Ormai sembra molto probabile che questa maledetta guerra, che poteva essere tranquillamente evitata se gli Usa e la Nato si fossero mostrati più realistici e ragionevoli, porterà a una vittoria della Russia, la quale secondo Stefano Orsi, specialista militare, sarebbe in grado di continuare a combattere anche a lungo; d’altra parte, sempre a suo parere, gli ucraini hanno perso molte forze e i soldati rimanenti non sono sempre in grado di impiegare le armi più sofisticate inviate dagli “occidentali” negli ultimi tempi; inoltre, non hanno più a disposizione risorse energetiche per far muovere gli stessi veicoli militari, tanto che in molti casi si spostano con auto sequestrate ai comuni cittadini.
È opportuno sottolineare che, nonostante i propagandisti del cosiddetto Occidente abbiano prefigurato scenari apocalittici che avrebbero visto, come si diceva negli anni ’50, i cavalli dei cosacchi abbeverarsi nelle fontane di Piazza San Pietro, gli obiettivi della Russia sono limitati alla conquista dell’Ucraina meridionale e orientale, per rendere così più sicuri i suoi confini con quei paesi ora incorporati nella Nato, diretti da governanti sciovinisti e del tutto incapaci di valutare razionalmente e realisticamente la situazione politica [1].
Se è abbastanza evidente che il primo risultato della guerra è rappresentato dagli straordinari profitti del complesso militare industriale, non solo Usa (vedi la italiana Leonardo), oltre che da scelte quali le misure coercitive unilaterali (sanzioni) che hanno dato impulso all’aumento dei prezzi delle risorse energetiche, di materie prime industriali indispensabili all’economia capitalistica (titanio, palladio, fertilizzanti etc.), degli alimenti; tutti fenomeni che si erano già manifestati in precedenza ma che hanno ricevuto una nuova spinta prima dalla pandemia e poi dalla guerra. Il costo delle materie energetiche è legato alla decisione degli europei di stipulare con i paesi produttori contratti spot e non a lungo termine, che favoriscono la speculazione e non i consumatori (ossia i lavoratori).
Quanto alla crisi alimentare ricordo che nel settembre 2015 (ossia ben prima della pandemia e della guerra tra Usa e Russia), 193 leader mondiali si impegnarono al raggiungimento di 17 obiettivi globali per lo sviluppo sostenibile. Con la realizzazione del secondo obiettivo ci si proponeva di porre fine alla fame entro il 2030, garantire la sicurezza alimentare e migliorare la nutrizione, promuovendo l’agricoltura sostenibile. Ovviamente l’attuale crisi, oltre quella climatica, generata dalla produzione capitalistica, non favorirà l’ottenimento di questi fini, ma non ne costituisce la sola causa, come viene enfatizzato. Come è sempre la vera causa è l’imperialismo (non dobbiamo mai stancarci di ripeterlo) che ha impoverito ancora di più i paesi ex coloniali e anche le masse popolari dei paesi a capitalismo avanzato, le quali hanno visto ridurre i loro diritti per garantire lo spropositato arricchimento di un’élite cosmopolita, deterritorializzata e finanziaria, che si diletta delle speculazioni nelle borse e se ne infischia dei bisogni reali delle popolazioni. Questo spiega il crescere del sovranismo antiglobalista, cui finora la sinistra radicale non è riuscita a proporre alternative credibili.
Il presidente dell’Unione africana, Macky Sall, invitato il 31 di maggio a partecipare al vertice tra i capi di Stato e di governo dell’Ue, ha messo in evidenza che: “i nostri paesi sono molto preoccupati per gli effetti collaterali dell'interruzione causata dal blocco del sistema Swift a causa delle sanzioni”. Infatti, “quando il sistema Swift viene interrotto – ha aggiunto il presidente dell’Unione Africana – significa che anche se i prodotti esistono, il pagamento diventa complicato, se non impossibile. Vorrei insistere affinché la questione venga esaminata al più presto dai nostri ministri competenti al fine di trovare soluzioni adeguate”. Come si vede, non sono i russi da soli a voler affamare il mondo, del resto da secoli affamato e immiserito persino in nome dei conclamati diritti umani (v. Afghanistan).
L’altra conseguenza della guerra sono le sanzioni, accroccate rapidamente sulla spinta di “ti facciamo vedere chi siamo noi”, che porteranno alla sostituzione di risorse energetiche a basso costo, fornite dalla Russia all’Europa, con risorse Usa, molto più costose e inquinanti, oltre che con risorse provenienti sulla carta da paesi lontani e politicamente instabili. Per aver contezza di ciò rimando ai libri e alle interviste all’esperto di questioni energetiche Demostenes Floros, apprezzabile per il suo approccio scientifico e per questo misurato e sobrio. Cosa rara di questi tempi in cui le analisi sono sostituite dalle grida, dagli insulti e dalla rozzezza dei “grandi giornalisti” esperti di ogni vicenda dalla psicologia alla strategia militare.
Questi tragici eventi hanno condotto all’agognata (dagli Usa) rottura tra Europa e Russia, le cui reciproche relazioni avrebbero favorito lo sviluppo di entrambe le regioni e non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello scientifico, culturale, politico. Ipotesi che disturba fortemente le élite statunitensi che vogliono un’Europa completamente sottomessa, anche se devastata, ma che in alcuni casi ha cercato in qualche modo timidamente di difendersi. E questa è la terza conseguenza della guerra.
A questo punto torniamo all’Ucraina, la cui configurazione nazionale sarà probabilmente ridiscussa. A questo proposito sono interessanti le dichiarazioni di Kristina A. Kvien, Chargé d’Affaires all’ambasciata a stelle e strisce di Kiev, fatte il 16 maggio scorso, ricavate da “Piccole note”, ottima rubrica curata da Paolo Selmi su “Sinistra in rete”. La funzionaria statunitense ha affermato: “La stessa Ucraina deve decidere cosa considerare come vittoria nella guerra con la Russia… l’Ucraina deve prendere decisioni sulle condizioni della vittoria”. Infine, ha concluso dicendo: “il governo e il popolo ucraino dovrebbero determinare cosa significa vittoria per loro, e cosa sono disposti o meno ad accettare negli accordi finali per porre fine a questa guerra”.
Sembrerebbe, cosa assai poco credibile, che gli Usa e i supervisori della Nato (kuratory), dopo aver bloccato le precedenti avances di Zelensky sui negoziati di pace, potrebbero lasciare che il popolo ucraino decida autonomamente quale accordo stabilire con la Russia.
Secondo quanto viene riferito da più fonti (citiamo “L’Antidiplomatico” del 31 maggio scorso), non solo i russi hanno intenzione di consolidare le loro conquiste per mettersi al sicuro da attacchi missilistici ravvicinati, ma anche gli stessi sostenitori dell’Ucraina pensano di impossessarsi delle fertilissime terre ucraine. Su questa ipotesi è intervenuto il segretario del Consiglio di sicurezza russo Nikolai Patrushev, il quale ha dichiarato che la Polonia sarebbe pronta per occupare alcuni territori dell'Ucraina occidentale, un tempo popolati da polacchi. A suo avviso la recente visita a Kiev del presidente polacco Duda, nel corso della quale ha prefigurato la dissoluzione del confine polacco-ucraino e la stipula di un nuovo accordo tra i due paesi, sarebbe una conferma di questa ipotesi. Patrushev ha fatto anche presente che “la politica di Washington e Kiev potrebbe portare alla disintegrazione dell'Ucraina in diversi Stati”, come del resto aveva anticipato la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, la quale aveva denunciare la volontà della Polonia di inglobare parte dell’Ucraina.
Questo scenario mi pare confermato dal fatto che la Rada (parlamento ucraino) ha approvato una legge che attribuisce uno status speciale ai cittadini polacchi, consentendo loro per esempio di ottenere incarichi pubblici, e ciò in cambio dell’assistenza offerta dalla Polonia ai milioni di rifugiati fuggiti dall’Ucraina in seguito alla guerra.
D’altra parte, è cosa nota l’interesse per alcuni territori ucraini che la Polonia considera suoi (in particolare, la città di Leopoli da lei occupata tra il 1918 e il 1939) , tanto che nel 2017 questa si oppose all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea, se non fossero stati prima risolti i problemi scaturiti dalla storia conflittuale tra i due paesi. Ricordo, per esempio, che nel 2016 il parlamento ucraino rigettò l’accusa polacca, secondo la quale i nazionalisti ucraini avrebbero assassinato 100mila polacchi in Volinia tra il 1943 e il 1945. Accusa che sembra essere più che fondata.
Che l’appetito della Polonia sia notevole è dimostrato anche dal fatto che questa sta fornendo armi importanti al suo vicino come i carri armati T-72 ed efficaci sistemi di difesa, in cambio di 700 milioni di dollari. Probabilmente queste ipotesi di spartizione non molestano i russi, i quali però si troverebbero a fronteggiare una Polonia rafforzata, che costituisce il più fedele alleato della Nato nell’Est Europa.
A questi interessanti aspetti dobbiamo aggiungere dell’altro ricavato da un testo circolante in internet. Secondo quest’ultimo tre multinazionali statunitensi (Cargill, Dupont e Monsanto in origine germano-australiana) avrebbero comprato 17 milioni di ettari delle feconde terre ucraine (l’Italia si estende per 16,7 milioni di ettari). Inoltre, sembra che la Cina abbia comprato il 5% dei territori agricoli di quel disgraziato paese. Dietro queste multinazionali ci sono le stranote Vanguard, Blackrock, Blackstone, ossia “le stesse tre società finanziarie che controllano anche tutte le banche al mondo e tutte le maggiori industrie belliche dell’universo”. Questa è la ragione per la quale i mangimi (Cargill e Dupont) e i concimi (Monsanto-Bayer) sono aumentati in maniera stratosferica sin da prima della guerra: questi magnati sapevano tutto, e sono intenzionati a mettere fine alla guerra solo quando “avranno smaltito il loro stock di armi facendole pagare a noi, europei idioti, già spremuti dalla stessa combriccola che nel frattempo specula su grano, riso, mangimi, concimi”. E nessuno si meravigli se i media alimentano l’odio verso la Russia e spingono sulla necessità di continuare la guerra. Infatti, gli organi di informazione sono (guarda tu!) di proprietà di Vanguard, Blackrock e Blackstone. E Biden vuole la guerra, perché questi tre potenti gruppi finanziari lo hanno fatto eleggere. Il cerchio si chiude.
Infine, non si possono trascurare le intenzioni di Boris Johnson, il quale benché ormai il Regno Unito sia uscito dalla Unione Europea, vuole sempre mettere il suo artiglio nelle nostre questioni. Secondo il filogovernativo “Corriere della Sera”, a Davos il primo ministro britannico, noto per i suoi festini, ha partorito l’idea di creare “un nuovo sistema di alleanze politiche, economiche e militari – alternativo all’Unione Europea – che raccolga paesi accomunati dalla diffidenza verso Bruxelles” e che non gradiscono e la risposta debole della Germania all’aggressione militare russa. A quanto si dice Johnson ipotizzerebbe “un’alleanza di Stati gelosi della propria sovranità nazionale, liberisti in economia e decisi alla massima intransigenza contro la minaccia militare di Mosca”. Questi paesi, che sarebbero l’Ucraina, la Polonia, l’Estonia, la Lettonia e la Lituania, oltre che in futuro la Turchia (?), si dovrebbero riunire in una sorta di Commonwealth diretto dalla Gran Bretagna. Le autorità ucraine ritengono che sotto sotto tedeschi e francesi preferirebbero la vittoria della Russia: l’inefficacia delle sanzioni e i ritardi nella consegna delle armi hanno ormai generato in loro molta sfiducia.
Concludendo, come si vede, l’operazione militare russa ha rimesso in gioco equilibri instabili di cui in molti cercano di approfittare, accusando il diabolico Putin di calpestare il “democratico” ordine mondiale.
Note:
[1] Il primo giugno il quotidiano “Libero” ha pubblicato questa notizia, riferita da un generale in pensione: “La Russia ha reclutato tremila cyber-mercenari per attaccare le istituzioni italiane”, senza spiegarci perché ciò dovrebbe avvenire. Il titolo parla addirittura solo di mercenari prefigurando un attacco militare.