Forse è passato sin troppo inosservato un importante articolo apparso il 28/09/2021 sull’“Huffingtonpost“, versione italiana del noto blog statunitense, edito dal gruppo Gedi e diretto da Mattia Feltri, figlio del più famoso Vittorio. Mattia Feltri, succeduto a Lucia Annunziata nella carica di direttore della testata, è stato nominato il 23 aprile 2020, proprio negli stessi giorni in cui John Elkann veniva eletto presidente del consiglio d’amministrazione del gruppo Gedi e la Exor degli Agnelli si assicurava la maggior parte delle quote di controllo di Gedi stessa.
Non è certo una novità che una anche superficiale indagine sui rapporti proprietari dei vari gruppi editoriali esistenti e operanti (anche) in Italia metta a nudo in maniera esplicita come la effettiva qualità e contenuto dell’informazione debbano soggiacere agli interessi di grandi gruppi industriali. E, infatti, tornando al nostro articolo inosservato, guarda caso è uscito su una testata con gli assetti proprietari sopracitati. Si tratta, infatti, di un vero e proprio manifesto programmatico del “nuovo ordine sociale” firmato da Renato Brunetta, Ministro per la Pa, e Michele Tiraboschi, professore di Diritto del lavoro alla UniMore, che rispondo all’invito lanciato dallo stesso “Huffingtonpost” ad “aprire un dibattito sulla necessità di riforma dello Statuto dei Lavoratori”, L. 300/1970. Invito che, si legge, sarebbe stato lanciato da Mattia Feltri alla “sinistra italiana” la quale non si capisce perché mai, pur ammettendo l’esistenza della suddetta sinistra, dovrebbe lasciarsi investire o interessare da iniziative di tal genere. Ma tant’è.
L’articolo si intitola Da Biagi a Biagi: è tempo di uno Statuto della persona e sottotitola “Oggi è fisso il salario e mobile il rapporto occupati/disoccupati. Invertiamo le priorità. Puntiamo alla piena occupazione come bene pubblico inderogabile”.
In effetti titolo e occhiello sintetizzano già molto efficacemente il punto focale dell’articolo e delle proposte di Brunetta e Tiraboschi e tutto ci appare già sufficiente per oscillare incerti tra i brividi di freddo e i conati di vomito, optando infine decisamente per i secondi. Ma il duo non si limita a minacciare l’intera classe lavoratrice con le insultanti parole contenute nell’occhiello citato, ci tengono proprio ad approfondire e spiegare il loro punto di vista – o meglio, la loro intimidazione – per anticiparci molto schiettamente tutto ciò su cui la grande borghesia sta lavorando per ritorcerci contro, ancora una volta e nella maniera più violenta possibile, tutti gli effetti nefasti della crisi strutturale del capitalismo aggravata ultimamente anche dalla pandemia. Loro la chiamano ristrutturazione necessaria, accelerata ma non innescata dalla pandemia da Covid-19, per una “straordinaria fase di ripresa postpandemica e di costruzione dell’Italia che verrà, grazie alle ingenti risorse legate al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”. Una ristrutturazione imposta, tra l’altro, dai mutamenti del mercato del lavoro innescati sia da “fattori demografici”, sia dalla “incessante evoluzione tecnologica a basso tasso di occupazione e crescita” (sic) a causa dei “salari imbalsamati” (sic) di cui saremmo prigionieri, che, infine, da una ancora “timida transizione ecologica” (sic) che necessita di numerose figure professionali adatte in tutti i settori tradizionali della produzione economica e il cui “impatto” nel mondo del lavoro potrebbe “risultare devastante e sanguinoso” (sic!) se continuasse a essere “governato con formalismi giuridici come il blocco sine die dei licenziamenti e con una rigida tutela del posto di lavoro” (sic!). Insomma, ci siamo capiti, no? La forza-lavoro è mediamente troppo vecchia (e quindi va spremuta fino ai 70 anni), troppo “fissa”, troppo pagata, troppo poco “specializzata” per fare fronte a queste grandi sfide che dovranno affrontare le imprese per fare serie e convincenti operazioni di “greenwashing” (loro la chiamano “transizione ecologica”, come se potesse realmente esistere un autentico ecologismo nella giungla della produzione orientata al profitto, ma poco importa finché ancora nessuno se ne accorge), e ancora troppo legata al salario orario anziché alle meraviglie retributive legate alla produttività e al raggiungimento dell’obiettivo che solamente un serio (e capitalistico) uso della tecnologia può garantire.
I signori Brunetta e Tiraboschi si sono esibiti in un favoloso numero di illusionismo degno del mago Copperfield: sono riusciti all’improvviso a far scomparire il conflitto capitale-lavoro che per loro rappresenta la parte più puzzolente di quella che Marx chiamava la “vecchia merda”, ossia il marcescente sistema capitalistico borghese.
In luogo del conflitto capitale-lavoro essi tirano fuori, dal loro magico cilindro, un nuovo ordine mondiale: una società pacificata, ove non esistono più gli universali filosofici – come per esempio i concetti di forza-lavoro, comunità, lavoro sociale e classi sociali ecc., ossia tutto ciò che, per dirla con Aristotele, “si può predicare di molti” – ma caratterizzata solo da singole particolarità disgiunte, senza nulla più in comune né di accomunabile, una galassia di singoli individui, ognuno con le proprie peculiari e irripetibili caratteristiche, che cozzano solo incidentalmente tra loro mentre ricercano ognuna la propria affermazione ed espressività. Prima c’erano i lavoratori e le lavoratrici, dei più disparati settori ma irrimediabilmente accomunati da un fatto: vendere la propria forza lavoro al peggior offerente. Essi sedevano al tavolo delle contrattazioni rappresentati per categorie assimilabili da organismi sindacali, con esiti più o meno soddisfacenti, ma quantomeno non singolarmente. Ora, chiaramente, secondo i signori Brunetta e Tiraboschi affermare tutto ciò sarebbe obsoleto, anzi di più: sarebbe irrispettoso delle “singole professionalità” perché chi lavora è una merce “particolare”, “una merce che pensa, impara, reagisce, si arrabbia, manifesta passioni, attrazioni, affettività, repulsioni, che sa essere razionale e irrazionale, che esprime le pulsioni insopprimibili del dono, della solidarietà e della partecipazione e che, dunque, mal si presta a modellizzazioni e astrazioni universalistiche” (sic).
Cancellando gli universali con un incantato tocco di bacchetta, i nostri gentiluomini cancellano così, in uno scritto tanto spavaldo quanto irrazionale, in un sol colpo i più grandi risultati della storia della filosofia mondiale dai Greci ai giorni nostri. I lavoratori e le lavoratrici devono rendersi conto che essi non sono in realtà in conflitto col capitale, che invece desidera nient’altro che nobilitare le loro particolari “professionalità” offrendo una valorizzazione non del volgare “posto fisso” di lavoro subordinato ma della “persona”, appunto, che attraverso “inevitabili e continue transizioni occupazionali” (sic) possa cimentarsi in nuove sfide ove autogovernarsi senza precisi tempi di lavoro e mettere le proprie capacità sempre al servizio di ambiziosi obiettivi dell’azienda, provando l’ebbrezza di percepirli come propri. No! Il vero nemico di chi lavora è un altro o un’altra lavoratrice che, senza veramente meritarlo, potrebbe parcheggiarsi a vita nel medesimo luogo a svolgere svogliatamente un’occupazione per la quale timbra un antiquato cartellino e per la quale percepisce un “vergognoso” salario fisso, approfittando della benevolenza del datore di lavoro che manco gli chiede di partecipare direttamente ai rischi di impresa! Questo l’indecente feticcio di cui liberarsi!
Orbene, una volta chiarificato il campo rispetto a chi siano, secondo i signori Brunetta e Tiraboschi, i veri nemici e i veri amici dei e delle lavoratrici e una volta capito qual magnifica transizione – il “nuovo ordine”, appunto – ci si prospetta davanti, bisognerà pur sempre che si comprenda chiaramente anche che questo necessario mutamento del mondo del lavoro e della società – “l’«utopia positiva», ieri possibile, oggi doverosa” (sic) – deriva non già dalla naturale evoluzione di un sistema produttivo in crisi che vede nell’imposizione di massa di forme lavorative a cottimo la sola via più redditizia che esista per gonfiare vertiginosamente i propri profitti e scaricare verso il basso i patimenti della crisi economica ancora in corso. No, giammai! Il “nuovo ordine” – ossia, e citiamo ancora direttamente gli autori di cui trattasi, “il passaggio da una società a retribuzione fissa verso la società postindustriale centrata sulla connettività e sulle reti, da un mondo di salariati sempre sull’orlo dell’abisso della disoccupazione a un pianeta della piena occupazione, in cui i lavoratori partecipino ai rischi d’impresa” – discenderebbe, per così dire, naturalmente dai mutamenti tecnologici ma soprattutto demografici e financo climatici. L’invecchiamento medio della popolazione mondiale e l’innalzamento delle temperature del globo, le cui cause sono chiaramente lasciate largamente insondate nello scritto in questione, si evolvono nel “tramonto del concetto di «lavoro astratto» di marxiana memoria” (sic) e, come dire, esigono naturalmente per risolversi una sola soluzione: la precarizzazione del lavoro, quale panacea di ogni male. Che altro mirabolante incantesimo!
Per non farsi mancare il numero di magia finale, in questo favoloso nuovo ordine i signori Brunetta e Tiraboschi hanno cancellato perfino la piaga della disoccupazione che, anche qui, esiste attualmente per motivi assolutamente ignoti ma che sospettiamo, se siamo stati ben ammaliati dai nostri gentiluomini, di poter attribuire a quell’insopportabile feticcio del salariato fisso che ruba il salario dei poveri disoccupati. Eh già, perché al posto della disoccupazione vi sarà la piena occupazione a salario variabile! Un perenne precario senza salario certo è senz’altro meglio di un improduttivo disoccupato!
Fortunatamente per loro non si sono spinti oltre coi sortilegi poiché, di questo passo, c’era il rischio infatti che i prodi maghi, inebriati dalla catarsi, si spingessero persino a cancellare un altro vecchio arnese del mondo novecentesco, la proprietà privata! Fortunatamente per i signori Agnelli e company i loro maghetti fedeli hanno esaurito giusto in tempo la polvere magica e, voilà, sono riusciti a cancellare il conflitto capitale-lavoro senza eliminare la proprietà privata dei mezzi di produzione.
Non c’è che dire, l’opera messa in atto è stupefacente ma, purtroppo per loro, non regge: tutto ciò non è altro che un’illusione appunto.
Al di là della facile ironia, il progetto Brunetta-Tiraboschi però merita la nostra attenzione per capire fino a che punto oggi si può spingere la spavalderia e l’arroganza degli intellettuali organici alla borghesia: loro giungono letteralmente a prenderci per i fondelli, spacciando l’introduzione del cottimo illimitato – forse la più pesante, profittevole e vecchia modalità di sfruttamento di questo mondo – come una magnifica e liberatoria novità. Senza risparmiare accuse e illazioni striscianti verso l’unica visione del mondo realmente alternativa, quella marxista, con l’argomento (trito e ritrito) del “vecchio arnese”, dell’anacronismo, del “vecchio” ecc., essi sono i primi a rimestare nella preistoria umana per riproporre le “gloriose” pagine del capitalismo ottocentesco, quando si impiegavano senza sosta dalla mattina alla sera uomini, donne e bambini, spremuti in fabbrica e gettati per strada a sera, senza tutele e con salari variabili a seconda del desiderio del padrone: condizioni contro le quali l’intera umanità si sollevava nel Novecento e, ce lo concedano i nostri stregoni, non cesserà mai di lottare strenuamente in nome della liberazione Umana e del progresso universale, quello vero.