Il Senato Accademico dell’Università Statale di Milano ha votato il 23 Maggio per l’introduzione del numero chiuso nelle facoltà umanistiche. La precedente seduta del Senato era stata interrotta da un’occupazione degli studenti contrari al numero chiuso. Nel frattempo, era stata presentata una mozione alternativa per il rinvio della decisione almeno al prossimo anno accademico, firmata da 150 docenti.
L’introduzione del numero chiuso con test d’ingresso è passata con l’opposizione di quattro dei cinque rappresentanti degli studenti. Non ci si può certo stupire che il rappresentante di UNILAB – lista studentesca nata nel mondo della Bocconi – abbia votato a favore del numero chiuso. Risulta invece quasi incomprensibile il voto favorevole di Giulio Formenti, rappresentante dei dottorandi che in campagna elettorale si è speso per il centro sinistra e in particolare per SinistraXMilano, la lista vicina a SEL. Hanno inoltre votato contrario i rappresentanti del personale tecnico e amministrativo e alcuni docenti.
Merito e tagli
Ovviamente all’interno dell’ateneo milanese e sui giornali è partita la campagna del merito: il numero chiuso servirebbe a garantire gli studenti meritevoli che finalmente non dovranno più sorbirsi lezioni con centinaia di studenti, svogliati e “parcheggiati”.
La realtà è invece molto più prosaica: il numero chiuso per le facoltà umanistiche arriva in seguito a un decreto ministeriale di Dicembre, in cui è stato diminuito il rapporto tra docenti e studenti richiesto per poter avviare un corso. Senza risorse economiche per aumentare il numero di docenti, la conseguenza è diminuire il numero di studenti.
Di certo appare difficile ritenere che una delle più grandi e prestigiose università italiane non avrebbe potuto sostenere una contrattazione con il ministero per evitare il taglio dei corsi.
L’introduzione del numero chiuso sembra invece una buona scusa per evitare il problema dei tagli che impediscono di aumentare il numero di docenti e di rendere adeguate le strutture universitarie. Se un corso non può essere insegnato da un solo docente a duecento studenti, invece di avere due docenti che insegnano a cento studenti, si sceglie di avere solo cento studenti.
D’altra parte, mentre si parla di merito, si sceglie di compiere la selezione in base a un test d’ingresso. Viene da chiedersi come mai la selezione non possa essere operata attraverso le decine di esami che uno studente deve affrontare dall’iscrizione alla laurea. Anche qui, la risposta sta nei vincoli imposti dall’alto. La ripartizione dei fondi premiali premia come “università migliori” le università che fanno laureare più studenti in corso e con voti più alti. L’effetto per cui è più difficile bocciare o dare comunque voti bassi è evidente a tutti, anche se poco discusso pubblicamente. A questo si aggiunga la propaganda battuta dai grandi media “meritocratici” sui fuoricorso, di fatto accusati di essere portatori di ogni male. In realtà, lo studente fuoricorso, continuando a pagare le tasse, è per le università una fonte di entrate.
“Merito”, classe e parcheggi
Goldthorpe e Jackson, nel loro seminale articolo “La meritocrazia dell’istruzione e i suoi ostacoli”, riconoscono che il principale ostacolo all’ideale della meritocrazia è che l’influenza delle differenze di classe sui risultati scolastici medi resta nonostante l’apertura di nuovi numeri chiusi finisca per essere una selezione di classe indiretta.
In questi giorni si torna a parlare anche della teoria del “parcheggio”, resa popolare dal noto sociologo Barbagli. Secondo questa teoria, nella storia italiana l’accesso in massa ai gradi superiori dell’istruzione sarebbe stato utilizzato per compensare la disoccupazione. La situazione attuale ci dice però che per quanto la disoccupazione giovanile sia alta, le immatricolazioni sono tutt’altro che aumentate. Secondo i dati dell’OCSE, dall’anno accademico 2004/2005 a quello 2014/2015 si è scesi dal 73,1% di diplomati che si iscrivono all’università al 49,1%.
A qualcuno potrebbe sembrare che la distinzione tra numeri aperti e chiusi sia la distinzione tra facoltà facili e difficili. Anche questo argomento non regge alla prova dei fatti, dato che nella stessa Statale di Milano rimangono a numero aperto dipartimenti come fisica e matematica.
Dalla Statale a Expo
Mentre si spreca la retorica sulla qualità dell’insegnamento, appare evidente che le logiche dietro all’introduzione del numero chiuso sono molto diverse: evitare lo scontro politico con il ministero, l’ideologia del merito. Ma non solo, spunta anche l’Area EXPO, in cui dovrebbe trasferirsi la Statale.
Secondo quanto dice l’europarlamentare Curzio Maltese (GUE/NGL) si tratterebbe del piano B dopo i mancati investimenti privati sul sito di EXPO. Il trasferimento della Statale nell’hinterland milanese sarebbe quindi: “il salvataggio pubblico dal fallimento. Renzi ha promesso addirittura un finanziamento di un miliardo e mezzo per costruire un campus "dell'eccellenza", che suona una truffa già dal titolo. Per arrivare alla cifra occorre stornare dall'università milanese i soldi dei fondi statali e quelli europei, ma ancora non basta. Pare, infatti, che il rettore Vago sia disposto a far indebitare la Statale di Milano per almeno 130 milioni, alla faccia della managerialità. Ridurre il numero di studenti di via Festa del Perdono è funzionale all'affare”.
Secondo il sindacato Studenti Indipendenti “la nostra battaglia di oggi non riguarda solo il numero chiuso, ma chiama in causa anche il modo in cui noi pensiamo all'università e che sia connessa ad altre decisioni dell’attuale amministrazione. La scelta di disinvestire in queste aree disciplinari va infatti di pari passo col trasferimento delle facoltà scientifiche ad Expo”.