Continua dalla seconda parte
2.3. L’innesco: l’accordo di associazione
Per diversi mesi fino al marzo 2013 l’Ucraina è stata impegnata a negoziare un cosiddetto Accordo di Associazione con l’Unione Europea il cui testo definitivo (European Union External Action Service 2014) era stato ultimato già nel mese di marzo.
Il 21 novembre il governo ucraino ed il Presidente della Repubblica Viktor Fedorovych Yanukovych decisero di «sospendere il processo di preparazione per la finalizzazione dell’Accordo di Associazione con l’UE». Il Presidente era originario della regione dell’Ucraina più legata alla Russia, eppure s’era dimostrato genuinamente in favore dell’integrazione europea. Addirittura, come ebbe a dire David Vazhaevich Zhvaniya, all’epoca dei fatti membro dell’eurofilo Partito delle Regioni: «Che un presidente dell'Est portasse l'Ucraina in Europa era la combinazione ideale per noi. Eravamo disposti a fare qualsiasi cosa» (David V. Zhvaniya in Piper 2013).
2.3.1. Che cos’è un Accordo di Associazione?
Il trattato che Yanukovych si risolse a non firmare è definito dalla stessa UE come «un accordo bilaterale tra l’UE ed un paese terzo. Nel contesto dell’ingresso nell’Unione, l’accordo funge da base per l’implementazione del processo di accesso». Tra le disposizioni che definiscono un Accordo di Associazione figurano due passaggi fondamentali per comprendere l’ostilità di principio della parte di popolazione legata alla Federazione Russa. Ogni accordo siffatto deve manifestare la «intenzione di stabilire» ben «più che semplice cooperazione», mirando piuttosto ad «una stretta cooperazione politica ed economica». Tale tentativo sarà «diretto» da «istituzioni paritarie» dotate del potere di «prendere decisioni vincolanti per entrambe le parti contraenti» (European Union External Action Service 2001, 1).
Ciò avrebbe significato che qualunque cambiamento nella legislazione ucraina fosse stato richiesto dai partner europei nel quadro di riferimento dell’Accordo sarebbe divenuto vincolante per Kiev. Il nocciolo della questione divenne, dalla prospettiva russa, il seguente: La convergenza regolamentare frutto di decenni di cooperazione tra Kiev e Mosca sarebbe stata distrutta nel giro di pochi anni – o addirittura meno – dalla maggiore attrattività degli aiuti economici dell’Unione.
2.3.2. Guerra commerciale con la Russia
La negoziazione dell’accordo è stata a lungo considerata da Mosca poco più che una mossa politica degli Ucraini per rafforzare la propria posizione nelle relazioni bilaterali tra i due Stati post-sovietici. A tal proposito Pavlo Klimkin, uno dei negoziatori ucraini dell’Accordo, affermerà in un’intervista che inizialmente “i Russi semplicemente non credevano che [l’accordo] sarebbe divenuto realtà. Non credevano nella nostra [i.e., degli Ucraini] capacità di negoziare un buon accordo né nella nostra abilità di implementare un buono accordo”. (Pavlo Klimkin in Bonner e Grytsenko 2015).
L’inclusione di un accordo di libero scambio è prassi frequente nella negoziazione degli Accordi di Associazione — e l’Ucraina non è stata un’eccezione. Quando la determinazione dei negoziatori e della leadership ucraina divenne apparente anche per i Russi la risposta non si fece attendere: Nell’agosto 2013 la Federazione Russa modificò la regolamentazione delle dogane per le merci ucraine bloccando de facto tutte le importazioni in arrivo da quel paese.
La decisione di Mosca fu interpretata diversamente in base alla prospettiva politica da cui la si è commentata. Un politico nazionalista vicino all’ex Primo Ministro Yulia Timoshenko è arrivato a scherzare affermando che Putin «merita una medaglia» per aver «spinto l’Ucraina verso l’UE» (Arseniy Yatsenyuk in Gotev 2013). Mykola Azarov, al tempo Primo Ministro, si rivolse addirittura al Presidente russo invitandolo ad «accettare la “realtà” dell’accordo di libero scambio con l’UE» (Mykola Azarov in Richard Balmforth 2013). Insomma, Mosca avrebbe dato il via ad una guerra commerciale in piena regola (definita così anche da UDAR, il gruppo d’opposizione guidato dall’ex pugile Vitali Klitschko: Interfaks-Ukraina 2013a), pur di dissuadere Kiev dal «varcare il confine tra la Russia e l’Occidente» (A. O. 2013). In realtà, si trattava di una risposta alla guerra commerciale che si sarebbe innescata con l’accordo di associazione tra UE ed Ucraina.
Nonostante il rispetto mostrato dallo stesso Presidente Yanukovych verso il «forte supporto pubblico in Ucraina per la scelta europeista», fu il paese a dover fare i conti con la realtà. In dicembre Myhailo Korolenko, all’epoca Ministro per la Politica Industriale, riconobbe una diminuzione del totale delle esportazioni nell’ordine di $ 1,4 miliardi (pari al 10% su base annua). Questa dichiarazione diede una conferma “politica” alla rilevazione effettuata dal Servizio Statistico Statale Nazionale che certificava un crollo della produzione industriale di ben 1,2 punti percentuali dalla fine del 2012.
2.3.3. Richiesta di prestiti all’UE ed all’FMI
La pressione economica dovuta al deterioramento delle relazioni tra gli altri paesi della Comunità degli Stati Indipendenti ex-sovietici (CSI) e l’Ucraina rese impossibile la firma dell’Accordo di Associazione. Nondimeno, la decisione di Yanukovych fu qualificata dallo stesso Presidente come una «sospensione, non una cancellazione» dell’Accordo. In particolare, l’Ucraina avrebbe riaperto la discussione con l’UE quando il peggioramento «della produzione industriale e delle relazioni con i paesi CSI sarebbero state compensate dal mercato europeo». In dicembre Yanukovych stimò di aver bisogno di $160 miliardi (€116,5mld) di prestiti nei tre anni successivi per compensare il commercio che l'Ucraina avrebbe perso con la Russia e ridurre gli effetti dei tagli alla spesa richiesi dall'UE.
L’insistenza del Presidente ucraino nel perseguire l’integrazione europea era motivato dall’idea che “la Russia non fosse un interlocutore adeguato, non considerasse l'Ucraina un partner alla pari, [ma] cercasse di costringerla ad agire secondo le sue proprie regole, che la Russia non tenga in conto dell'interesse dell'Ucraina in nessuna trattativa, e quindi non si potesse più nemmeno parlare di negoziati con la Russia”(Viktor F. Yanukovych riportato da Piper 2013).
D’altronde la stessa critica dovrebbe essere mossa anche all’UE e a qualunque blocco imperialista. E infatti l’Unione Europea offrì appena 838 milioni di dollari (€610mln) condizionati a cambiamenti significativi nella legislazione Ucraina; troppo pochi per i bisogni del Paese. Volodymyr Mykolaiovych Oliynyk, alleato di Yanukovych e rappresentante permanente dell'Ucraina presso la NATO, dichiarò alla Reuters che alla richiesta dell'Ucraina di un aiuto i funzionari europei hanno «sputato su di noi».
L’unica altra speranza di Yanukovych era il Fondo Monetario Internazionale (FMI), istituzione che “salvò” l'Ucraina già nel 2008 all'inizio della Grande Recessione. Tuttavia, come l'UE, nemmeno l'FMI fu disposto a concedere il tipo di prestito richiesto dall’Ucraina. In una lettera del 20 novembre, il Fondo offrì solo $5 mld di nuova liquidità. Ad aggravare cotanta ristrettezza l’FMI comunicò all'Ucraina che non avrebbe nemmeno alleggerito le condizioni di saldo del vecchio prestito. Per assurdo, nel 2014 Kiev avrebbe dovuto restituire al Fondo una cifra quasi pari al nuovo prestito, il che rese la strada del finanziamento tramite l’FMI impercorribile. Nelle parole del Primo Ministro Azarov: «La posizione dell’FMI presentata nella lettera del 20 novembre è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso» (Herszenhorn 2013). Poco dopo l’arrivo delle proposte inadeguate dell’UE e dell’FMI giunse il turno della Federazione Russa. Mosca mise sul piatto ben 15 miliardi di dollari e la riduzione del prezzo del gas, per di più senza condizionamenti.
2.3.4. Le due Ucraine
Yanukovych, dunque, sospese l’applicazione dell’Accordo di Associazione con l’UE dopo aver preso atto della realtà ed agendo nell’interesse nazionale. Tuttavia, così facendo gettò sale in una ferita aperta nel tessuto sociale del paese. Tra la popolazione dell’Ucraina occidentale e centrale, da un lato, e quella delle aree orientali (e.g., il Donbass) e meridionali (su tutte, la Crimea) v’era un dissenso profondo circa la soluzione da dare al «dilemma dell’integrazione».
Secondo le rilevazioni statistiche realizzate in quelle settimane il supporto per l’integrazione europea a livello nazionale era del 46%. Tuttavia, questo dato tenta di riassumere una situazione ben poco omogenea. Difatti, il favore per l’Associazione con l’UE era più intenso nelle aree occidentali (81%) e centrali (56%) del paese, contro il 30% del Sud ed il 18% dell’Est. Di converso, l’Unione Doganale Eurasiatica era apprezzata, a livello nazionale, dal 36% degli intervistati. Il mercato unico di Bielorussia, Kazakistan e Russia era, però, visto favorevolmente dal 61% degli Ucraini orientali ed il 54% di quelli meridionali mentre solo 22% (nel centro) ed il 7% (nell’ovest) condividevano questa visione.
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