Riflessioni a freddo sul barbaro attentato contro la sede del giornale satirico Charlie Hebdo e la “marcia repubblicana” che a Parigi ha visto marciare migliaia di proletari dietro ai sedicenti eredi dei grandi valori universalistici della Rivoluzione francese, i noti campioni dei diritti umani, nemici di ogni forma di fondamentalismo e violenza: Netanyahu, Poroshenko, Cameron, Hollande, Sarkozy, Merkel, Rajoy, Davotoglu (presidente turco), Stoltembreg (segretario della Nato) e Renzi.
di Renato Caputo
"Se non sapremo dar loro una mano ci succederà qualcosa di terribile"
Tiravo il mio carro senza più forze
lungo la Frankfurter Allee
Fu lì che pensai: O je! Come son stanco
Se mi lasciassi andare per un momento
Forse cadrei per sempre
Due minuti dopo non restavano di me che ossa nude.
Perché non appena sfinito crollai
e il padrone si precipitava al primo telefono
Gente affamata mi fu sopra coi coltelli per disputarsi l'un con l'altro la mia carne.
Non attesero neppure che finissi almeno di crepare.
Era la gente che conoscevo diversa
la stessa che prima mi dava del pane
e mi metteva i sacchi sul dorso per proteggermi dalle mosche.
Ieri tanto umana e oggi tanto disumana.
S'eran d'improvviso trasformati in tante belve. Come mai?
Morendo, pensai: quanto gelo è sceso
tra loro per renderli senza pietà?
Chi li ha frustati così?
E chi continua ancora a frustarli?
Se voi non saprete dar loro una mano
questa volta vi succederà qualcosa di terribile...
Così cantava Milva, sulle note del grande compositore comunista Hanns Eisler, una celebre lirica di B. Brecht del 1931. Il partito di Hitler era passato, in appena due anni, da 800 mila voti e 12 deputati a sei milioni di voti e 107 deputati, dopo che il governo liberal-conservatore di Brüning, eletto con l’appoggio dell’intero centro-sinistra, rispondeva all’enorme crescita del debito pubblico con una politica deflazionistica: riduzione dei salari del 10-15%, stipendi pubblici ridotti di un quinto, aumento delle tasse, riduzione del sussidio di disoccupazione, nonostante gli oltre 6 milioni di disoccupati.
Allo stesso modo, potremo notare, fino a non molti anni fa le banlieue di Parigi erano non solo un’essenziale riserva di voti del partito comunista francese, ma costantemente pronte alla rivolta dinanzi agli abusi del potere costituito. Allo stesso modo, fino a non troppi anni fa, il mondo arabo era un avamposto della lotta contro l’imperialismo e il neocolonialismo. La solidarietà internazionalista fra i giovani ribelli arabi ed europei era quasi scontata, come lo era la lotta comune contro il neocolonialismo e l’occupazione della Palestina.
Oggi i mezzi di comunicazione di massa, con un salto indietro di quasi un millennio, ci vorrebbero riportare al clima della crociata dei pezzenti, all’unità del mondo occidentale cristiano contro il pericolo islamico. Tanto che migliaia di lavoratori si sono trovati in piazza, a Parigi, in un corteo aperto dai principali responsabili politici delle politiche liberiste in Europa e delle aggressioni imperialiste ai pochi governi laici che nel Medio Oriente si opponevano al montare del fascismo islamico.
Ancora una volta ci torna in mente una lirica di Brecht, ripresa in una celebre canzone di Claudio Lolli:
Al momento di marciare
molti non sanno
che alla loro testa marcia il nemico.
La voce che li comanda
è la voce del loro nemico.
E chi parla del nemico
è lui stesso il nemico*.
Dimentichi di tutto ciò, anche in quella sedicente sinistra, per la quale i suoi stessi classici sono orami una terra straniera, ci si precipitava a fare di un giornale che non aveva esitato a soffiare sullo scontro di civiltà, esaltando autori islamofobi come Orianna Fallaci e Michel Houellebecq e pubblicando le vignette islamofobe del quotidiano danese reazionario Jyllands-Posten, un faro della civiltà illuminista occidentale. In tal modo ci si dimenticava che - come ha recentemente ricordato il direttore di una celebre rivista satirica sud americana: «se un forte irride un debole è un abuso dichiarato, se un debole se la ride di un forte è qualcosa di necessario», concetto che fino a poco tempo fa era, almeno a sinistra, dato per scontato. In effetti sarebbe come considerare un elemento cardine della civiltà occidentale, da esportare in tutto il mondo, la facile ironia che i colonizzatori inglesi facevano sulle credenze religiose dei colonizzati irlandesi, senza domandarsi se il persistere della “barbarica fede nel papismo” non fosse anche il portato di secoli di selvaggio sfruttamento, angherie di ogni tipo, stragi e genocidi perpetuati dalla civile e liberale Inghilterra, a cui i primi intellettuali illuministi si erano richiamati.
Centosettanta anni fa circa, un filosofo tedesco destinato a divenire celebre, scriveva delle parole un tempo famose e oggi troppo spesso obliate: «la miseria religiosa è insieme l'espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l'oppio del popolo». Sarebbe dunque preferibile, piuttosto che limitarsi a curare gli effetti, ossia combattere (come pure è necessario) ogni forma di fanatismo e fondamentalismo religioso, interrogarsi anche sulle cause. Questo vale in particolare per gli intellettuali di sinistra che, se non intendono fare la fine del cavallo di Brecht o del corvo del celebre film di Pier Paolo Pasolini Uccellacci e uccellini, dovrebbero domandarsi «quanto gelo è sceso tra loro per renderli senza pietà? Chi li ha frustati così? E chi continua ancora a frustarli?»*. Non a caso il giovane Karl Marx, nello scritto sopra citato, ricordava che «essere radicale vuol dire cogliere le cose alla radice»*.
La causa, ossia la radice del rigurgito dell’intolleranza religiosa, è da ricercare in primo luogo nelle politiche liberiste, che hanno sfruttato la crisi del sistema capitalistico per lanciare un’offensiva di classe che sta portando i salari pericolosamente al di sotto del livello della mera riproduzione della classe dei lavoratori salariati. In nome della crisi continuano i licenziamenti di massa che consentono al capitale di aumentare l’orario e i ritmi di lavoro, diminuendo nel suo insieme il salario sociale, grazie alla pressione esercitata da un esercito industriale di riserva sempre più imponente. Se questo è indubbiamente l’odierno gelo che rischia di rendere senza pietà la «plebe moderna», per utilizzare una categoria della filosofia classica tedesca, indubbiamente chi ha frustato e continua a frustare i diseredati discendenti dei popoli colonizzati sono le attuali classi dirigenti e dominanti dei paesi imperialisti che, continuando con la politica di devastazione di ogni paese che non si sottomette totalmente alle politiche delle multinazionali, proseguono nella loro politica di sistematica sovrapproduzione della forza lavoro. Tutto ciò nel disperato tanto violento quanto velleitario tentativo di preservare un modo di produzione reso sempre più irrazionale dalle sue stesse contraddizioni. A fronte di una produzione sempre più globalizzata, infatti, l’appropriazione della ricchezza prodotta dalle masse di sfruttati in ogni angolo del mondo è sempre più accumulata nelle mani di un numero sempre più ristretto di privati, con il rischio sempre più concreto di far precipitare il pianeta terra in una nuova epoca di barbarie.
Dunque se non vogliamo che continui a succederci qualche cosa di terribile, sarà necessario dare una mano a una plebe moderna sempre più all’«opra china» in mancanza di ideali «in cui sperar».*
Da questo punto di vista diviene essenziale tracciare una netta linea di demarcazione della sinistra radicale, che intende risolvere alla radice le attuali dilaceranti contraddizioni sociali, da quel centro-sinistra che, come negli anni Trenta in Germania, si schiera con la politica dei liberali tesa a rispondere all’enorme crescita del debito pubblico con una politica deflazionistica fatta di riduzione dei salari, aumento della tassazione indiretta, riduzione dei sussidi di disoccupazione, nonostante il pauroso aumento della disoccupazione.
Solo così sarà possibile evitare un nuovo precipitare della società nella barbarie fascista, che oggi assume spesso le sembianza del fondamentalismo religioso. Tanto più che, per citare ancora una volta il filosofo tedesco più popolare fra gli sfruttati di tutto il mondo, che recentemente un sopravvalutato dirigente della Fiom si vantava di non aver mai letto, «eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigerne la felicità reale. L'esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l'esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della religione, dunque, è, in germe, la critica della valle di lacrime, di cui la religione è l'aureola»*.
Di contro a una sedicente sinistra sempre più egemonizzata dall’ideologia dominante che, secondo le gramsciane tesi del 1926, «deve essere considerata non come un’ala destra del movimento operaio, ma come un’ala sinistra della borghesia»,
di contro a un cattivo universalismo che conferma la celebre massima di un saggio cinese: «tutti gli uomini muoiono, ma la morte di alcuni ha più peso del Monte Tai, e la morte di altri è più leggera di una piuma», per cui nessuno si cura degli oltre duemila nigeriani trucidati dai fondamentalisti proprio nei giorni in cui tutti si precipitavano a Parigi a manifestare per la morte di un numero fortunatamente contenuto di europei,
vale la pena ricordare che, per non tornare a essere la plebe sempre all'opra china / senza ideale in cui sperar, e sbarazzarci del nemico che marcia sempre alla nostra testa, è necessario tornare a far risuonare nelle piazze il noto motivo, in quanto tale, per dirla con Hegel*, non conosciuto:
In piedi, dannati della terra,
In piedi, forzati della fame!
La ragione tuona nel suo cratere,
È l’eruzione finale.
Del passato facciamo tabula rasa,
Folle, schiavi, in piedi! In piedi!
Il mondo sta cambiando radicalmente,
Non siamo niente, saremo tutto!
È la lotta finale, Uniamoci, e domani
L’Internazionale sarà il genere umano*.