Verso la Terza Guerra Mondiale

Riflessioni sul possibile scenario di una terza guerra mondiale.


Verso la Terza Guerra Mondiale

Nelle ultime settimane, accanto ai rumori assordanti del genocidio compiuto in Palestina, abbiamo ascoltato una serie di dichiarazioni pubbliche di esponenti politici di spicco europei e statunitensi che si richiamano inequivocabilmente alla logica impazzita della corsa agli armamenti e ad una serie di nuove minacce di escalation militare nei confronti della Russia. Ad aprire le danze del linguaggio macabro della guerra è stato Trump, il quale, sfruttando per motivi elettorali l’ostilità di molti statunitensi verso la guerra in Ucraina si sta attrezzando per concentrare l’infinita serie di provocazioni e di pressioni militari verso il pacifico, quindi in direzione della Cina. Non potendo gestire contemporaneamente tre fronti di guerra, ed essendo l’Ucraina troppo lontana dalle mire egemoniche degli Usa, il candidato presidente repubblicano ha detto chiaramente che se gli Stati Europei non innalzeranno considerevolmente le spese militari, inviterebbe lui stesso la Russia ad attaccare l’Europa. Alle dichiarazioni provocatorie di Trump non è seguita nessuna ondata d’indignazione ma, al contrario, si sono accavallate tutta una serie di dichiarazioni ed azioni da parte dei leader e del Parlamento Europeo che vanno esattamente nella direzione indicata da Trump. In primis le esternazioni della Von der Leyen che ha sostenuto la necessità di indirizzare un numero crescente di risorse verso le destinazioni belliche fino ad orientare l’intera economia europea in funzione della guerra. Il Parlamento Europeo, nei giorni scorsi, ha votato a stragrande maggioranza una risoluzione – con l’eccezione del Movimento Cinque Stelle e di altre piccole forze – che prevede nuove quote d’investimento verso gli armamenti ucraini, e da più parti – cominciando dalle ambigue dichiarazioni di Macron – si è lasciato intendere che – se provocata – l’Europa potrebbe compiere un deciso salto di qualità, entrando  apertamente ed esplicitamente nella guerra contro la Russia. A ciò vanno aggiunte le intercettazioni compiute da una giornalista russa di alti ufficiali tedeschi che, senza neanche prendere le dovute precauzioni, hanno dichiarato apertamente che stavano preparando azioni missilistiche in gran fretta per attaccare – sotto copertura - l’esercito russo con missili tedeschi di lunga gittata. Senza aggiungere ulteriori dettagli – e ce ne sarebbero moltissimi, a partire dai tentativi di isolamento dell’area di Kaliningrad, accerchiata da Repubbliche baltiche e Polonia, oppure le pressioni di Romania e Moldavia sulla Transnistria per coinvolgere altre regioni nella guerra – un dato è certo: la Nato, per mezzo del Regno Unito e dell’Unione Europea, è totalmente impegnata nella guerra contro la Russia e non ha alcuna intenzione d’invertire la tendenza. Tanto più che, già oggi, le operazioni più costose ed efficaci della guerra contro la Russia – come, ad esempio le azioni missilistiche a lungo raggio o l’attacco alle navi russe nel mar nero – non vengono compiute da personale ucraino ma da ufficiali altamente specializzati inglesi o francesi coordinati attraverso un sistema informatico estremamente complesso; inoltre, l’ipotesi folle di usare il popolo ucraino come carne da cannone inviata in attacchi suicidi solo ed esclusivamente per arricchire un elité nazistoide parassitaria (che, per mezzo degli attacchi otteneva sempre nuovi finanziamenti) si sta dimostrando per quello che era: una follia irrazionalista degna della più becera alleanza tra ultranazionalisti fascisti e capitale finanziario occidentale. In questo contesto l’elevatissimo numero di morti ucraini ha fiaccato totalmente il morale delle truppe alimentando anche azioni di resistenza antifascista all’interno dell’Ucraina stessa. A questo punto, ad uno sguardo ingenuo, apparirebbe completamente priva di senso, di fronte ad una palese e progressiva sconfitta sul campo, l’ipotesi per cui la Germania, la Francia, il grosso dell’Unione Europea e il Regno Unito, si apprestano ad entrare direttamente nel conflitto, quindi ad ampliare i costi economici ed umani di una guerra per la quale la popolazione europea è così distante dall’accogliere con entusiasmo. Ciò appare tanto più assurdo se si pensa che gli Usa, durante questo conflitto, hanno bombardato il North Stream II che portava il gas in Germania e l’inflazione è lievitata nei paesi europei – soprattutto per effetto della guerra – a cifre che superano il 15% con punte del 22% in Polonia o nella Repubblica Ceca. L’apparente contraddizione si può risolvere concettualmente solo se si capisce che le logiche del capitalismo in crisi non corrispondono per nulla alla logica del buon senso. L’economia degli Stati imperialistici è in uno stato di avanzata crisi della caduta del saggio di profitto, i salari, anche per effetto delle politiche ordoliberistiche, non riescono a pagare le merci sovraprodotte, il mercato interno si contrae, i mercati di sbocco coloniali sono stati completamente sfruttati; inoltre, gli Usa, scaricando una parte della crisi sull’UE hanno accelerato la riduzione dei consumi dei cittadini europei. Come avviene sempre nelle fasi di contrazione estrema dei mercati interni, il grande capitale, per uscire momentaneamente dalla crisi deve far intervenire lo Stato, quindi si debbono vendere armi allo Stato con lo scopo di garantire una ripresa dei profitti. Ciò avviene regolarmente negli Usa e sta avvenendo specularmente, con un intensità crescente all’interno dell’UE, a partire da Francia, Inghilterra, Germania, Italia, Polonia, ecc. L’area d’influenza dell’imperialismo europeo è l’est Europa, fino alla Russia, di cui Trump non si vuole occupare direttamente poiché, preoccupato dalla perdita di potere del dollaro, ha deciso di concentrare il grosso delle sue energie sull’Iran e la Cina. Questo folle disegno di spartizione del mondo – destinato inevitabilmente al fallimento – tra due attori integrati nella Nato, ma pur sempre distinti – può essere supportato solo ed esclusivamente con una campagna di disinformazione sempre più spudorata, assurda e violenta. Bisogna ridurre gli spazi d’informazione libera, isolare un evento dal contesto, in modo da produrre un effetto sensazionale sull’opinione pubblica tale da intorpidire il pensiero, quindi giocare in maniera unilaterale sull’emotività delle masse, attribuendo alla Russia – o al nemico esterno – ciò che le classi dirigenti occidentali pensano di fare – ad esempio, l’intenzione di utilizzare le armi atomiche. Si tratta di-capovolgere completamente le responsabilità ed imporre alla classe politica – convivente in larga maggioranza o impaurita - ed alla società civile i termini ed il tono di un dibattito capovolto, in cui l’aggressore diventa l’aggredito mentre l’aggredito si trasforma magicamente in aggressore. E’ quanto accaduto ai cittadini del Donbass – ed in generale a tutti gli ucraini o ai palestinesi vittime di pulizia etnica o di genocidio. A questo elemento strutturale della crisi si aggiunge l’ottusità ideologica del suprematismo occidentale, la perdita di credibilità nei confronti del mondo e dei propri sudditi (i cittadini europei e statunitensi) che ne scaturirebbe dall’ammissione esplicita di una sconfitta. Alla crisi di sovrapproduzione si accompagna – sul piano psicologico – una sorta di delirio d’onnipotenza per cui è impossibile riconoscere pubblicamente di aver fallito. Nei mesi e negli anni che seguiranno dobbiamo aspettarci una contraddizione sempre più stridente tra il conflitto sociale e le dinamiche internazionali reali da una parte e la versione funzionale a quella ristrettissima cerchia di oligopolisti dall’altra. Questa contraddizione, tuttavia, non rappresenta solo il processo manipolatorio utilizzato dai media ma esprime la contraddizione stessa del capitalismo, ed in particolare di quella parte più putrescente che è rappresentata dalle classi dominanti dei paesi occidentali e, più nello specifico, dell’Unione Europea. I segnali d’insofferenza verso la lettura distopica imposta dalla classe dominante sono crescenti, il disagio trova moltissimi canali per manifestarsi – in particolare in quella molteplicità di manifestazioni sulla Palestina che si susseguono a ritmo incessante; tuttavia dobbiamo essere consapevoli che se l’economia s’intreccia con le dinamiche di guerra è impossibile interrompere la follia della guerra se non si ridiscutono completamente i rapporti sociali su cui quell’economia si fonda. Il tema gramsciano della rivoluzione in occidente – e specificamente in Italia ed in Europa – torna drammaticamente ad essere d’attualità. Innovare la riflessione, adattandola alla specificità della nostra epoca ed ai movimenti tellurici che scuoteranno la società italiana è compito di chi vuole intendere il concetto d’egemonia culturale in tutta la sua profondità e non come un semplice slogan.

08/03/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Francesco Cori

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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