Se da un lato è necessario individuare la base materiale che ha consentito lo sviluppo delle strutture terroristiche del fondamentalismo islamico all’interno dello scontro interimperialistico, di cui la Francia è uno degli attori principali, da un altro, non possiamo esimerci dal considerare questi movimenti come organizzazioni ormai dotate di un corpus ideologico robusto abbastanza da porsi in maniera autonoma sul piano politico.
di Redazione LCF
Ora che la strage è compiuta, si fa presto a mettere il lutto al braccio. Ora che si è verificato quello che per mesi e mesi addietro è stato ampiamente denunciato da chi è abituato a leggere le situazioni, gli accadimenti, i fatti, la politica, quindi, in modo analitico e disincantato, è troppo tardi per tornare indietro e cancellare la morte. Ci vorrà tempo per dare risposte agli inquietanti interrogativi che lascia aperti il feroce attentato con cui è stata decimata la redazione di Charlie Hebdo e con cui sono state distrutte tante vite, tra obiettivi prefissati e così detti “effetti collaterali”.
E non solo perché non sarà facile ricostruire l’intera filiera delle origini e dei mandanti della strage, ma anche perché tutto l’accaduto chiama in causa le più acute contraddizioni della fase storica che attraversiamo.
A maggior ragione, è necessario quindi mantenere lucidità e contrastare le facili derive dei luoghi comuni con cui si vorrebbe consolidare un’interpretazione gretta e reazionaria della realtà a difesa del potere, su scala ormai planetaria, delle classi dominanti.
Una lucidità più che mai necessaria, di fronte alla barbarie stragista (parigina e nigeriana) che è sotto ai nostri occhi, per cercare di capire cosa fare e cosa non fare in queste tragiche circostanze, partendo da alcuni punti fermi. A nostro modo di vedere l’analisi di ciò che è successo a Parigi e a Baqa (nord-est della Nigeria) non può che essere il risultato di una sintesi superiore tra due linee di ragionamento.
Da un lato è necessario individuare la base materiale che ha consentito lo sviluppo delle strutture terroristiche del fondamentalismo islamico all’interno dello scontro interimperialistico di cui la Francia con i suoi apparati di “sicurezza” è uno degli attori principali.
In questo senso non è in atto uno “scontro tra civiltà” rappresentato dalle diverse religioni, ma uno scontro tra gruppi che si contendono il controllo delle regioni strategiche in funzione dei propri interessi. Basta considerare le alleanze di ferro che da decenni legano i paesi-guida dell’ “occidente cristiano” (gli U.S.A. in testa) con un gran numero di paesi arabi e “islamici” tra cui potenze regionali come l’Arabia Saudita e l’Egitto, nonché l’integrazione assolutamente compatibile di moltitudini immigrate di religione islamica in tutto l’occidente, per capire che il problema non è l’inconciliabilità tra le religioni. È in atto nel mondo uno scontro globale per l’appropriazione delle risorse e la loro valorizzazione secondo le regole del modo di produzione capitalistico. Questo causa la concentrazione delle ricchezze in ambiti sempre più ristretti e l’immiserimento sempre maggiore della stragrande maggioranza della popolazione mondiale. In questo scenario, milioni di persone sono private di ogni prospettiva di affermazione di una vita dignitosa e vivono come possibile riscatto solo quello offerto dalla dimensione religiosa.
Dunque, da un altro punto di vista, non possiamo esimerci (e sarebbe un grave errore) dal considerare questi movimenti fondamentalisti come organizzazioni ormai dotate si di struttura ma allo stesso tempo di un corpus ideologico robusto abbastanza da porsi in maniera autonoma su piano politico.
Il fondamentalismo e il fanatismo, che sono una deriva possibile di tutte le religioni (come ben documentato anche dalla bimillenaria storia del cristianesimo), trovano il più fertile terreno di coltura nella disperazione sociale oggi prevalente tra le sterminate masse (si parla di un miliardo e mezzo di persone) di fede islamica. Una disperazione non certo attenuata, ma anzi viepiù esasperata dai devastanti interventismi bellici (e di rapina economica) con cui il nostro civilizzato “occidente cristiano” materializza la propria presenza nelle regioni africane ed asiatiche dello “scacchiere mondiale”. Ed è proprio su queste masse di giovani che vivono nella periferia del mondo e, oggi, anche nella periferia delle nostre città metropolitane, vittime principali del fallimento delle politiche neoliberiste, che il movimento fondamentalista esercita la sua forza egemonica.
Il fondamentalismo, proprio per il suo essere privo di radici in una prospettiva di trasformazione sociale, ma originato soltanto dal suo primitivo richiamo all’investitura divina, è ovviamente autoritario ed oscurantista. In questo la strage di Parigi è emblematica: non viene colpito un luogo del potere politico o militare, ma il luogo della critica dissacrante. In questo ci sentiamo colpiti ancora più direttamente, perché il lavoro dei vignettisti di Charlie Hebdo (alcuni di loro anche nostri compagni) era proprio quello di richiamare ad un’altra dimensione della socialità. Non basata sulla contrapposizione di potere, ma sul pensiero critico.
Trattare la strage di Parigi soltanto come un grave fatto di ordine pubblico frutto di follia criminale cui si risponde esclusivamente sul piano militare e della sicurezza, equivale alla miope illusione di risolvere il male curando gli effetti senza andare alle cause. Così come è scellerato alimentare illusioni di chiusura o contrapposizione basate sulla diversità etnica e/o religiosa. A questo proposito basti fare un accenno “nostrano”- nulla di più, per carità - al fatto che proprio in queste ore, a seguito degli eventi di Parigi, non hanno tardato a farsi udire i rantoli, degni di un australopiteco, della Lega Nord (che grazie all’attentato si prepara indubbiamente ad una grossa scorpacciata di populismo), nell’eminente figura, stavolta, dell’eurodeputato Gianluca Buonanno il quale commenta l’accaduto invocando un ritorno della pena di morte (raccogliendo l’assist di Marine Le Pen), la chiusura di tutte le moschee in Italia e la schedatura di tutti i mussulmani presenti sul territorio nazionale, semplicemente perché sono mussulmani e dunque, ovviamente, tutti potenziali terroristi.
È più che mai necessario, invece, dare uno sbocco politico e di possibile trasformazione sociale alle enormi contraddizioni che scuotono il mondo intero. È questo il compito più importante cui lavorare, da subito e con tutte le nostre forze, in tutti gli ambiti di questa convulsa crisi capitalistica che ci attanaglia. Altrimenti, il perpetuarsi delle appropriazioni e degli sfruttamenti privati, in nome dei quali si alimentano cinicamente ed incessantemente guerre, distruzioni e impoverimenti di massa, inevitabilmente porterà a nuovi assalti contro le nostre cittadelle benestanti, per quanto chiuse e fortificate.
Ancora una volta, l’alternativa è tra una prospettiva di socialismo e una di barbarie.