Sebbene Stato, governo e regione abbiano avuto tutto il tempo necessario per preparare la scuola, la sanità e i mezzi pubblici alla sostanzialmente scontata seconda ondata della pandemia, nulla in concreto è stato fatto, se non proseguire con la solita “logica” neoliberista di dequalificare il pubblico a tutto vantaggio del profitto privato. Così, con il ritorno del freddo e la ripresa delle scuole anche la pandemia ha tornato a diffondersi, tanto da divenire ben presto incontrollabile, dal momento che non ci si è impegnati seriamente a investire sul tracciamento dei nuovi casi positivi. Così, sebbene la maggior parte delle scuole non siano ancora ripartire a pieno ritmo, crescono sempre di più gli alunni e il personale della scuola messo in quarantena, con il dramma di dover restare in costante contatto con il medico di base e di fare i tamponi necessari, operazioni che nelle attuali condizioni divengono delle imprese sempre più ardue.
Così oggi la possibilità di fare al contempo didattica in presenza e in sicurezza rimane una chimera. Nella grande maggioranza delle scuole la didattica è rimasta dall’inizio dell’anno mista, con le classi spezzate in due che, a turni, si alternano in presenza e nella didattica d’emergenza a distanza. Del resto la scelta politico-economica di non mettere minimamente in discussione la sciagura scientemente provocata delle classi pollaio, vero e proprio tallone d’Achille della scuola statale italiana, nella grande maggioranza dei casi rende letteralmente impossibile garantire al contempo la necessaria sicurezza e l’altrettanto necessaria didattica in presenza. Anzi, non solo non si è fatto nulla per assumere nemmeno le migliaia di precari – che dopo tre anni di precariato sarebbero dovuti essere assunti persino per la ultraliberista Unione europea – in modo da poter ridurre il numero di alunni per classe, ma non c’è stato nemmeno l’ordinaria sostituzione dei lavoratori andati in pensione, nonostante il prolungamento dell’età pensionabile. Così, nella grande maggioranza delle scuole vi è stata una straordinaria mancanza di personale, che ha costretto buona parte delle scuole a ridurre pesantemente il numero delle regolari ore di lezione, al punto da mettere in più di un caso in discussione lo stesso diritto allo studio degli alunni che costituzionalmente andrebbe garantito. Inoltre, non ci si è preoccupati di predisporre nuovi spazi per poter, quantomeno, dividere le classi monstre, che si sono create negli anni precedenti con il forzato accorpamento di classi differenti, dal momento che in regime neoliberista le classi pollaio nella scuola statale debbono essere la regola e non, certo, l’eccezione. Per cui, generalmente, i rari nuovi spazi messi a disposizione non sono altro che biblioteche, aule docenti, laboratori e persino palestre, in diversi casi utilizzate per garantire almeno ai nuovi iscritti di poter fare, quantomeno nel corso del primo semestre, didattica in presenza.
A complicare, fino a rendere impossibile il tutto vi è il mancato potenziamento dei mezzi pubblici, già prima estremamente carenti per i continui tagli subiti a causa delle politiche liberiste dominanti. In tal modo diviene sostanzialmente impossibile al loro interno mantenere la distanza minima di sicurezza, per cui nonostante tutte le precauzioni che, pur con carenza di mezzi e personale si cerca di prendere nelle scuole, è piuttosto semplice che un alunno venga contagiato e che esponga a rischio l’intera classe oltre ai docenti i quali, peraltro, cambiando classe o andando in sala docenti aumentano il rischio della diffusione. Così sono ormai già così tante le classi e i docenti finiti in quarantena che il monte ore necessario a garantire il diritto allo studio diviene sempre più una chimera. Del resto, avendo difficoltà con le sostituzioni, spesso viene chiesto ai docenti sia dalla dirigenza, sia dalla stessa Asl, di rinunciare di fatto alla quarantena e diversi insegnanti, che hanno già perso fin troppe ore di lezione, finiscono per assumersi il rischio, pur di non rimanere ancora più drammaticamente indietro con i programmi e le verifiche.
Tanto più che persino nel Lazio, la regione che ha fatto maggiori scorte di tamponi, la possibilità di farlo per tempo diviene sempre più un’impresa, con file infinite, che impongono spesso dopo moltissime ore di attesa, di tornare il giorno successivo e ricominciare da capo la fila. Anche questo calvario, che con un minimo di prevenzione si sarebbe potuto benissimo evitare, convince molti lavoratori a dichiarare di aver preso tutte le misure precauzionali necessarie, pur di venirne fuori al più presto da questo incubo tornando a lavoro o recandosi da privati, sponsorizzati dalle stesse Asl, dove non di rado con degli espedienti si aggirano i prezzi massimi imposti per legge.
Peraltro la grande maggioranza delle scuole non possiede una rete e una strumentazione adatta per mantenere ogni giorno quasi metà scuola connessa a distanza. Senza contare che, soprattutto nelle scuole di periferia, anche gli alunni non dispongono degli strumenti adeguati e all’altezza per seguire metà circa delle lezioni a distanza. Peraltro, con la progressiva privatizzazione – per cui le casse delle scuole dipendono sempre più dai fondi messi a disposizione volontariamente dai genitori e dalla possibilità di trovare finanziamenti esterni privati – si vengono a creare sempre più sovente scuole di serie A nei quartieri ricchi e scuole di serie B o C nei quartieri popolari delle periferie. In questi ultimi casi, generalmente, gli insegnanti sono costretti a ricorrere ai propri mezzi privati sia per stabilire le necessarie connessioni, sia per poter utilizzare una strumentazione all’altezza. Il che comporta oltre allo stress, delle spese extra significative che vanno a pesare sui già magri salari degli insegnanti. Le difficoltà sono in diversi casi talmente insormontabili che gli insegnanti debbono ripetere due volte la stessa lezione, dal momento che gli alunni connessi non hanno potuto apprendere quasi nulla. Anzi, alcune scuole hanno organizzato, almeno nelle prime settimane, la didattica in questo modo e diversi insegnanti per disperazione aspirano a questa forma di didattica che, di fatto, arreca un gravissimo danno al diritto allo studio degli alunni.
D’altra parte, le condizioni per questa didattica a distanza da scuola sono così precarie che ci sono rappresentanti degli studenti che a nome della classe sostengono di preferire o una lezione asincrona registrata come si deve o persino una lezione scritta. Allo stesso modo vi sono docenti che sostengono di aver potuto fare veramente lezione solo dalla propria privata abitazione nei giorni di quarantena o di chiusura per sanificazione della scuola per il rapido diffondersi dell’epidemia. Anche perché, dopo l’esperienza dello scorso anno, i docenti si sono dotati da casa della strumentazione necessaria a fare didattica a distanza, che paradossalmente non hanno praticamente mai a disposizione nei luoghi di lavoro.
Ciò rischia di creare ulteriori spaccature fra i lavoratori della scuola e nello stesso fronte che si è faticosamente costruito con le famiglie e gli studenti, per consentire la ripresa della didattica in presenza in sicurezza. Tendenzialmente, in effetti, le famigli proletarie, delle classi medie e della piccola borghesia – che hanno sempre più bisogno di poter mandare i figli a scuola, per poter dedicarsi al lavoro – spingono per mantenere il più possibile la scuola in presenza, mentre diversi lavoratori della scuola considerano, in queste condizioni, prioritaria la sicurezza di lavoratori e studenti e la possibilità di fare realmente lezione. Così, pur essendosi battuti per la riapertura della scuola e pur considerando la didattica a distanza utile solo nei casi di emergenza, diversi insegnanti ritengono che l’attuale situazione la renda necessaria. In altri termini, con una pandemia in costante espansione, con le strutture pubbliche statali – dalla scuola, alla sanità, ai mezzi pubblici – ancora una volta sostanzialmente impreparate a far fronte al nuovo stato di emergenza che si profila e con una classe politica unicamente interessata a crescere nei sondaggi e a dimostrarsi affidabile agli occhi della classe dominante, diversi insegnanti ritengono di essere ritornati o di stare comunque per ritornare in quella situazione di emergenza in cui la didattica a distanza diviene un male necessario, il meno peggio cui votarsi in questa sempre più drammatica situazione.
Questa potenziale spaccatura fra le priorità tendenzialmente opposte che rischiano di darsi le famiglie non ricche con figli a scuola e gli insegnanti rischia di essere molto pericolosa, favorendo il classico divide et impera del governo e, più in generale, della classe dominante. Essenziale, da questo punto di vista, è che ci sia una elevata capacità di riconoscimento fra lavoratori e genitori egualmente lavoratori delle opposte esigenze e priorità entrambe indubbiamente valide, ovvero di poter fruire della didattica in presenza per i propri figli – per potersi recare con meno problemi nei luoghi di lavoro – e l’esigenza dei lavoratori della scuola di difendere la tutela della salute nel proprio posto di lavoro e di poter svolgere la propria professione in modo consono, ossia con gli strumenti necessari a stabilire una valida connessione con gli alunni che, a causa delle classi pollaio, sono comunque costretti a turno a svolgere la didattica di emergenza.