I Paesi imperialisti, oggi impegnati in una guerra di civiltà con il radicalismo islamico, ne hanno in realtà favorito l'affermazione, per marginalizzare le forze progressiste e socialiste, considerate il principale ostacolo al dominio neocoloniale. Determinante è stato il sostegno alla formazione in Afghanistan, nel corso degli anni Ottanta, di una schiera di fondamentalisti islamici, pronti a diffondere nel mondo la loro Jihad, condotta con metodi terroristici nei fatti funzionali a una globalizzazione della strategia della tensione.
di Renato Caputo
segue da parte I
Dinanzi alla perdita di egemonia delle forze della sinistra araba, in particolare dopo il crollo dell'URSS, la rabbia delle masse musulmane, dinanzi alla prima aggressione imperialista all'Iraq e alla perdurante occupazione violenta della Palestina, ha finito per venire progressivamente strumentalizzata dal radicalismo islamico. Anche perché tale sviluppo e affermazione delle forze islamiste, almeno in un primo momento, sono state favorite dal mondo occidentale per contrastare il comune nemico di sinistra, considerato, a ragione, l'ostacolo principale al pieno dominio del capitalismo transnazionale.
Così, già dopo la rivoluzione antimperialista in Iran, le potenze occidentali sono necessariamente portate a considerare il male minore la componente islamista piuttosto che quella della sinistra radicale, favorendo, tatticamente, l'affermazione violenta della prima ai danni della seconda. Tale affermazione delle forze oscurantiste islamiche sulle forze progressiste della sinistra rivoluzionaria è stata funzionale a far venire meno, a livello internazionale, il sostegno delle forze progressiste non sciite nei confronti di un Paese comunque sorto da una grande rivoluzione popolare e, pur con tutte le sue contraddizioni, in prima fila nella lotta all'imperialismo sionista, per quanto condotta in modo poco razionale e, quindi, poco efficace.
Ancora più influente è stato il sostegno dell'imperialismo transnazionale, attraverso i fedeli alleati pakistani, turchi e delle dispotiche monarchie del Golfo arabo, al radicalismo islamico afghano, impegnato in una violentissima guerra civile prima con le forze comuniste di quel Paese, che avevano osato, fra l'altro, aprire scuole pubbliche per le bambine. Anzi, il sostegno agli attentati terroristici portati avanti dagli islamisti, come ha tranquillamente ammesso uno dei principali architetti di questa strategia, Zbigniew Brzezinski – consigliere per la sicurezza nazionale durante la presidenza di Jimmy Carter – è stato decisivo per spingere il governo comunista afghano a chiedere il sostegno militare dell'Armata rossa. Avrebbe poi pensato l'egemonia sul piano delle sovrastrutture dei Paesi imperialisti a far apparire tale discutibile operazione militare come un'aggressione imperialista analoga a quella perpetuata dagli Stati Uniti ai danni del Vietnam.
In tal modo non solo l'URSS è stata spinta a condurre un'azione militare sempre meno popolare in patria, per i costi umani ed economici, e sempre meno popolare all'estero fra le stesse forze antimperialiste, che sono state a loro volta discreditate in quanto alleate di un Paese che si sarebbe rivelato altrettanto imperialista dell'Occidente precedentemente combattuto. Inoltre, la guerra in Afghanistan è stata un'ottima palestra teorica e pratica per lo sviluppo del terrorismo islamico su scala globale. I reduci da tale trionfale successo – il rovesciamento del governo laico e progressista afgano, imponendo al suo posto una oscurantista teocrazia islamista, e il contributo decisivo al disfacimento del blocco sovietico – tornarono nei loro Paesi di origine, mettendo a frutto la notevole preparazione teorica e militare acquisita sul campo, sfruttando l'aura di mitici combattenti contro l'Impero del male diffusa dai media occidentali e islamici all'unisono.
Forti del sostegno economico dei settori più oltranzisti dei Paesi islamisti, spesso al potere, e con la copertura logistica e ideologico-politica dell'imperialismo transnazionale, tali forze furono in primo luogo utilizzate per cercare di rovesciare due Paesi simbolo del fronte antimperialista dei non allineati: la Federazione di Jugoslavia e l'Algeria. In quest'ultimo caso gli islamisti scatenarono, dopo un'affermazione elettorale non accettata dallo Stato laico algerino, una spaventosa guerra civile che, pur non riuscendo ad avere la meglio, ha posto definitivamente sulla difensiva il governo algerino, favorendo al suo interno il definitivo prevalere delle forze più conservatrici, sostenitrici di una riedizione del dispotismo illuminato.
Ancora più devastante è stato il ruolo dei reduci dall'Afghanistan nella spaventosa guerra civile in Bosnia-Erzegovina, che ha dato il colpo di grazia alla Jugoslavia, già pesantemente colpita dalla copertura occidentale alla secessione della Slovenia e della Croazia, guidata dagli eredi degli Ustascia, fascisti e collaborazionisti della Germania nazista. Tali forze islamiste sono state poi utilizzate per mettere in crisi anche la Serbia, unico bastione delle forze socialiste nell'area, per altro ormai del tutto sulla difensiva, favorendo la secessione grazie all'intervento militare delle forze imperialiste del Kossovo, e poi mirando a destabilizzare, favorendo le forze più reazionarie, la stessa Macedonia e Albania.
D'altra parte gli islamisti sunniti, sebbene condividano sovente con l'occidente imperialista gli stessi nemici, hanno per altri aspetti interessi contrastanti, che devono per altro mettere in evidenza per giustificare, dinanzi alle masse islamiche, l'alleanza tattica oggettiva su diversi fronti con le potenze neocoloniali. Così un'ala particolarmente radicale dell'islamismo sunnita, organizzata nella rete Al-Quaeda (la base), guidata dallo sceicco saudita Osama Bin Laden, ha iniziato a rivendicare una serie di attentati, spesso oscuri, che hanno colpito obiettivi statunitensi. In taluni casi, come nello spaventoso attentato di Oklahoma City – in cui cariche esplosive avevano fatto saltare in aria un ufficio governativo, causando centinaia di morti – dopo aver attribuito l'attentato al terrorismo islamista, che lo aveva rivendicato, è emerso che era stato realizzato dal terrorismo suprematista, molto potente e organizzato negli Usa.
Il più devastante attacco terroristico, per molti aspetti ancora oscuro, è quello che quindici anni fa ha sconvolto gli Stati Uniti d'America, in cui sono state uccise circa tremila persone. Dopo che erano miseramente falliti i primi tentativi della destra filo-sionista di attribuirlo alla resistenza di sinistra palestinese, è stata accreditata la successiva rivendicazione di Bin Laden, ospite dei talebani, islamisti radicali che dominano l'Afghanistan, grazie al precedente rovesciamento delle forze progressiste.
A rendere inquietanti i contorni di questi spaventosi attentati hanno contribuito in primo luogo le evidentissime falle nei servizi di sicurezza degli Stati Uniti, che sembravano aver fatto di tutto per non prevenire un attacco che sarebbe stato sferrato da uno sparuto gruppo di terroristi con basi in uno dei più poveri e arretrati Paesi del mondo. Tanto più che, nonostante avessero già – sfruttando un possibile effetto sorpresa – colpito la prima Twin Tower, i terroristi hanno avuto modo, senza incontrare nessuna resistenza, di colpire in seguito la seconda torre e poi persino lo stesso Pentagono, centro operativo della principale potenza militare della storia dell'umanità. Infine il quarto aereo nelle mani dei terroristi, destinato a colpire il presidente, sarebbe stato bloccato solo dall'eroica rivolta dei civili a bordo, che si sarebbero sacrificati evitando un ulteriore colpo alla maggiore potenza mondiale.
Inoltre moltissime documentate ricostruzioni degli eventi, a partire dal documentario statunitense di Michael Moore, trionfatore al festival di Cannes, hanno mostrato come si sia fatto di tutto per occultare i probabili mandanti, perché questi erano pericolosamente legati alla casa Reale saudita, principale alleato degli imperialisti in Medio oriente e, peraltro, legati affaristicamente con una delle più potenti famiglie degli Stati Uniti, che per la seconda volta, nel giro di pochi anni, aveva il controllo della Casa bianca, dopo aver controllato a lungo la CIA.
Tanto più che l'attentato ha oggettivamente favorito le politiche guerrafondaie della destra statunitense, consentendo di lanciare sulla scena internazionale il nuovo nemico dell'Occidente, il radicalismo islamista, contro il quale sarebbe stata dichiarata una vera e propria guerra di civiltà globale e infinita. Al punto che più di un commentatore ha osservato che se tali attentati non ci fossero stati sarebbero dovuti essere realizzati proprio da quei settori della classe dominante statunitense interessati a un governo della destra oltranzista e guerrafondaia, nonostante che quest'ultima fosse particolarmente debole e screditata, avendo vinto le elezioni solo grazie a palesi irregolarità.
Così gli attacchi terroristici dell' 11 settembre hanno nei fatti favorito il tentativo repubblicano di rilanciare l'imperialismo – nonostante la gravissima crisi economica – a livello internazionale, ricucendo le contraddizioni interne ed esportandole all'estero in nome dell'unità necessaria per combattere un nuovo impero del male, in quello che appariva ai più attenti analisti un grottesco e farsesco sequel nella guerra capitanata dall'accoppiata Thatcher-Reagan contro il primo impero del male in versione sovietica.
Ponendosi alla guida di questa nuova crociata contro il nuovo nemico globale, la destra neoconservatrice ha riaffermato la propria egemonia non solo sul popolo statunitense, precedentemente profondamente diviso in particolare dopo gli scandali legati alle presidenziali, ma sull'intero mondo occidentale, costringendo anche i possibili rivali a fare buon viso a cattivo gioco, dal momento che chi non era con Bush era subito tacciato di connivenza con il terrorismo internazionale.
In tal modo si apriva all'imperialismo statunitense la possibilità di chiudere i conti con i Paesi che ancora non potevano sottostare alle mire neocoloniali del capitale finanziario transnazionale in Medio Oriente, a partire dall'Iraq. Tuttavia, considerato che l'attentato era stato rivendicato da Bin Laden residente in Afghanistan, ossia da un esponente di quel radicalismo islamista durissimamente combattuto in Iraq dal governo laico del partito Baath, che aveva esponenti della minoranza cristiana in posti di indubbio rilievo, il governo di Bush si vide costretto a regolare prima i conti con il governo afghano. Così, in nome di quella democrazia radicalmente contrastata in patria, i neoconservatori statunitensi si misero a capo della più grande coalizione militare internazionale di tutti i tempi, impegnata in una guerra programmaticamente infinita al terrore.
Vista l'enorme disparità delle forze, la prima tappa della nuova crociata contro il male assoluto doveva risolversi con una guerra lampo, per consentire agli Usa di concentrarsi su obiettivi decisamente più sostanziosi dal punto di vista geopolitico ed economico. In realtà la vittoria della coalizione, guidata dai neoconservatori, si è rivelata più apparente che reale, in quanto dopo aver avuto ragione con relativa facilità dell'esercito regolare afghano, ancora oggi non riesce ad avere la meglio sulla guerriglia contro l'occupazione militare del Paese. In effetti le masse islamiche – che non erano state in alcun modo disponibili a farsi massacrare per difendere un governo che si era affermato con la violenza e che si manteneva al potere essenzialmente con metodi terroristici, ostinandosi a difendere una rete terrorista essenzialmente composta da stranieri – hanno finito in diversi casi per simpatizzare con una guerriglia impegnata a combattere un'occupazione militare straniera e i corrottissimi collaborazionisti locali.
Così, i fondamentalisti islamici talebani – da sempre finanziati e sostenuti dai servizi pakistani, i più stretti alleati dell'occidente dell'area – già fortemente screditati a livello internazionale per i loro barbari metodi di dominio, sono tornati a essere riconosciuti dalle forze imperialiste come un interlocutore politico rilevante, con cui trattare i futuri assetti del Paese. Con il risultato di favorire anche in Afghanistan la penetrazione di forze legate all'ISIS, che cercano di accreditarsi come reale e radicale opposizione al dominio neocolonialista.