PARIGI. I riflettori della stampa italiana si sono accesi ancora una volta sull’operato dell’esecutivo a guida Macron, che lunedì (25/09/18) ha presentato la finanziaria per l’anno 2019. Il percorso è appena iniziato e impegnerà il governo per le prossime settimane: dovrà infatti essere proposto e discusso in parlamento durante quest’ultimo trimestre e essere poi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale entro la fine di dicembre 2018.
La notizia ha fatto tremare le gambe ai sostenitori dell’ideologia del bilancio in pareggio. La Francia, quest’anno, raggiungerà il 2,8% del rapporto deficit/PIL. Questo fatto, alle soglie della presentazione della legge di bilancio nostrana da parte del governo giallo-verde, potrebbe fornire una leva interessante a Di Maio per gonfiare il pelo in sede europea. Anche se il dicastero dell’economia è saldamente nelle mani fidate di Tria, il tira e molla sul nostro deficit sembra infatti essere entrato nel vivo. Il Ministro aveva giurato in Europa che per nessun motivo sarebbe stato sforato l’1,6%, ma i gialloverdi sono riusciti a strappare il 2,6% senza rinunciare a portare a casa il tanto promesso reddito di cittadinanza (sebbene si tratti in realtà di altro) e la flat tax per piccole imprese, professionisti e artigiani. Non solo i grillini dunque, ma anche i leghisti hanno cominciato a fare la voce grossa; sanno che lo slancio determinato dagli atti di bullismo umanitario (ora pericolosamente formalizzato nel decreto Salvini) prima o poi si esaurirà.
Proprio il paladino della governabilità europea, Macron, rischia perciò di fornire un assist prezioso ai gialloverdi nel loro, per adesso tutto mediatico, braccio di ferro con l’Europa. Ma da Bruxelles avvertono che una manovra che sfiori i limiti del sacro vincolo di bilancio porterebbe alla catastrofe il bel paese. Come in un rosario, si affrettano tutti a sgranare le solite motivazioni: la Francia ha un debito più contenuto, gode di maggior salute sul mercato dei titoli, di una stabilità politica maggiore, eccetera, eccetera. Una tiritera che ormai conosciamo a memoria.
Quello di cui nessuno, però, sembra accorgersi è che la finanziaria francese non è una pericolosissima manovra espansiva (ora che anche il keynesismo è stato bandito dai confini della UE): la ‘Loi de finances’ sfiora il tetto consentito semplicemente perché taglia a man bassa i contributi. In maniera residuale alle famiglie, consistentemente alle imprese. Niente paura, quindi: Macron continua a portare tenacemente avanti il suo organico progetto di trasformazione in senso liberista della società francese che ha provocato l’anno scorso una decisa opposizione sociale.
Nei fatti, la finanziaria prevede innanzitutto un abbassamento dei contributi sul lavoro che le imprese pagano allo stato. Macron manda in soffitta il sistema di rimborsi del governo Hollande (il CICE) per un “taglio delle tasse chiaro e perenne per tutti i tipi di imprese”. Di ben sei punti percentuali. Una politica che agisce direttamente e a monte sui contributi, quindi, in favore delle imprese. Ma non basta: da gennaio 2019 i lavoratori non pagheranno più i contributi sulle ore di straordinario. Le imprese avranno così molta più presa nel proporre ore di straordinario, invece che fare nuove assunzioni. Inoltre, il ministero che subirà un drastico taglio alle proprie risorse è quello della Coesione Territoriale che, fra le altre cose, si occupa di fornire l’Aide personnalisée au logement (APL), dispositivo fondamentale di sostegno all’abitare sul quale contano milioni di francesi per vivere dignitosamente.
Il rapporto deficit-Pil nel corso del 2019 verrà influenzato anche dall’effetto ritardato di altri tagli ai contributi - quelli sulla malattia, sulla disoccupazione e sul pensionamento - che minano lo Stato sociale francese. Si stima che il mondo delle imprese risparmierà grazie a Macron qualcosa come 18 miliardi di euro. D’altronde, è lo stesso esecutivo che rivendica di stare portando avanti un cambiamento organico: la finanziaria, si legge sui canali ufficiali governativi, “persegue anche la trasformazione del nostro modello sociale, costruendo quello che il presidente della Repubblica ha definito lo Stato sociale del XXI° secolo”. L’obbiettivo è quello di “rimettere in marcia l’ascensore sociale nel nostro paese e passare da una logica di diritti enunciati ad una logica di solidarietà reale”.
La lotta di classe si combatte anche sul terreno del vocabolario politico e il termine ‘solidarietà’ qua è evidentemente svuotato di ogni significato sostanziale. Starà al popolo francese e ai suoi lavoratori invertire questa tendenza e mobilitarsi nuovamente per contrastare, ancora più tenacemente, l’agenda politica di Macron e del suo governo.