Il libro di Canfora si interroga su delle questioni di importanza decisiva per il nostro paese e, più in generale, per i paesi a capitalismo avanzato, per i paesi occidentali e, forse, per la maggior parte dei sistemi democratici moderni nel loro complesso, quantomeno in questa fase storica di restaurazione liberista. Anzi, a ben guardare, si tratta di una problematica che trascende la stessa democrazia e che mette in questione il decisivo fondamento antiassolutista, oggi diremmo antitotalitario, degli Stati moderni liberali: la divisione e il reciproco controllo e limitazione dei poteri fondamentali. In effetti, in modo esemplare nel nostro paese, ma più in generale al livello internazionale assistiamo a un progressivo svuotamento del fondamentale potere legislativo del parlamento, a tutto vantaggio del potere esecutivo, del governo. Per cui l’aspetto più democratico del sistema liberale, le assemblee legislative finiscono per assumere il mero compito di ratificare decisione prese altrove, nel caso meno peggiore dal potere esecutivo del proprio paese, nel peggiore da organismi transnazionali non eletti espressione del potere e degli interessi del capitale finanziario.
In tale situazione il protagonista stesso del potere, della forma di governo democratica, tende sempre più a dileguare. Venendo meno in modo sempre più evidente il potere dei meno ricchi (significato del termine democrazia [1]) è evidente che il sistema liberal-democratico rischia sempre più decisamente di subire una deriva oligarchica. Per cui della democrazia finirebbe con il restare il solo termine, svuotato di significato, nel momento che diviene sempre più evidentemente una gestione “democratica” del potere tutta all’interno della classe dominante. In tal modo, l’odierna situazione rende sempre più attuali le critiche del marxismo leninismo alla democrazia, realizzabile esclusivamente all’interno della classe dominante.
Con il passaggio, dovuto alla tragica conclusione della guerra fredda, dalla Prima alla Seconda Repubblica in Italia, si ricorre sempre più spesso a soluzioni emergenziali delle crisi politiche, investendo del potere un sedicente governo tecnico, che sembra non aver bisogno di sottoporsi, nemmeno formalmente, al processo elettorale “democratico”. Siamo in una situazione sempre più assimilabile a quella del presidenzialismo francese, imposto con il colpo di Stato istituzionalizzato di De Gaulle, per cui il presidente della Repubblica si arroga il diritto di decidere chi di fatto svolgerà, incostituzionalmente, le funzioni di primo ministro, senza dover rispondere del proprio operato al parlamento, ma esclusivamente a un capo dello Stato che assurge sempre di più alla funzione anticostituzionale di sovrano, tanto che non sente nemmeno più il bisogno di convocare e di consultare i partiti che hanno avuto i maggiori consensi popolari. Tanto che, come denuncia Canfora, in questa crisi di inizio secolo sembra di essere tornati allo Statuto albertino, ripudiando completamente non solo lo spirito, ma anche la lettera della Costituzione nata dalla Resistenza antifascista.
Tale deriva è sempre più connessa con il richiamo da parte del capo di Stato e dei mezzi di informazione di massa alla unità nazionale, un modo solo più elegante di ricorrere al solito trasformismo, quale male strutturale dell’Italia unita, che porta i rappresentanti dei partiti politici democratici e progressisti a perdere qualsiasi connessione sentimentale con le classi sociali meno ricche, ossia il “demos”, che dovrebbe far governare in una democrazia.
D’altra parte il costante richiamo all’unità nazionale, oggi spesso ribattezzata come agenda Draghi, è sempre più imposto anche dall’esterno, proprio da quegli organismi transnazionali che curano gli interessi del capitale finanziario e che sembrano non avere nessun bisogno di essere eletti, in modo anche solo formalmente democratico, per imporre i propri diktat. Naturalmente ciò non può che comportare una sostanziale perdita della sovranità nazionale e popolare, secondo un processo involutivo al quale concorrono gli stessi sedicenti sovranisti, seguendo una dinamica che rischia di divenire sempre più irreversibile.
Del resto il suffragio universale è ben presto stato trasformato in uno strumento della rivoluzione passiva, mediante cui i recalcitranti oligarchi hanno consegnato ai non ricchi questo simulacro di potere, al posto del potere reale che il concetto stesso di democrazia prevedrebbe. Tanto più che il diritto di voto, che era stato una conquista storica delle classi non ricche, costato enormi sacrifici e spargimenti di sangue, viene in modo sistematico falsificato dal predominante influsso della ricchezza, in una società sempre più caratterizzata dalla polarizzazione sociale. Così oggi il pensiero unico dominante, pur tenendo fermo il decisivo contrasto fra l’occidente civilizzato e democratico e i suoi competitori “totalitari”, nasconde sempre meno il proprio fastidio per la sovranità popolare che dovrebbe essere alla base della nostra stessa Costituzione. Giungendo al paradosso per cui i neo sedicenti democratici sembrano proprio caratterizzati da un sussiego elitario nei riguardi di quello stesso “demos” che dovrebbero rappresentare al potere.
Alla base della restaurazione liberista in Italia – quale reazione ai grandi movimenti di lotta dal basso sviluppatisi dalla Resistenza sino alla fine degli anni Settanta – ha avuto come protagonista l’Unione imperialista europea, attraverso la quale gli interessi del capitale finanziario transnazionale con base nel nostro continente, hanno avuto ampiamente la meglio su ogni residua velleità di governo dei non ricchi, manipolando in senso presidenzialista il ruolo di arbitro imparziale e garante della Costituzione democratica che avrebbe dovuto assicurare il capo dello Stato italiano. Si badi bene però che i governi tecnici da Monti a Draghi, che hanno aperto la strada o, meglio un’autostrada al governo Meloni, non ci sono stati imposti dall’esterno – come pretendono i complottisti sovranisti – dal momento che la classe dominante italiana è da sempre parte integrante del blocco sociale che ha sin dalla fondazione dominato l’Unione imperialista europea.
Così il discredito gettato ad arte dall’ideologia dominante sul Parlamento e ancora di più sui partiti politici, sfruttando nel modo migliore la pratica suicida del trasformismo, ha permesso ai poteri forti, tramite il capo dello Stato, di imporre al paese con Draghi un, di fatto, capo di un governo di unità nazionale completamente calato dall’alto, in modo del tutto antidemocratico, tanto da aprire la strada all’inevitabile successivo governo Meloni, dal momento che tutti i sedicenti democratici si erano completamente prestati a questo sostanziale rovesciamento del principio democratico, culminato nel commissariamento dei partiti politici imbarcati nel governo. Con la riduzione dei dirigenti dei più diversi partiti politici a mere comparse di un partito unico, utile a far apparire come unica reale alternativa “politica” all’antipopolare agenda Draghi i Fratelli d’Italia, fedeli scudieri della Nato, nonostante il millantato nazionalismo sovranista. Mentre gli altri partiti perpetuavano i loro battibecchi da comparse, il governo tecnico proseguiva nel proprio dirigismo incurante di tali comprimari. Così i partiti politici, che costituzionalmente dovrebbero essere lo strumento con cui i cittadini dovrebbero “determinare” democraticamente “la politica nazionale”, abdicavano completamente al proprio ruolo, secondo il copione da tempo predisposto dai mezzi di comunicazione di massa, intenti a portare avanti il piano inclinato del gollismo all’italiana. Peraltro il semipresidenzialismo alla francese già di fatto introdotto con il governo Draghi-Mattarella, e preparato dai precedenti governi tecnici calati dall’alto, aspetta solo di essere normato dall’attuale governo sedicente sovranista. Del resto tale deriva era stata preparata sin dall’avvento della Seconda Repubblica con una sistematica opera di depotenziamento del dettato costituzionale. Fino ad arrivare all’assurdo del Presidente “unto del Signore” che considerava la Costituzione (sorta, come è noto, da un compromesso storico fra forze di sinistra, cento e destra) l’ultimo ricettacolo del bolscevismo nel nostro paese. Così abbiamo oggi a capo del governo i più giurati nemici della Costituzione antifascista, con il bene placito di quelli stessi poteri forti che proprio un secolo fa, di contro al suffragio universale, avevano consegnato il potere ai più aperti nemici della democrazia.
Peraltro un capo del governo espressione diretta dei poteri forti dell’Unione europea calato dall’alto era reso, paradossalmente, accettabile mediante lo scambio fra un nuovo commissariamento del governo nazionale, dopo quello di Monti, e un parziale allentamento dei vincoli di austerità di Maastricht.
Senza contare che la sempre più lunga mano dell’esecutivo non solo ha completamente assoggettato il parlamento, ma è intervenuta in modo altrettanto poco liberale nell’ambito del potere giudiziario, a partire dal colpo di mano sul processo penale, al solito spacciato come se si trattasse di una necessaria direttiva europea, mentre si trattava dell’ormai consueto spontaneo servilismo nei confronti dei poteri forti transnazionali, portato a compimento sfruttando il silenzio-assenso dei mezzi di comunicazione di massa, tutti intenti a distrarre il popolo bue mediante le “imprese” sportive degli azzurri.
Per quanto riguarda il progressivo dileguarsi della democrazia, si possono ricordare due aspetti emblematici su cui richiama l’attenzione Canfora. In primo luogo, la mancanza di qualsiasi volontà politica reale di arginare morti e incidenti sul lavoro, con la cronica mancanza di ispettori, il diffondersi di appalti e subappalti e le misure vaghe che dovrebbero colpire le aziende colpevoli. Per quanto le percentuali di irregolarità rilevate dalle ispezioni si avvicini al 100%, la possibilità che un’azienda venga sanzionata e multata è così labile – dal momento che accade in media almeno ogni mezzo secolo – per cui è assolutamente antieconomico per le imprese mettersi e/o mantenersi in regola, in quanto rischierebbero di essere sopraffatti dalla concorrenza. Dinanzi a questo scempio le forze sedicenti democratiche al governo si limitano a occupare delle poltrone, in quanto non fanno nulla per limitare incidenti e morti sul lavoro che continuano a falcidiare quel popolo che dovrebbe essere sovrano e quei meno ricchi che dovrebbero stare al potere in una reale democrazia.
Per quanto riguarda la sovranità popolare – che dovrebbe essere costituzionalmente la base della repubblica democratica – la sua ultima pallida vestigia è stata sacrificata all’altare dell’accordo per cui, in cambio di un presidente investito dall’alto e garante degli interessi del capitale finanziario con basi europee al nostro paese sarebbero stati concessi (senza la normale complicatissimo e rischiosissima procedura) i miliardi del Recovery plan. Così l’Unione europea dell’austerità veniva improvvisamente fatta apparire come una finanziatrice degli Stati nazionali sempre più in crisi. D’altra parte, si taceva a favore di chi queste ingenti quantità di denaro sarebbero state messe a disposizione e in cambio di quali aspetti della residuale democrazia – da sacrificare dinanzi alla trionfante restaurazione liberista – sarebbero stati “concessi” i finanziamenti. Del resto gli aiuti ricevuti non possono che porre in posizione subalterna il ricevente. Senza contare che, a ben vedere, la parte preponderante dei fondi è costituita da prestiti che peseranno ancora di più sul bilancio pubblico.
Tanto più che, mentre il pensiero unico dominante continuava a esaltare la pioggia di miliardi che avrebbe ridato vita alla nostra economia, buona parte della cifra in oggetto era già stata spesa mediante gli scostamenti di bilancio del governo Conte 2 e del governo Draghi. Da consumare restava così quasi esclusivamente la parte che peserà come aggravio del disavanzo pubblico, pur andando ancora una volta essenzialmente a beneficio di privati. Così il nuovo debito pubblico servirà come ariete per spazzar via quel poco di Stato sedicente “sociale” rimasto ancora in piedi.
Un’altra chiara deriva antidemocratica è la tendenza al prevalere nelle forze politiche al governo dell’ala governista che favorisce il distacco di rappresentanti politici sempre più trasformisti nei confronti dei ceti sociali che dovrebbero rappresentare. Tale fenomeno colpisce principalmente la “sinistra” democratica che ormai ha completamente sostituito il proprio riferimento al “demos”, ai non ricchi, con l’europeismo.
Peraltro la restaurazione liberista sta riproducendo, di fatto, sempre più il suffragio ristretto caro alla tradizione liberale, dal momento che il demos, sempre meno politicamente rappresentato e sempre più socialmente debole, tende a disertare le urne. In tal modo, la democrazia, progressivamente ridotta dall’ideologia dominante al solo diritto di voto, tende sempre più a dileguare.
Note:
[1] Il termine deriva dall’antico greco, in cui “crazia” significa potere e, nel caso specifico, potere del “demos”, cioè degli abitanti dei quartieri periferici e non ricchi di Atene, città-Stato in cui per la prima volta una parte dei subalterni ha conquistato e gestito il potere, di contro agli oligarchi (i sostenitori del potere dei più ricchi) e agli aristocratici (sostenitori del “governo dei migliori”, identificati con le antiche famiglie di nobili, grandi proprietari terrieri) ai quali lo aveva strappato.