e solidaristico”, che accantonava ogni forma di radicale trasformazione sociale e che apriva gradualmente e in maniera pragmatica alle politiche neoliberali. Ortega si affiancava così alla chiesa reazionaria del cardinale Miguel Obando y Bravo [4], alla destra di Arnoldo Alemán, alla nuova borghesia del FSLN e al COSEP (Confindustria locale).
Con Arnoldo Alemán, presidente del Nicaragua dal 1997 al 2002 e membro del Partito Costituzionalista liberale fortemente antisandinista nel 1999 Ortega stilò un patto: patto che assicurò a due leader il controllo del 90% della legislatura (1999-2001) e il mantenimento dei due seggi nei successivi due mandati nell’Assemblea nazionale; mandati che garantivano l’immunità parlamentare ad entrambi, accusati di abuso sessuale il primo, di frode e appropriazione indebita il secondo. D’altra parte, il 16 gennaio 2009 la Corte suprema de Nicaragua ha annullato la precedente sentenza che aveva condannato Alemán per i suoi crimini; decisione che qualche malevolo vede come risultato del famigerato patto.
Nel 2006 quando Ortega fu rieletto alla presidenza con il 38% dei voti molti hanno notato una crepa tra il politico guerrillero e il presidente avvezzo ad essere rieletto e a godere dei privilegi inerenti alla sua carica. Qualcuno ha parlato della creazione di un equilibrio tra il Socialismo del XXI secolo legato alla figura di Chávez e le sirene del libero mercato. Come Ortega ha portato avanti questo equilibrio? In primo luogo, aiutato dalla bonanza venezolana (i cui flussi non è del tutto chiaro dove siano finiti) con una politica sociale volta allo scopo di combattere la povertà con il Programa Hambre Cero (fame zero), abbassando le tariffe dell’elettricità, dei trasporti, rafforzando l’agricoltura di cui ancora vive gran parte della popolazione, e sconfiggendo così l’endemica malnutrizione. Tuttavia, non è riuscito a far uscire dal mercato informale quell’80% di nicaraguensi che di esso vivono. Nello stesso tempo, Ortega e la sua famiglia estesa hanno intessuto relazioni aperte con la élite imprenditoriale nicaraguense, promulgando una serie di leggi vantaggiose per i capitalisti, potenziando le infrastrutture loro necessarie, aumentando il salario minimo, ma vincolandolo alla produttività. E infatti, in questi anni, non è stato molestato dalle amministrazioni statunitensi che se la sono presa invece con paesi come il Venezuela, la Bolivia, sono intervenute per cambiare il presidente in Honduras, Paraguay, Brasile.
Entrando più nel dettaglio, molti sono i punti di disaccordo tra il governo Ortega-Murillo e le masse popolari, dei quali menziono solo quattro, rimandando il lettore al bell’articolo di Rebelión, che cito: 1) la decisione di costruire il canale intraoceanico affidandolo ad un’impresa cinese, che ne sarà proprietaria per un secolo, con la conseguente distruzione di molte comunità rurali e la deportazione di forse 200.000 persone; 2) il raddoppio delle aree concesse per lo sfruttamento minerario con le medesime conseguenze; 3) lo sviluppo di monoculture industriali e dell’allevamento sempre nell’ottica di non rispettare i bisogni dei contadini; 4) la riforma poi abrogata dell’INSS (Istituto nicaraguense di sicurezza sociale), che avrebbe aumentato i contributi per malattia, pensioni etc., e che sarebbe stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Quando alla politica estera, giudicata secondo criteri non diversi da quelli di Fidel Castro e di Hugo Chávez e con richiami alla retorica antimperialista, nel 2005 il Nicaragua ha visto azzerato il debito estero con FMI e BM, ma ha dovuto sottoporsi ad una serie di misure, come per esempio l’istituzione delle free-zones, dove soprattutto cinesi e statunitensi possono produrre e commerciare senza pagare tasse e senza essere obbligati a reinvestire. Inoltre, pur incorporato nell’Alba, il Nicaragua fa parte del DR-CAFTA, un accordo che lega i paesi centroamericani agli Stati Uniti sulla scia del vecchio NAFTA ora rimodellato, favorendo questi ultimi ed alimentando la svendita delle campagne e l’emigrazione.
A spulciare tra le notizie che ci arrivano dall’America Latina, messe in luce da vari analisti, credo che sicuramente gli USA non abbiano gradito l’epocale contratto con la Cina, che significa l’apertura di un altro corridoio di materie prime e di mercanzie, che rende sempre più obsolete le reti transazionali tradizionali. Inoltre, se è effettivamente vero quanto affermato da Germán Gorraiz López, analista geopolitico, ossia che l’imposizione di un embargo al Nicaragua (Nica-Act) sarebbe una risposta all'installazione nei pressi di Managua di una base satellitare russa, nello scorso aprile, il cui scopo sarebbe quello di creare una rete di spionaggio militare; paradossalmente specialità nella quale a Gringolandia primeggiano.
Come si vede, sono tanti i fattori in gioco e diventa sempre più complicato per un paese povero uscire dall’arretratezza, soprattutto se si dimenticano gli obiettivi primari per i quali avevamo intrapreso la partita, seguendo Sandino che ci ha insegnato i rudimenti della guerriglia.
Note:
[1] Che in quegli anni era impegnato nella guerra contro l’Iraq.
[2] Per esempio, Marx oppone alle leggi ferree del salario l’idea che esse siano invece complesse e molto elastiche.
[3] I suoi membri, che hanno condannato la repressione governativa delle manifestazioni, si sono recati a Washington a chiedere aiuto, incontrandosi con i repubblicani più reazionari come Marco Rubio, ai quali Trump ha fatto dono di un embargo iniziale contro il Nicaragua per soddisfare il loro viscerale odio anticomunista (il Nica-Act), che dovrà essere votato.
[4] Il cui appoggio si deve all’abrogazione dell’aborto terapeutico in vigore dal 1837