Non si può negare che, nonostante i suoi indefessi difensori, il capitalismo in generale e quello statunitense in particolare abbiano perso legittimità, dal momento che ormai nessuno, tra le gente comune, si aspetta di veder migliorare le propria condizione di vita. Invitiamo chi nutrisse ancora qualche pervicace illusione a cercare un qualche video sulla povertà negli USA, per esempio girato tra i circa 70.000 senza tetto che vivono nella multietnica città di Los Angeles, o tra coloro che sono costretti anche con i figli a vivere in macchina, magari esponendosi al pericolo di essere assaliti.
Le statistiche ci dicono che il 65% degli statunitensi non ha risparmi e, pertanto, se si ammala, se gli muore un familiare, se come di questi tempi l’inflazione sale, rischia di finire in mezzo alla strada, mangiando cibo-spazzatura, che lo fa diventare obeso e quindi ancora più esposto alle malattie.
Si tenga presente che il salario orario minimo dal 2009 è di 7 dollari e 25 centesimi, ragione per la quale per sopravvivere e per pagare un affitto (cresciuto del 30%) 29 milioni di statunitensi sono costretti a svolgere due o tre lavori, incominciando la mattina alle 6 per terminare alle 11 della notte. Si tratta di lavoratori che non possono curarsi, riposarsi, mangiare in maniera adeguata, occuparsi dei loro figli continuativamente e che per queste condizioni di vita disumane soffrono di disturbi mentali, di difficoltà di concentrazione, mancano di lucidità, finendo spesso col far uso di droghe. Alcuni commentatori hanno osservato che assai spesso i centri delle città e i quartieri poveri negli USA sono popolati da veri e propri zombi, ossia da persone che vagano sperdute con la mente offuscata. Un piccolo appartamento nelle grandi città arriva a costare 3.000 dollari al mese, se non si paga regolarmente si viene sfrattati senza pietà e diventa difficilissimo trovare un’altra casa.
Nell’ultimo anno i prezzi dei servizi e dei prodotti basici sono aumentati del 7,1%, il cibo del 15%, la benzina del 65,7%, il trasporto del 14%; oggi una famiglia statunitense per vivere deve sborsare circa 500 dollari in più al mese. Dal 1979 in poi, con l’avvento del neoliberalismo, gli aumenti salariali sono andati estinguendosi, la crescita annuale media è scesa allo 0,7%. A ciò aggiungiamo le forti differenze di reddito tra le famiglie bianche, quelle di origine africana, latina o asiatica, le quali ovviamente sono state più colpite dalla grave crisi che ormai si trascina da molti anni.
Benché i neri costituiscano soltanto il 13,6% della popolazione statunitense, essi sono il 37% di coloro che vivono per la strada; gli ispanici nella stessa condizione sono aumentati tra il 2020 e il 2022 del 16%.
Come è noto, quello che costituisce il salario indiretto o sociale (educazione, salute, previdenza) non è stato mai significativo negli USA, ma col neoliberalismo reaganiano, che diminuì le tasse ai ricchi, la situazione è notevolmente peggiorata. Oggi, a causa dell’automazione, della deindustrializzazione alla ricerca di salari meno cari in giro per il mondo e di profitti speculativi, un’impresa ha meno bisogno di lavoratori qualificati, sani e viventi in condizioni salubri; perciò – come suggeriva invece Adam Smith - non chiede più allo Stato, come anche in Italia, di investire in questi ambiti, che negli ultimi decenni sono stati oggetto di attacchi distruttivi. Si tratta, dunque, di una scelta chiaramente politica che conduce al disastro milioni di famiglie, che si trovano a dover chinare la testa pur di sopravvivere negli stenti e in condizioni subumane. Inoltre, se la cosiddetta globalizzazione agevola l’uso della forza lavoro più conveniente, la circolazione non regolarizzata dei capitali dà impulso all’evasione fiscale, di cui risultano esser colpevoli corporazioni come Nike, corporazioni che istallano la loro sede legale nei paradisi fiscali, presenti anche in Europa.
La presenza della povertà tocca anche i centri del potere. Per esempio, nel parco pubblico di McPherson Square, a due isolati dalla Casa Bianca, si poteva vedere fino a poco tempo fa uno dei 95 accampamenti di senza tetto situati a Washington. Sono piccole comunità di disperati, il cui numero è cresciuto del 40% dal 2020 e che suscitano l’interesse dei turisti, quasi fossero un’attrazione della città.
Accanto a questo grave fenomeno di segno negativo, che ha trasformato il famoso “sogno americano” in vero e proprio incubo, reso ancora più assillante da un’ideologia megalomane ed escludente, ne dobbiamo segnalare uno di segno positivo che sollecita l’economista statunitense Richard Wolf, uno dei protagonisti del canale, Democracy at work, a parlare di “Risorgimento dei sindacati” nel paese in cui questi ultimi sono stati sempre osteggiati.
Wolf traccia un quadro dettagliato delle numerose proteste e scioperi che si stanno sviluppando ovunque negli USA, dai lavoratori della famosa catena di Starbucks, nella quale sono super sfruttati giovanissimi ispanici e afroamericani, che hanno cominciato a dar vita a organizzazioni sindacali in varie città, a quelli del settore cinematografico da sessant’anni per la prima volta in sciopero. Si tratta di autori e sceneggiatori, uniti nella Writers Guild of America [1], e degli attori del sindacato SAG-AFTRA, i quali protestano per i loro risibili introiti e per l’uso dell’Intelligenza artificiale, che è in grado di elaborare testi e di clonare immagini a costi bassissimi. Si astengono dal lavoro anche migliaia di lavoratori alberghieri e 340.000 di UPS, società di logistica e spedizioni internazionali. Ma la protesta più significativa è quella portata avanti dai lavoratori del settore automobilistico (UAW), che da tempo sono in lotta contro le politiche antioperaie di Stellantis, General Motor e Ford, i quali sono stati visitati addirittura dal presidente Biden.
Secondo il Wall Street Journal solo nel mese di agosto sono stati registrati 4 milioni e 100.000 giorni di sciopero. In questa fase di complessa crisi economica e di forte inflazione le richieste di questi lavoratori sono più che legittime: eliminare i livelli di impiego, aumento del salario del 40%, ripristinare la crescita automatica dei salari per stare al passo con l’inflazione (la nostra vecchia scala mobile abrogata sotto il governo Craxi), terminare con l’impiego abusivo di precari e riconoscere il diritto di sciopero in caso di minaccia di chiusura delle fabbriche. In varie interviste (udite!) i lavoratori hanno anche formulato la richiesta della settimana lavorativa di 32 ore con lo stesso salario.
Richieste che in questo contesto ci possono apparire rivoluzionarie, ma trovano oggi il sostegno della maggior parte della popolazione statunitense che si è bruscamente risvegliata dal sogno patinato e falso propagandato dai mass media. Purtroppo la visita di Biden, calorosamente ricevuto dal presidente della UAW, Shawn Fain, fa presagire che le burocrazie si stiano preparandosi per un accordo al ribasso, che premierebbe ancora una volta le corporazioni automobilistiche, che hanno visto crescere negli ultimi dieci anni i loro profitti del 90%.
Nonostante questa triste ipotesi, il presidente della UAW ha inviato un messaggio di tutt’altro segno alla FIOM,. Queste sono le sue parole: “Se vogliamo giustizia sociale ed economica per la classe operaia, dobbiamo organizzarci superando i confini. Queste aziende sono multinazionali per vincere dobbiamo affrontarle a livello internazionale”. Qualcuno lo aveva detto quasi due secoli fa, chissà se i sindacati italiani se lo ricordano.
Note
[1] Questi ultimi avrebbero raggiunto un accordo con le case produttrici, ma al momento non se ne conoscono i termini.