La separazione dei bambini è una tradizione americana

La guerra dichiarata dall’amministrazione Trump nei confronti degli immigrati.


La separazione dei bambini è una tradizione americana Credits: Degli studenti posano davanti alla Chemawa Indian Training School in Salem, Oregon

La guerra dichiarata dall’amministrazione Trump nei confronti degli immigrati si è concentrata in questi ultimi mesi sulla gestione dei figli minori, separati dai genitori in appositi centri di raccolta per poi essere respinti verso i paesi di provenienza senza poter condividere il loro triste destino con le proprie famiglie. Una storia che si ripete con tecniche messe a punto già nel XIX secolo nei confronti delle popolazioni indigene americane.

“Merda, mia sorella e mia cugina hanno pianto per giorni per questo. Erano traumatizzate”, è la testimonianza di Leonard Peltier, parlando di come lei, sua sorella Betty Ann, e la cugina Pauline Peltier sono state dal governo forzatamente separate dalla loro nonna e mandate a scuola come bambini.

“Pauline è rimasta così traumatizzata che non ha mai recuperato”, racconta il prigioniero politico in un’intervista concessa a People’s World. “Sai, fratello, io non sono finito in prigione per diventare un prigioniero politico”, sottolinea Peltier, “ho fatto parte della resistenza sin da quando avevo 9 anni”.

La recente tragedia creata alla frontiera meridionale degli Stati Uniti dal Presidente Trump, nella quale i bambini figli di immigrati sono stati crudelmente separati dalle loro famiglie e detenuti essenzialmente come ostaggi politici, come molti americani riconoscono, “Questa non è la vera America. Non è questo quello che dovrebbe fare il nostro Paese. Non sono i nostri valori”.

La realtà tuttavia è che il governo di questo Paese si è già reso responsabile di simili azioni anche in passato — dai figli dei nativi americani separati dalle proprie famiglie e mandati a frequentare le scuole cristiane ai bambini africani rapiti ai loro genitori durante il periodo della schiavitù e oltre.

Per i bambini nativi l’esperienza nei collegi scolastici cominciò nel 1860, quando l’Ufficio per gli Affari Indiani costituì il primo di tali istituti nella riserva Yakima nello stato di Washington. L’idea di tali istituti scolastici era stata concepita da “riformatori” benpensanti della classe media nell’Est degli Stati Uniti, quali Herbert Welsh ed Henry Pancoast, che fondarono l’Associazione per i Diritti degli Indiani per promuovere i diritti stabiliti dai trattati dopo aver visitato le c.d. agenzie Sioux nel Dakota.

“L’obiettivo di questi riformatori” secondo il piano di aiuti per le riserve delle pianure settentrionali, “era di utilizzare l’istruzione come strumento di assimilazione delle popolazioni native allo stile di vita Americano”. Si riteneva che i bambini indiani (nativi), una volta inseriti nei collegi, avrebbero interiorizzato i concetti di proprietà privata, di benessere materiale, l’etica del lavoro protestante e della famiglia monogamica.

Le idee del c.d. ‘Uomo Bianco’ e i suoi principÎ sociali venivano proposti come sinonimo di progresso e il compito di ‘civilizzare gli indiani’ richiedeva quindi di circuirli con questo sistemi di valori.

I collegi gestiti da istituzioni religiose non erano un fenomeno solamente degli Stati Uniti. Ancora, secondo quanto recitava il piano di aiuti alla riserva delle pianure settentrionali: “I collegi erano lo strumento ideale per assimilare popolazioni e ideologie che si ponevano di ostacolo sul cammino del ‘Destino Manifesto’, l’idea dominante nel XIX secolo secondo la quale gli Stati Uniti erano stati destinati da Dio ad espandere il proprio dominio verso l’ovest e diffondere il capitalismo e la democrazia sull’intero continente americano.

I collegi erano quindi il braccio educativo di questo sforzo inteso ad assimilare le nuove generazioni di nativi americani nella società bianca. Oltre all’insegnamento di inglese, matematica, scienza e storia erano ritenute ugualmente importanti elementi di rieducazione ideologica e culturale. “I giovani nativi dovevano essere individualizzati. Bisognava impartirgli una formazione religiosa cristiana. E i principî della società democratica (borghese), le istituzioni, e la struttura politica… Lo scopo finale era di sradicare ogni residuo di cultura nativa americana”.

I primi riformatori usarono le loro idee religiose per giustificare la loro prospettiva del Destino Manifesto. Questo pensiero dominante si rifletté nell’azione del Congresso, che varò numerose leggi ispirati a quella ideologia. I popoli nativi, nel frattempo, si situavano sul lato passivo di questo zelo religioso. Violenze, abusi, rapimenti, assassini e genocidio rappresentarono per loro l’esito finale.

La recente citazione biblica del Procuratore Generale Jeff Sessions per giustificare il sequestro dei bambini immigrati dai loro parenti dimostra come questa ideologia è ancora ben viva, per lo meno in alcuni settori del governo degli USA. Molte nazioni e cittadini nativi americani credono che nulla sia cambiato in oltre 400 anni. Il governo continua ad utilizzare la fede religiosa per giustificare le proprie azioni.

La storia [che l’autore di questo articolo ha recentemente pubblicato, ndt] di Jim Wikel, un membro della tribù Seneca-Cayuga ed attivista ambientale in Oklahoma, riflette ugualmente il risultato dei collegi governativi, che furono caratterizzati dalla segregazione forzata dei bambini nativi dalle loro famiglie e dalle loro comunità di origine. Per i nonni di Wikel le brutali percosse e la perdita coatta della loro cultura di origine per mano dei collegi governativi è il motivo per il quale la sua famiglia non gli ha trasmesso un’eredità culturale durante gli anni della sua crescita.

Come ricordato, il fine dei collegi per i nativi americani era la loro assimilazione nella cultura bianca. I primi obiettivi dei riformatori cristiani molto presto esercitarono una grande influenza sui strategici dell’Ufficio per gli Affari Indiani, l’agenzia governativa che aveva compiti di sorveglianza nei confronti delle tribù native. Le tecniche di abuso culturale usate nei collegi furono quindi parte integrante di una più ampia strategia di colonizzazione.

Wikel raccontava di come suo nonno fu spedito al collegio di Seneca a Wyandotte, ex ‘Territorio Indiano’ (oggi Oklahoma) nel 1905, quando aveva soltanto 5 anni. Rimase in collegio fino ai 14 anni. “A quel punto non era più in grado di parlare la lingua o di celebrare le cerimonie e i rituali nativi, e non potè quindi insegnare nulla di tutto questo ai suoi figli” diceva Wikel. “Si rifugiò nell’alcolismo fino a morire all’età di 43 anni”.

Albert H. Kneale, che fu a lungo un insegnante arruolato nel ‘servizio indiano’, osservò nella sua autobiografia del 1950 che il governo degli Stati Uniti “partiva dall’assunto che gli usi e i costumi dei nativi erano in sé deprecabili, mentre gli usi dei bianchi rappresentavano la strada verso la civilizzazione”.

La disastrosa politica migratoria di Trump dei giorni nostri è figlia della stessa ideologia che venne sviluppata come un’arma contro le culture indigene a partire dal 1600 e fino ad oggi. Egli definisce i migranti come violentatori, assassini, criminali e animali - implicando che essi provengono tutti da una cultura inferiore. Nelle dichiarazioni dei suoi sostenitori secondo cui i bambini detenuti starebbero meglio in questa condizione che non con i loro genitori, emerge chiaramente l’idea della superiorità (bianca) della società americana.

Il capitalismo sta quindi utilizzando nuovamente la mitologia del Destino Manifesto, che risale ai primi insediamenti coloniali [di europei in territorio americano, ndt]. Le politiche di Trump non soltanto mirano ad alimentare l’odio ed il risentimento razziale della sua base elettorale, ma riflettono gli interessi della stessa oligarchia che il Sen. Bernie Sanders ha attaccato durante la sua campagna presidenziale. In ogni modo le politiche dell’attuale amministrazione federale mostrano il loro favoritismo verso le classi dominanti e cercano, con ogni mezzo, di creare divisioni tra quelli che non fanno parte dei ranghi dei super benestanti.

Trump e il motto legge e ordine” del suo team richiamano lo stesso schema articolato dal Presidente Nixon negli anni ’60 e sottilmente invocato dai Presidenti Ronald Reagan e Bill Clinton quando si imbarcarono nella guerra alla droga e favorirono l’espansione delle carcerazioni di massa durante il loro mandato. Noi imprigioniamo e separiamo le famiglie alla frontiera come strumento di deterrenza all’immigrazione illegale allo stesso modo con cui imprigioniamo e separiamo le famiglie povere all’interno del nostro Paese perché non possono permettersi di versare la cauzione o di farsi difendere in giudizio.

Importanti organizzazioni e associazioni in tutto il Paese, tra le quali l’Associazione Nazionale per il Benessere dei Bambini Indiani (NICWA), hanno pubblicamente chiesto all’amministrazione Trump di porre fine alla pratica di separazione dei bambini dalle loro famiglie alla frontiera. La NICWA ha dichiarato che l’azione non potrà considerarsi conclusa finchè tutti i bambini torneranno sani e salvi dai loro genitori. [Nel momento in cui andava in stampa questo articolo, un giudice federale di San Diego ha ordinato l’immediata sospensione della separazione familiare alla frontiera e ha dato al governo un termine di 30 giorni per riunire insieme bambini e genitori, ndr].

Molte popolazioni indigene conoscono molto bene i processi e le azioni che hanno portato al genocidio; li hanno sperimentati sulla loro pelle per oltre 400 anni. Essi hanno visto la progressione delle misure adottate dall’amministrazione Trump miranti alla demonizzazione ed alla disumanizzazione dei migranti. In queste hanno rivisto alcune delle tattiche di un gioco antico.

E non vogliono vedere quella storia ripetersi.

Articolo apparso su People’s World il 27 giugno 2018

Traduzione dall’inglese a cura di Zosimo

14/07/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: Degli studenti posano davanti alla Chemawa Indian Training School in Salem, Oregon

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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