La crisi pandemica che ha caratterizzato questo 2020 ha accelerato un processo già in atto, quello del sorpasso da parte delle economie emergenti asiatiche rispetto a quelle dei paesi occidentali a capitalismo avanzato. Secondo il Centre for Economics and Business Research – non certo un’istituzione bolscevica – nel 2028 il Pil della Cina dovrebbe superare in termini assoluti quello degli Stati Uniti, dopo averlo già fatto per quanto riguarda il Pil Ppa.
Nel frattempo, la Repubblica Socialista del Vietnam ha chiuso l’anno 2020 con il Pil in crescita del 2,91%, diventando uno dei pochi paesi al mondo – insieme alla stessa Cina, al Myanmar e al Laos – a mantenere un aumento del proprio prodotto interno lordo anche in quest’anno nefasto. Nguyễn Thị Hương, direttore dell’Ufficio generale di statistica del Vietnam, ha affermato che questo dato è stato raggiunto grazie alla performance positiva del quarto trimestre (+4,48%).
“Questo è il livello di crescita del Pil più basso nel periodo 2011-2020” ha affermato Hương, ricordando che il paese aveva fatto segnare un tasso di crescita superiore al 7% sia nel 2018 sia nel 2019. “Tuttavia, visti gli impatti negativi della pandemia da Covid-19, può essere considerato come un successo per il Vietnam, che manterrà un tasso di crescita tra i più alti del mondo.” Secondo le proiezioni della Banca Mondiale, il Vietnam dovrebbe far registrare una crescita del 6.8% nel 2021, tornando dunque ai livelli degli anni precedenti.
Alcuni settori hanno fatto segnare incrementi sostanziali anche in questo difficile 2020: l’agricoltura, la silvicoltura e l’acquacoltura sono cresciute del 2,68%, la produzione e l’edilizia del 3,98% e il settore dei servizi del 2,34%. Una crescita è stata registrata persino nel settore delle esportazioni, nonostante il crollo di quelle verso i paesi europei e gli Stati Uniti, che insieme alla Cina costituiscono i principali sbocchi per le merci vietnamite: ciò ha permesso al Vietnam di chiudere l’anno con un surplus commerciale di 19,1 miliardi di dollari, il più alto dal 2016.
Anche lo sviluppo tecnologico prosegue a ritmo spedito sotto l’impulso del governo, che negli ultimi anni ha deciso di puntare molto su questo settore. Secondo la classifica del Digital Intelligence Index (Dii), redatta dalla Tufts University del Massachusetts, il Vietnam si trova al quinto posto nel mondo alla voce riguardante lo “slancio dell’evoluzione digitale”. Tale classifica è nettamente dominata dalla Cina, che con 85,51 punti su 100 stacca nettamente tutti gli altri concorrenti. Alle spalle di Pechino si trovano, in rapida successione, Azerbaigian (65,28), Indonesia (64,03), India (62,95) e, appunto, Vietnam (62,37).
Il Vietnam, nello specifico, si sta ora avvicinando all’accesso quasi universale al 4G e sta dando il via alla diffusione della rete 5G, prevista per la metà del 2021, risultando uno dei paesi più avanzati da questo punto di vista dopo la Cina. Secondo il programma esposto da Nguyễn Phong Nhã, capo dell’Autorità per le telecomunicazioni del Vietnam (VNTA), il 5G dovrebbe essere introdotto attraverso una sperimentazione di due anni fino al 2023 nelle aree industriali e nelle grandi città, mentre tra il 2023 e il 2025 il servizio dovrebbe essere esteso anche alle aree rurali, raggiungendo una copertura nazionale totale entro il 2030. Ad oggi, 24 milioni di vietnamiti utilizzano ancora la rete 2G, ma il governo punta all’interruzione di questo servizio dopo il 2022, quando gli utenti del 2G dovrebbero passare dal 18,5% attuale a meno del 5% del totale.
Al contrario, il settore turistico ha subito ingenti perdite a causa del blocco dei voli commerciali che il Vietnam, con qualche eccezione temporanea, ha applicato sin dal mese di marzo. Anche gli investimenti diretti esteri (Ide) hanno subito una forte riduzione (-25% contro il +7,2% del 2019) a causa della limitazione dei viaggi per i potenziali investitori. La maggioranza degli Ide sono arrivati da altri paesi asiatici, come Singapore, Cina, Taiwan, Hong Kong e Corea del Sud, mentre sono stati quasi azzerati quelli provenienti dai paesi occidentali. Il maggiore investimento in assoluto è stato effettuato da una compagnia di Singapore per la costruzione di una una centrale elettrica alimentata a gas naturale liquefatto nella provincia meridionale di Bạc Liêu, nell’area del delta del Mekong.
L’economia vietnamita è stata gravemente colpita anche dai disastri naturali che hanno devastato in particolare la regione centrale del paese. Secondo le stime del governo, l’ammontare totale dei danni causati dalle quattordici tempeste tropicali che hanno imperversato sul Vietnam nel 2020 sarebbe pari a 37.4 trilioni di đồng (circa 1.6 miliardi di dollari), il quintuplo rispetto ai danni subiti nell’anno precedente. Le catastrofi naturali hanno inoltre causato 357 morti e dispersi contro i 133 del 2019.
Tirando le somme, nonostante le grandi difficoltà di questo 2020, il sistema socialista vietnamita ha dimostrato di saper reggere l’impatto di eventi catastrofici, mentre gran parte del mondo è ancora alle prese con la pandemia da Covid-19. Il primo ministro Nguyễn Xuân Phúc ha ribadito ancora una volta, in occasione della Giornata internazionale della preparazione alle epidemie, recentemente istituita dall’Onu per il 27 dicembre su iniziativa vietnamita, che “gli interessi delle persone devono essere al centro di tutte le politiche e azioni”, come il suo governo ha fatto nel corso dell’anno appena trascorso. Il premier ha anche richiesto a tutti i rappresentanti degli altri paesi di collaborare per garantire l’accesso al vaccino contro il Covid-19 a tutti gli individui e a tutte le nazioni, sotto l’impulso della cooperazione internazionale e delle istituzioni multilaterali: “Questo ci consentirà di frenare la pandemia di Covid-19 e di prevenire e combattere efficacemente le epidemie”.