La guerra in Ucraina, con le complessità connesse alla fase generale di crisi dell’accumulazione capitalistica che stiamo vivendo e che si rende sempre più acuta, ha determinato un acceso dibattito tra formazioni comuniste in Europa e nel mondo. La natura del dibattito – che si è esplicitato in maniera evidente – portando anche alla frattura durante il vertice dell’Havana tra il KKE greco e il Partito Comunista della Federazione Russa – verte sulla natura della categoria leniniana di imperialismo e sulla sua attualizzazione.
Se nel mondo comunista è assodato che gli USA e il Regno Unito, così come l’Unione Europea e il Giappone, rappresentano plasticamente tre poli imperialistici in un rapporto di competizione e coordinamento tra loro, non è altrettanto chiaro, o per lo meno rappresenta oggettivamente un fattore di scontro ideologico e politico, se lo siano la Cina e la Russia.
Se sulla Cina possiamo dire che non è facile capire se e come si definisca oggi un processo di transizione al socialismo, per cui dovremmo allargare ulteriormente il discorso, per quanto riguarda la Federazione Russa non c’è dubbio che si tratti di uno Stato capitalista nel quale la classe dirigente riconosce nell’economia di mercato l’unico orizzonte economico e politico in cui ci si può muovere. La Russia rappresenta dunque una potenza capitalistica all’interno della quale si verifica un conflitto tra classi, e la classe dirigente non ha alcuna prospettiva di transizione al socialismo; di conseguenza, essa non può rappresentare un alleato strategico per chi, come chi si definisce comunista, sostenga il superamento del modo di produzione capitalistico come il superamento delle contraddizioni sempre più insanabili di questo modo di produzione, per sua natura storico e transeunte.
Il punto nevralgico, quindi, non è strategico ma tattico, e si può sintetizzare in una formula in cui tendono a manifestarsi due opzioni. Si tratta di capire se la guerra in Ucraina va collocata nell’ambito di un conflitto interimperialistico tra l’Occidente (USA al comando, UE e Giappone) da una parte e la Federazione Russa dall’altra, dove entrambi rappresentano poli imperialistici in conflitto tra loro, oppure, se, non avendo la Russia i tratti di uno Stato imperialistico, la guerra è il prodotto di una marcata ed esclusiva aggressività delle potenze della Nato – con la Russia che, pur essendo intervenuta militarmente in Ucraina, è stata costretta a una guerra difensiva per garantire, in prospettiva la propria integrità territoriale.
È chiaro che il nostro agire nella realtà, così come la nostra lettura degli eventi in generale, è strettamente collegata alla nostra capacità di capire che cos’è l’imperialismo oggi, attraverso quali caratteristiche economiche e politiche si manifesta, quali sono gli Stati o le potenze che ne incarnano le caratteristiche e in che modo si manifestano i conflitti tra loro, i cosiddetti conflitti interimperialistici.
La complessità della questione si pone su tre ordini di problemi strettamente concatenati tra loro:
1) Un problema di natura teorica che risiede in una corretta definizione della categoria di imperialismo, ovvero quali sono i tratti economici e politici che ne contraddistinguono il manifestarsi in una data epoca e in un determinato paese e per quali motivi l’imperialismo conduce inevitabilmente a una spartizione del mondo tra poche potenze predatrici e, quindi, a una politica sempre più marcata e aggressiva sul piano militare.
2) Qual è il significato odierno di questa spartizione, alla luce di un secolo d’importantissimi processi storici rispetto alla stesura del testo di Lenin? Come si configura questa spartizione dopo la Rivoluzione d’Ottobre, la Seconda guerra mondiale, la Rivoluzione Cinese, l’egemonia degli USA, la sconfitta delle Repubbliche popolari nell’area sovietica, l’ascesa della Repubblica Popolare Cinese e l’inizio del declino dello strapotere USA? Lo sforzo teorico per ridefinire la categoria d’imperialismo oggi richiede una notevole capacità di analisi non solo sul campo dell’astrazione teorica, ma anche su quello della conoscenza storico-empirica, nel senso che è necessario conoscere la storia dello sviluppo delle forze produttive in ciascuno di questi Stati e inquadrarlo nei rapporti sociali che si sono definiti sia all’interno degli Stati sia in rapporto all’economia mondiale che, a partire dalla fine del XX secolo ha visto un’accelerazione crescente dei processi monopolistici del capitale finanziario su scala planetaria. L’egemonia statunitense, con l’appendice del signoraggio del dollaro e la crescita esponenziale dell’apparato militare-industriale che ne fa da supporto, ha rappresentato e rappresenta un ulteriore elemento di mistificazione e ottundimento dei conflitti in atto e di come, dentro questi conflitti, si celi il vero conflitto di fondo, trasversale alle nazioni, che è il conflitto atavico capitale-lavoro. Questa mistificazione è ancora più soffocante nei paesi occidentali, il cui apparato propagandistico tende sempre di più a definire la guerra in atto come una lotta a difesa delle libertà occidentali contro la barbarie che avanza nel terzo mondo.
3) Non possiamo risolvere il problema sul piano esclusivamente teorico. L’azione dei comunisti si definisce sul terreno della lotta di classe ed è proprio questa lotta che stabilisce il campo concreto del manifestarsi di una realtà storica, del suo concreto operare e prodursi nel tempo. Le categorie marxiste sono sì astrazioni, ma astrazioni concrete scaturite dall’operare sociale degli uomini. Il soggetto che osserva il farsi della storia contemporanea è lo stesso che opera all’interno di questa realtà, che modifica il proprio punto di vista nel corso stesso del suo operare, vivere, riprodursi e lottare. Se l’analisi teorica e il dibattito sulle categorie di fondo rappresentano un elemento decisivo per inquadrare il nostro agire in una determinata fase dell’epoca storica, è altrettanto vero che è impossibile dipanare con certezza, senza possibilità di revisione e anche di autocritica, una realtà storica che noi non possiamo comprendere esaustivamente. La lotta per il potere rappresenta anch’essa un importante fattore di crescita e comprensione per i comunisti e, più siamo deboli, più è difficile capire concretamente il mondo che ci circonda al fine di modificarlo in senso socialista.
Per queste ragioni, e con questi intenti, proponiamo a tutte le organizzazioni e agli intellettuali impegnati concretamente nella lotta antimperialista in Italia di sviluppare un dibattito all’interno della rivista “La Città Futura” sul tema dell’attualità dell’imperialismo in questo momento storico. La natura del confronto vuole essere quella della comprensione e dello scambio reciproco delle posizioni, tutto questo in un orizzonte dialogico e comprensivo, all’interno del quale vogliamo mettere a frutto tutte le competenze teoriche, storiche e politiche per capire il senso della lotta di classe oggi e, ove possibile, trovare dei terreni aperti di confronto, consapevoli del fatto che alcune posizioni rimarranno differenti mentre su altre si avvierà un confronto serio e costruttivo, capace di accrescere teoricamente e politicamente il lavoro pratico di tutti i militanti.