Podemos, pur sottraendosi alla retorica antipartito che ha stroncato le gambe agli schieramenti tradizionali tra cui Izquierda Unida, grazie al mantra neneista del basso contro l’alto, si afferma come terza forza in Andalusia contrariamente ai sondaggi che la davano in vetta. In Francia riesumano “Sarkò l’américaine” e percentuali elevate ottiene anche il Front National. Poche luci e molte ombre nell’orizzonte politico europeo.
di Selena Di Francescantonio
All’indomani delle elezioni amministrative francesi e di quelle regionali tenutesi in Andalusia la scorsa domenica, risulta quanto mai necessario tentare di tracciare un bilancio che non tenga conto esclusivamente del singolo dato di questa tornata elettorale (numerose altre sono previste per quest’anno in Spagna) ma che cerchi di tenere in considerazione il quadro complessivo della situazione che ne fuoriesce e che, per la verità, non risulta affatto privo di elementi inquietanti.
In una Francia ancora reduce dagli attentati di Gennaio, le consultazioni si sono concluse al primo turno con una riesumazione dell’UMP (Unione per un Movimento Popolare) di Sarkozy che, assieme ai liberali dell’UDI, si attesta al 29%, contro un risicato 21% del partito di Hollande in forte crisi di consensi. Il blocco delle destre sale al 36% se si considerano altre liste minori che si sono presentate alle elezioni separatamente. Il Front National, dal canto suo, seppure non riesce a centrare l’obiettivo di affermarsi come primo partito replicando il botto ottenuto alle elezioni europee dello scorso Maggio, ottiene però un considerevole 25% dei consensi, suscitando comunque l’entusiasmo di Marine Le Pen e soci; ed è alla leader francese che va anche il plauso- immancabile- del Carroccio nostrano, che già comincia a fregarsi le mani ed orientare le forche verso il successo dei loro ariani idoli d’Oltralpe.
Infatti al ballottaggio di questa domenica FN sarà presente praticamente ovunque. Per frenare l’avanzata della formazione di destra populista e xenofoba della Le Pen, però, si divaricano le tattiche proposte dai due principali partiti contendenti: mentre Hollande e Valls esortano il loro elettorato ad optare, al secondo turno, per il rivale di FN (qualsiasi esso sia, UMP compreso), laddove ovviamente questo non si trovi a duellare direttamente col PS, Sarkozy al contrario spinge per non votare né per i socialisti né per il Front National in caso di scontro tra i due. Sono circa 800, invece, le località che vedranno contrapporsi fra loro PS e UMP, come da più “classico” copione. Nonostante il ministero dell’Interno francese abbia comunicato in modo semi illeggibile (stando ad un comunicato presente sul sito de l’Humanitè e del PCF) i dati sui punteggi ottenuti dai candidati e dalle liste sostenute dal Front de Gauche e dal Partito Comunista, assieme ai Verdi, risulta che il totale a livello nazionale si aggiri attorno al 9.4%, con un incremento dei consensi rispetto alle precedenti elezioni dipartimentali. Ed anche rispetto alle europee di Maggio 2014 in cui il Front de Gauche si attestò attorno al 6%, il risultato di queste elezioni nazionali risulta comunque incoraggiante, un elemento su cui lavorare anche per i comunisti del PCF al suo interno i quali, d’altro canto, mai come ora hanno l’onere di invertire l’infelice rotta in cui il partito ha navigato dal lontano 1994, anno che vide l’elezione di Robert Hue, il segretario- poi liquidato- a cui si deve lo sradicamento del partito dai luoghi di lavoro, la perdita dei 4/5 dei suoi iscritti e il crollo verticale dei consensi alle elezioni presidenziali del 2002 (in cui il PCF passò dal 9% al 3,7%) nel “Paese della lotta di classe”, come Marx soleva definire la Francia.
Se le elezioni francesi decretano un fallimento per i socialisti di François Hollande, non altrettanto può dirsi a riguardo di quelle regionali nell’Andalusia spagnola, storico bastione socialista dove il PSOE si riconferma alla guida della comunità autonoma con il 35,5% dei voti ed eleggendo 47 rappresentanti sui 109 totali del Parlamento andaluso, mancando di 8 seggi la maggioranza assoluta. Pur non escludendo, la legislazione spagnola, la possibilità di governare in minoranza, non sono mancate da parte del PSOE aperture (per lo più respinte) per formare un’alleanza di governo coi liberali di Ciudadanos, partito nazionalista di centrodestra nato nel 2006 che ha conosciuto un’inaspettata ascesa in questa tornata elettorale ottenendo circa il 9% dei voti, probabilmente intercettati tra quelli in fuga dal Partito Popolare, al governo a Madrid e che scende al 27%.
Infatti, dopo che il precedente esecutivo andaluso è stato sciolto dallo stesso PSOE in polemica insanabile con gli ex partner di governo di Izquierda Unida, contrari alla partecipazione alle politiche di austerity, è oggi assolutamente da escludere un ulteriore proseguimento nel segno di un’alleanza tra queste due forze politiche; Izquierda Unida esce con molti lividi da queste consultazioni, con una percentuale di consensi attorno al 7% (che corrispondono a 5 rappresentanti) e la perdita netta di 7 seggi rispetto a quelli che aveva ottenuto tre anni or sono. Un colpo non da poco se si considera l’ascesa costante che aveva riguardato IU di Cayo Lara dal 2009 in qua, anno in cui la crisi economica iniziò a mordere duramente una Spagna in cui la sinistra di classe, frammentata e controversa, iniziò a prendere coscienza della necessità di ricostituirsi in un fronte più unitario e organizzato, riavviando un discorso in merito all’unità dei comunisti e delle forze anticapitaliste, alla conquista di una linea sindacale e di ripresa della questione repubblicana.
In un contesto come quello attuale, dunque, che vede comunque le destre in ascesa e l’arretramento del solo schieramento nettamente e non ambiguamente di sinistra, quale appunto Izquierda Unida, un discorso particolare merita Podemos, il partito guidato dal fotogenico Pablo Iglesias e che risulta, a discapito dei sondaggi che lo davano vincente, la terza forza politica di queste elezioni regionali (14,8% dei voti e 15 rappresentanti). Nato come piattaforma cittadina, né di destra né di sinistra, nel Gennaio del 2014 in prosecuzione del movimento degli Indignados spagnoli e lanciato senza posa alla ribalta mediatica, dopo solo quattro mesi di esistenza si attesta all’8% alle elezioni europee 2014. Con una retorica anti-casta non esente da un certo populismo (moltissimi sono stati i paragoni fatti col nostro Movimento 5 Stelle), Podemos, che si configura come un partito anti-austerità pur non avendo mai messo in discussione l’adesione della Spagna all’Unione Europea e all’Eurozona, ha da sempre sbarrato la strada alla possibilità di presentare liste unitarie della sinistra in occasione delle tornate elettorali, presentandosi ovunque in contrapposizione ad Izquierda Unida, intercettandone voti ed ostacolandone l’ascesa anche laddove ciò parrebbe sfuggire alla comprensione: emblematico sia il caso di Marinaleda, piccolo paese in provincia di Siviglia di circa 3000 abitanti, in cui la disoccupazione letteralmente non esiste, l’emergenza abitativa è sconosciuta grazie all’esistenza di convenzioni che permettono al comune di mettere a disposizione gratuitamente agli abitanti materiale edilizio e manodopera per potersi costruire da sé la casa ed esistono piani di diverso tipo per finanziare progetti pubblici. In questa località costantemente oggetto di attenzione e curiosità da parte dei media di tutto il mondo, Izquierda Unida, che governa dal 1986 (ovvero dall’anno della sua costituzione), ha ottenuto il 43% dei voti perdendone una quota pari a circa il 24% “migrata” verso Podemos che qui, a onor del vero, anche buttando l’occhio al suo programma elettorale, non si capisce contro cosa abbia scelto di opporsi correndo autonomamente se non proprio contro allo storico sindaco Sanchez Gordillo che ha però dimostrato ancora una volta di godere del completo sostegno degli abitanti di Marinaleda.
In un contesto come quello europeo i dati sull’astensione restano sempre i protagonisti indiscussi (accade in Italia, ma non solo: durante queste elezioni non si sono recati alle urne il 36% degli spagnoli e ben il 49,8% dei francesi) e paiono dipingere un quadro in cui il disinteresse dei cittadini costituisce la norma della politica. Tuttavia risulta curioso come, a discapito della retorica della “governabilità” che ha ubriacato i mass media e i discorsi pubblici del ceto politico e che ha rappresentato il tema centrale per convincere le masse della necessità di ridurre la rappresentanza per garantire maggiore stabilità ai governi, assistiamo continuamente alla nascita di sempre più numerosi partiti e formazioni politiche che vanno affiancandosi alle forze principali e storiche, in una babele di sigle e colori in lotta strenua fra loro. Spesso la tendenza è anche quella di annunciare il proprio collocamento quanto più possibile “al di fuori” dalle parti dell’arena politica, considerate vecchie reliquie da rottamare; come dice ad esempio Joana Amaral Freitas, la psicologa alla guida di “Juntos Podemos” che è il neonato movimento portoghese con aspirazioni partitiche, gemello del suo violaceo quasi-omonimo spagnolo: “Juntos Podemos non è né di destra né di sinistra”, si è affrettata a rassicurare di fronte ai microfoni dei giornalisti.
Sarà. Ma di fronte all’acuirsi della crisi del capitale e della tragica situazione economica, al precipitare degli eventi e al dilagare delle nuove guerre imperialiste, è meglio che la sinistra di classe non si faccia illusioni e non insegua acriticamente feticci, alcuni dei quali figli di un revisionismo reazionario preparato su misura per disgregarla ed indebolirla.