Il 6 Febbraio 2016 l’Onu ha rilanciato la sfida globale a una gravissima violazione dei diritti della persona umana, scommettendo sulla generazione delle giovani donne e con interventi volti ad accelerare l’eradicazione di questa pratica brutale entro una generazione. Segue da Giornata Mondiale contro le Mutilazioni Genitali Femminili - I parte.
di Ida Paola Sozzani
Secondo il Diritto Internazionale
La Dichiarazione di Vienna della II Conferenza Mondiale sui Diritti Umani svoltasi nel giugno 1993 affermava che i "diritti umani delle donne e delle bambine sono una parte inalienabile, integrale e indivisibile dei diritti umani universali" e nel programma di azione approvato dalla 4° Conferenza dell’Onu sulle donne svoltasi a Pechino nel settembre del 1995 si sono riaffermati obiettivi strategici quali: "rafforzare i programmi di prevenzione che migliorano la salute delle donne (...) rafforzare le leggi, riformare le istituzioni e promuovere norme e pratiche che eliminano la discriminazione contro le donne e incoraggino le donne e gli uomini ad assumersi la responsabilità del loro comportamento sessuale e nella procreazione; assicurare il pieno rispetto per l’integrità fisica del corpo umano". Dopo oltre venti anni da questi primi pronunciamenti della comunità internazionale, nella prospettiva di tutti i governi degli stati membri dell’Onu si è oggi affermata una visione comune condivisa da tutti i Paesi che le mutilazioni genitali femminili rappresentano una violazione gravissima ed estrema dei diritti umani delle donne e delle bambine, un grave pericolo per la salute sessuale e riproduttiva e una forma di violenza basata sul genere, cioè orientata e agita deliberatamente contro le donne in quanto tali. Questo consenso largamente condiviso si è riflesso e tradotto recentemente in due Risoluzioni assunte dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite in tema di mutilazioni genitali femminili, la risoluzione 67/146, riaffermata nella risoluzione 69/150 del 2014: esse rappresentano una cambiamento epocale rispetto ai decenni passati, quando l’argomento era considerato troppo “sensibile” dal punto di vista culturale per alcuni stati membri dell’ONU per essere affrontato con qualche prospettiva di successo. E’ su queste nuove basi che è oggi possibile delineare tra gli obiettivi prioritari della azione congiunta internazionale il definitivo eradicamento delle pratiche delle mutilazioni genitali in tutti i Paesi nell’arco di una generazione. Il gruppo aperto di lavoro ONU sugli obiettivi di sviluppo sostenibile ha incluso le MGF tra i target che devono guidare l’agenda internazionale per lo sviluppo dal 2016 al 2030. (Per altre fonti normative vedasi: Risoluzione n. 7-00842, Commissione bicamerale per l’infanzia.)
La “bomba” demografica
Alla lenta diminuzione delle MGF in Africa – che continuano però a mietere 3 milioni di nuove vittime all’anno - hanno contribuito dal 1994 gli appelli della Conferenza ONU del Cairo su Popolazione e sviluppo e del Comitato Inter-Africano sulle pratiche tradizionali che incidono sulla salute delle donne e delle bambine, fondato nel 1994 e operante in 23 Paesi. Le risoluzioni internazionali sottoscritte da vari Paesi africani si sono tradotte in appelli dei leader ed esponenti governativi africani, delle maggiori autorità delle varie religioni, in uno sforzo condiviso da varie ONG internazionali e Associazioni di promozione delle donne. Ma analisi condotte nel 2014 inducono a ritenere che l’esplosione demografica mondiale (si prevede un incremento di 1,2 miliardi di popolazione mondiale entro il 2030) potrebbe giocare un brutto scherzo agli sforzi della comunità internazionale, e vanificare le iniziative intraprese per proteggere e mettere in sicurezza la popolazione giovanile femminile dei paesi emergenti. Nei paesi africani ad alta prevalenza di MGF le proiezioni demografiche suggeriscono che 15 milioni di ragazze sono a rischio di subire la mutilazione dei genitali entro il 2020.
La sfida globale ONU: “An issue of human rights and gender equality”
La sfida globale che ha per obiettivo la cessazione della pratica delle MGF nell’arco di una generazione è imperniata sull’iniziativa del Fondo per la popolazione delle Nazioni Unite attraverso il programma congiunto UNFPA-UNICEF Joint Programme on Female Genital Mutilation/Cutting: Accelerating Change. Il programma è entrato nella sua seconda fase dal 2014 e mira ad innescare una veloce accelerazione dell’abbandono della pratica in tutti i Paesi ONU attraverso iniziative coordinate e studiate sulle specificità delle singole culture e delle problematiche dei singoli Paesi. Nella prima fase del programma si è puntato su azioni rivolte al contrasto culturale e a rimuovere i condizionamenti sociali che spingono a mutilare le ragazze, accompagnate da azioni sanitarie, di infrastrutturazione di agenzie locali per la tutela e il sostegno legale delle donne e alla creazione di reti di servizio sociale alle donne sui territori. Grazie a una maggiore e diffusa consapevolezza che le MGF sono una questione di diritti umani e di uguaglianza di genere, la seconda fase del programma congiunto UNFPA-UNICEF dal 2014 si propone una visione più allargata e contestualizzante del tema MGF, a partire dal fatto che le MGF sono strettamente legate e preludono alla pratica dei matrimoni in età infantile (Child Marriage), con conseguente abbandono scolastico precoce da parte delle bambine in molti Paesi in via di sviluppo: si tratta dunque di facce diverse di un unico problema che va affrontato sotto il profilo della violenza di genere (gender-based violence), della protezione dei diritti dell’infanzia e di modelli di sviluppo economico più sostenibile, stabile ed equilibrato nei singoli Paesi. Le prime campagne pilota di contrasto congiunto al Child Marriage e alle MGF sono in corso in Burkina Faso, Gibuti, Egitto, Etiopia e Kenya, con il coinvolgimento soprattutto della nuova generazione delle giovanissime e dell’opinione pubblica, del livello religioso, del sistema giudiziario, dei media, anche grazie alla disponibilità e analisi dei dati raccolti nella prima fase del programma UNFPA-UNICEF.
La situazione in Europa
In conseguenza dei fenomeni migratori dall’Africa le problematiche di diritto, sociali e sanitarie delle MGF coinvolgono sempre di più anche i Paesi europei. La normativa italiana attuale relativa alle MGF ha il suo pilastro fondativo nell’articolo 32 della Costituzione italiana che "tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo" e sancisce il rispetto dell’integrità fisica della persona; l’articolo 582 del Codice Penale nel libro dedicato ai delitti contro la persona, punisce con la reclusione “chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale fisica o psichica”. Dal 2006 vige in Italia una legge specifica , la legge 7 titolata "Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile", ratificata dal Parlamento e approvata all’unanimità in Commissione Giustizia il 9 gennaio 2006. Oltre all’emanazione di Linee Guida del Ministero della Salute nel marzo 2008, l’impegno del Governo italiano si è tradotto nel 2009 nell’istituzione di un Numero Verde contro le Mutilazioni genitali femminili dedicato alla prevenzione (800300558) e nel primo studio scientifico sulle MGF in Italia realizzato nel 2009 dall’Istituto Piepoli su commissione del Ministero delle Pari Opportunità. L’indagine, che ha coinvolto i principali ospedali di Milano, Roma e Palermo ove operano Centri specializzati sulle MGF, oltre alle Associazioni di migranti e mediatrici culturali per le interviste a campione, ha rivelato che su 110.000 donne immigrate regolari provenienti dai Paesi Africani circa 38.000 sono escisse o infibulate mentre delle 4600 bambine e ragazze minorenni immigrate o nate in Italia, circa un quarto cioè 1100 siano a rischio di subire MGF nel contesto familiare o in occasione di viaggi e vacanze nei loro Paesi d’origine.
La transizione generazionale come chiave di sblocco delle MGF
Ma l’armamentario giuridico o sanitario non è sufficiente contro le MGF. L’Onu e le statistiche indicano che il grimaldello che farà “saltare” le MGF sarà il passaggio generazionale: l’abbandono della pratica è già percepibile presso le donne immigrate di seconda e terza generazione. Ma si tratta di un passaggio delicato e non avverrà certo con le grandi campagne di comunicazione che possono produrre la stigmatizzazione sociale delle donne immigrate con MGF, additate nei paesi di accoglienza come vittime e “punite” ancora una volta come figlie di una cultura di seconda scelta, sortendo paradossalmente un effetto indesiderato e contrario alla soluzione del problema: quello di indurre in queste donne un atteggiamento di rifiuto e di chiusura culturale e di rifugio identitario in questa pratica tradizionale. Meglio concentrare gli sforzi nel lavoro sul campo che possono fare la scuola e gli operatori sociali dell’accoglienza e del sostegno alle donne immigrate attraverso la mediazione culturale, favorendone l’accesso e la confidenza con le strutture sanitarie dei paesi di accoglienza nelle occasioni di ricovero ospedaliero in caso di complicazioni da MGF e al momento della nascita dei loro bambini e bambine.