Il primo inquilino di colore della Casa Bianca spiega la sua visione del mondo in materia di politica estera in una intervista alla rivista The Atlantic. In particolare, il Presidente degli Stati Uniti difende il suo operato in Libia e in Siria, lancia accuse agli alleati europei, agli avversari repubblicani e agli interventisti democratici, ma alla fine mostra i muscoli e sostiene la candidatura di Hillary Clinton.
di Paolo Rizzi
Con una lunga intervista alla rivista The Atlantic il presidente statunitense Obama ha consegnato una “lettera d'addio” della sua politica estera. In Italia ha fatto particolare scalpore il giudizio sulla guerra in Libia: una situazione di merda è l'espressione usata da Obama, che incolpa principalmente gli alleati europei.
Libia e Siria
I giornali europei hanno insistito molto sulle accuse lanciate agli europei a proposito della guerra di Libia. In particolare, il premier inglese David Cameron è accusato di essersi disinteressato dell'avventura libica a causa di faccende interne più pressanti, mentre Nicolas Sarkozy viene dipinto da Obama come un opportunista che ha portato la Francia in guerra salvo perdere le elezioni e lasciare il paese senza un indirizzo preciso.
Nel lungo passaggio dedicato alla Libia, ci sono elementi che molti dei giornali europei non hanno sottolineato. Dal punto di vista di Obama, non si tratta solo di togliersi i sassolini dalle scarpe in vista della fine del suo mandato né, tantomeno, di pentirsi di aver fatto la guerra. Per il Presidente si tratta di spiegare perché ha portato gli USA sul terreno della guerra di Libia e non sul terreno della guerra di Siria.
Secondo la versione fornita da Obama, il Presidente era contrario a intervenire in Libia, erano invece favorevoli molti personaggi influenti come l'allora Segretario di Stato (cioè, ministro degli esteri) Hillary Clinton e l'ambasciatrice all'ONU Susan Rice. A far pendere il piatto della bilancia a favore dell'intervento, sarebbero stati gli alleati europei ed arabi che sembravano intenzionati ad assumersi la loro quota di responsabilità.
Obama usa questa ricostruzione per difendere la sua politica in Siria. Per Obama un intervento diretto sul terreno del conflitto siriano per deporre Al-Assad sarebbe compiere lo stesso errore compiuto in Libia, con in più l'aggravante che l'esercito del governo siriano è solido e sostenuto da potenze come la Russia e l'Iran.
Il mondo di Hillary
Per questa sua politica sulla Siria Obama è criticato sia dai repubblicani, sia da Hillary Clinton, ora probabile candidata alla presidenza dei democratici. La Clinton è stata infatti uno degli elementi più interventisti quando era Segretario di Stato e ha continuato a fare campagna per promuovere un cambiamento di regime a Damasco, anche con un intervento militare di terra.
Dopo non essere stata riconfermata al ministero degli esteri, Hillary Clinton ha continuato a esprimersi pubblicamente da semplice senatrice per le soluzioni più bellicose, fino ad arrivare nell'agosto 2014 ad attaccare apertamente la politica di Obama con una lunga intervista sulla stessa rivista The Atlantic. All'epoca, l'intervista girò diffusamente su Internet in una traduzione italiana spezzettata e con un titolo quantomeno discutibile come: “L'ISIS è roba nostra, ma ci è sfuggita di mano”.
In realtà, la Clinton non ammetteva minimamente che gli Stati Uniti avessero avuto un ruolo nell'ascesa del sedicente Stato Islamico. Anzi, ciò che rinfacciava a Obama era di non essere intervenuto abbastanza nella guerra siriana, di aver lasciato che fossero gli alleati europei a condurre i giochi e di non aver coltivato una fazione che rispondesse direttamente agli USA, creando così un vuoto riempito dall'ISIS.
Obama il guerriero
Clinton e Obama si pongono quindi in due maniere differenti. Per il Presidente in carica è meglio guidare dalle retrovie, lasciare che gli alleati si prendano più responsabilità e non avventurarsi in operazioni di terra dal risultato imprevedibile. Per l'aspirante presidente gli Stati Uniti devono continuare ad assumere il proprio ruolo di guida, visto che gli alleati europei non sono in grado di gestire da soli le grandi questioni geopolitiche.
Questa moderazione di Obama non deve però essere presa come una posizione anti guerra, tutt'altro. Nell'intervista al The Atlantic Obama rivendica gli atti di forza che lui giudica intelligenti. Rivendica l'esecuzione di Bin Laden e l'uso estensivo dei droni per le operazioni antiterrorismo. Ma Obama non rivendica solo le operazioni aeree, rivendica anche il sostegno al Free Syrian Army, l'esercito dei ribelli che combatte contro il governo di Damasco. Rivendica l'aumento di diecimila soldati delle truppe in Afghanistan e lo sconfinamento delle operazioni militari in Pakistan. Rivendica, infine, di aver trattato con l'Iran, ma di essere stato pronto a bombardarlo nel caso il suo progetto nucleare avesse svelato un lato militare tale da porre in pericolo l'esistenza di Israele.
Sono, insomma, molto fuori strada coloro che ritengono che Obama sia pentito della guerra, quella di Obama è semmai una recriminazione volta anche a sciacquare la sua presidenza dalla macchia di una guerra disastrosa che ha trasformato la Libia in un caos ingovernabile, addossando le colpe all'esterno della sua amministrazione.
Infine, vale la pena di notare che nonostante le molte differenze, Obama sia un sostenitore di Hillary Clinton nelle primarie per la scelta del candidato democratico per le elezioni di fine 2016. Cresciuto all'ombra del clan dei Clinton, Obama ora ricambia il favore e dice che al Presidente servirà esperienza in politica estera, una maniera diplomatica di dare indicazione di voto per l'ex ministro degli esteri Hillary Rodham, moglie dell'ex presidente Bill Clinton.