La redazione e collettivo politico “La Città Futura” con questa intervista vuole dare il proprio contributo a far conoscere il punto di vista dei lavoratori Gkn sulla loro vertenza, apertasi con l’annunciato licenziamento da parte dell’azienda. Ci auguriamo che questa lotta non rimanga un fatto isolato, ma possa contribuire alla creazione di un fronte sociale e politico degli sfruttati, che possa invertire i rapporti di forza oggi molto sfavorevoli per la classe lavoratrice. Insomma che il loro motto “insorgiamo” sia raccolto come dimensione collettiva avviando una nuova stagione di protagonismo dei lavoratori in questo paese, anche in quelle realtà lavorative dove oggi prevalgono passività e divisione; che si possano prosciugare quei “gorghi limosi” in cui affondano “gli entusiasmi più splendenti”.
D. Abbiamo qui con noi, Matteo Moretti, Rsu Fiom-Cgil dello stabilimento Gkn di Firenze. Che cosa producete nel vostro stabilimento e per chi sono diretti i vostri prodotti?
R. Ciao a tutti e tutte, vi ringrazio della possibilità di questa intervista. Noi siamo la Gkn di Firenze, noi produciamo per Fiat. Eravamo lo stabilimento Fiat di Novoli, che è stato chiuso da parte dell’allora Fiat, ora Stellantis, e nel ’94-95 la produzione e i macchinari sono stati trasferiti a Campi Bisenzio e presa da questa multinazionale inglese [Gkn, ndr]. Per Fiat e tutti gli stabilimenti Stellantis produciamo il semiasse. Semiasse che viene montato, appunto, su tutte le vetture che vengono prodotte in Italia. L’85% della nostra produzione è per Stellantis. Sostanzialmente siamo 422 lavoratori. Il numero dei lavoratori è sceso rispetto alla data dell’acquisizione da parte della multinazionale inglese. Eravamo circa 800 nel ’95-96, oggi siamo scesi, anche perché c’è stato un forte investimento sull’automazione.
D. Nel vostro sito produttivo, oltre ai dipendenti di Gkn, sono presenti lavoratori di altre aziende che lavorano insieme a voi?
R. Sì, i dipendenti diretti sono 422. I lavoratori che lavorano nell’indotto, inteso come aziende interne, sono circa 70-80 persone. Sostanzialmente sono le ragazze della mensa, le ragazze e i ragazzi delle pulizie, i carrellisti e il portierato. Purtroppo, non tutte queste aziende sono sindacalizzate. Quindi i lavoratori della mensa non fanno parte del nostro presidio e della nostra assemblea permanente, perché le ragazze non hanno dato la disponibilità, così come i portieri. Però sia i compagni e le compagne della ditta di pulizie, sia i compagni e le compagne delle ditte dei carrellisti sono qui con noi. E sono nell’assemblea permanente e stanno lottando insieme a noi.
D. L’85% dei vostri prodotti sono per Stellantis, l’attuale denominazione del gruppo Fiat. Ma ci sono anche altri compratori? Altre ditte per cui producete i semiassi?
R. Sì, noi forniamo tutti gli stabilimenti Stellantis d’Italia, dal Sud al Nord. Gli altri clienti che abbiamo sono marchi esteri e, quindi, in primis Jaguar Land-Rover, che è la casa inglese di vetture, poi Audi, Bmw, Mercedes, Renault in piccola parte. Magari ne dimentico qualcuno. Negli anni questa forbice di produzione aumentava o diminuiva a seconda delle commesse che venivano destinate allo stabilimento fiorentino. Ovviamente noi, come delegati interni, da sempre abbiamo spinto perché il prodotto Fiat venisse diversificato il più possibile. E, quindi, quella quota di 85 [per cento, ndr] scendesse il più possibile.
D. Recentemente la proprietà ha annunciato di voler chiudere lo stabilimento e per cui siete entrati in mobilitazione. Ti vorrei chiedere quali sono, secondo voi, le motivazioni che sono dietro alla scelta della proprietà?
R. Gkn, nel 2018, è stata acquisita con una scalata ostile sulla borsa di Londra, essendo inglese e quotata lì, da un fondo finanziario che si chiama Melrose, anch’esso inglese. Sostanzialmente il fondo ha come compito quello di acquisire le aziende, ristrutturarle e rivenderle. Il fondo ha come obiettivo la distruzione dei posti di lavoro, perché questo è il suo mestiere. Praticamente guadagna distruggendo i posti di lavoro, comprando le aziende, ristrutturandole e poi rivendendole. Compra, risana, rivendi è il suo motto. E in questo schema noi non siamo riusciti ad arrivare alla rivendita, e quindi siamo state una delle tre aziende Gkn che il fondo ha chiuso. Le altre sono un’azienda tedesca e una, addirittura, inglese. Si sono chiusi un’azienda in Inghilterra, quindi sono proprio spregiudicati all’ennesima potenza. Perché a ogni annuncio di chiusura di azienda il titolo in borsa sale. Per esempio quando ha chiuso noi è salito oltre il 4%. Le produzioni che vengono svolte nei siti, dove il fondo decide di chiudere, vengono rispalmate negli altri stabilimenti. Ovviamente questo è possibile perché il fondo, avendo la capacità di leggere il mercato negli anni successivi, aveva capito che il settore auto stava entrando in una rivoluzione ibrido elettrico-benzina diesel e, quindi, avrebbe passato dei momenti di scarsa produzione, dovuti appunto al riassetto del mercato. E, di conseguenza, approfittando di questa lettura anticipata, ha acquisito Gkn e si è impegnato con le banche. L’operazione semplice, che sta facendo adesso, è guadagnare in borsa dalla chiusura di alcuni siti per poi andare a rivendere l’intero gruppo a dei competitors del settore e andare a guadagnarci ulteriormente. Il nostro stabilimento è uno stabilimento molto moderno, all’avanguardia, che non era in crisi, non era in cassa integrazione. Non abbiamo fatto un giorno di cassa integrazione. È stato semplicemente trasformato in un prodotto finanziario e chiuso da un giorno all’altro.
D. Quindi mi sembra di capire che le motivazioni che stanno dietro alla chiusura dello stabilimento di Erdington, in Inghilterra, siano più o meno le stesse di quello vostro.
R. Allora, lì la situazione è diversa, perché quello stabilimento sostanzialmente era in negativo. Bruciava soldi del fondo finanziario. Il nostro no! Il nostro non era in negativo. Addirittura nel primo trimestre era sopra il budget che si era prefisso il management interno, ma, nonostante quei dati, è stato chiuso ugualmente. La paura e la sensazione che abbiamo noi è che la chiusura del nostro stabilimento sia un segnale di allarme. Ci siamo anche confrontati sul nostro caso con i lavoratori del gruppo Stellantis in Italia. Noi lavoravamo molto sullo stabilimento di Sevel, in Val di Sangro, che produce Ducato. E i movimenti che ci sono, non da ora ma da qualche mese, su quello stabilimento sono molto preoccupanti. Perché in Polonia è stato aperto uno stabilimento Fiat, che, appunto, pare debba iniziare, o ha già iniziato, la produzione per il Ducato. E in Polonia c’è uno stabilimento Gkn. Quindi sembra che i movimenti che si stiano determinando siano quelli di una dipartita, diciamo così, delle aziende Stellantis presenti sul territorio nazionale e che noi si rappresenti un po’ il campanello di allarme che preannuncia, negli anni prossimi, in un futuro prossimo, un disimpegno abbastanza importante di Stellantis. Questo è quello che riusciamo a capire.
D. Ti vorrei chiedere se ci puoi raccontare quali azioni avete intrapreso come lavoratori per contrastare la chiusura dello stabilimento.
R. Allora senti, a grandi linee, noi abbiamo un’organizzazione interna, fortunatamente, abbastanza importante, creata negli anni e ovviamente, abbiamo un’esperienza data da quei compagni che venivano dal mondo Fiat e che ora per fortuna loro sono diventati pensionati a tutti gli effetti e con tutti gli onori. Compagni che hanno avuto la possibilità di viversi degli anni importanti, gli anni ’70 e anche purtroppo gli anni ’80, caratterizzati da una grave sconfitta che ha segnato la storia del movimento operaio e del mondo del lavoro. Noi ereditiamo, quindi, una forte organizzazione e l’abbiamo trasformata negli anni. Non abbiamo una struttura sindacale classica all’interno, abbiamo una struttura molto composita che, ovviamente, ha al suo vertice l’assemblea dei lavoratori, l’assemblea generale che decide su tutto. Abbiamo, ovviamente, una Rsu, come si chiama oggi la struttura sindacale interna, la rappresentanza sindacale unitaria. Per i numeri che abbiamo dovremmo essere in 6, ma siamo, in realtà, in 8 grazie a un’accordistica interna, dove il settimo ce lo siamo, come dire, preso in aggiunta scontrandoci con l’azienda. L’ottavo è un delegato che si occupa solo di temi di sicurezza, quindi è un Rls. Sotto a questa struttura c’è un’altra struttura di nomina della Rsu che prende un po’ spunto dalle regole dei consigli di fabbrica degli anni ’70, una struttura di 12 delegati di raccordo, che sono sindacalisti sostanzialmente e lavoratori dell’officina fondamentalmente. Questi 12 lavoratori sono distribuiti il più possibile tra i reparti di produzione. Dicevo che sono nominati dalle Rsu, perché sono una emanazione della Rsu stessa, ma comunque la lista dei 12 che viene rinnovata ogni anno viene approvata dall’assemblea dei lavoratori. Oltre a questo abbiamo un gruppo di lavoratori aperto, apertissimo, che si chiama Collettivo di Fabbrica, che sostanzialmente dà la disponibilità alla Rsu, e agli altri delegati di raccordo, di approfondire le tematiche che vengono trattate in assemblea. Normalmente il Collettivo di Fabbrica gira su presenze di 40, 45, 50 lavoratori. Questo gruppo di lavoratori si riunisce fuori dall’orario di lavoro, non ha quindi i permessi sindacali come i delegati di raccordo e la Rsu. Si riunisce la sera o nel fine settimana, perché noi lavoriamo a turni. In queste riunioni vengono discusse e approfondite le tematiche interne, o esterne. Abbiamo espresso nel corso della nostra storia molta solidarietà alle lotte che sono state svolte nel territorio. Ultimamente seguivamo le problematiche della Texprint, qui a Prato, un’azienda tessile che vede 18 lavoratori in lotta da tantissimo tempo, quasi un anno. Grazie a questa struttura, all’arrivo della lettera, quindi della comunicazione dell’azienda di cessare l’attività produttiva, c’è stata una risposta molto forte e importante. Abbiamo innanzitutto ripreso la fabbrica in mano. Il 9 [luglio, ndr] mattina eravamo in ferie collettive. Eravamo a casa, perché l’azienda ha proprio inscenato un teatrino, una scena di un film. Prima ha contrattato con noi le ferie collettive legandole a una problematica produttiva di Stellantis e proprio in quel giorno, la mattina, ha inviato a noi delegazione sindacale una e-mail dove comunicava la cessazione dello stabilimento. Quindi ci siamo recati davanti ai cancelli, abbiamo trovato dei bodyguard a presidiare lo stabilimento al posto del nostro portierato. Siamo rientrati in possesso dello stabilimento, abbiamo fatto uscire i bodyguard, le guardie armate. La manutenzione ha preso possesso della portineria, dove arrivano le segnalazioni di tutti i guasti dello stabilimento, gli allarmi, l’antincendio, le problematiche legate agli impianti di raffreddamento o altro. Abbiamo da subito istituito dei turni di guardia, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, all’esterno del perimetro dello stabilimento, ovviamente sempre all’interno del cancello, ma fuori dall’officina. Allora è stata dichiarata l’assemblea permanente, che è la formula legale che ci permette di rimanere all’interno dello stabilimento. Sostanzialmente la nostra presenza all’interno dello stabilimento permette di salvaguardarlo a livello manutentivo. Io sono manutentore. I miei colleghi sono al lavoro tutti i giorni per salvaguardare i macchinari che sono stati abbandonati da un giorno all’altro dall’azienda. Abbiamo anche il trattamento acque reflue, provenienti sia dalla zona industriale sia dalla zona civile, che l’azienda aveva, ripeto, lasciato totalmente incustodito in mano a dei bodyguard i quali, ovviamente, non sapevano come intervenire su specifiche tecniche. Abbiamo da subito ingaggiato un duello con la proprietà che ci ha intimato di uscire. Ovviamente ci siamo rifiutati. Abbiamo, insieme alla Fiom-Cgil, denunciato, con una causa sull’articolo 28 della legge 300, l’attività antisindacale. Perché l’azienda nelle accordistiche si era impegnata a non licenziare e ad affrontare gli eventuali esuberi attraverso prepensionamenti ed esodi volontari. Comunque si era impegnata a fare un percorso di comunicazione qualora la situazione dovesse peggiorare in maniera drastica. Abbiamo fatto delle iniziative esterne come assemblea permanente, quindi decise dai lavoratori. Il giorno 24 di luglio circa 7-8000 persone sono venute alla nostra manifestazione che si è svolta nella zona industriale. Prima di questa c’è stato lo sciopero generale provinciale il 19 di luglio. C’è stato un presidio in piazza Santa Croce, tra l’altro bellissimo, dove hanno partecipato i compagni e le compagne della Cgil. L’11 di agosto, per l’anniversario della liberazione di Firenze, c’è stata una manifestazione molto emozionante in centro città, quindi nel centro di Firenze, che ha toccato i punti storici dell’antifascismo fiorentino. E il 18, di settembre, stiamo organizzando una manifestazione di carattere nazionale sempre a Firenze, per la quale ci siamo anche, come dire, adoperati in un tour. Il tour “Insorgiamo” l’abbiamo chiamato, perché “insorgiamo” è il nostro motto ripreso dalla resistenza fiorentina. Siamo stati a Napoli, a Roma, a Milano, a Torino e a Bergamo per promuovere questa manifestazione nazionale che ci sarà, appunto, il 18 settembre che vede anche la partecipazione della Fiom nazionale e della Fiom locale. Queste sono state un po’ le iniziative che per ora abbiamo messo in campo, tra l’altro c’è anche una discussione, questa mi era venuta in mente…
D. Scusami se ci puoi spiegare meglio. So, infatti, che avete presentato anche una proposta di legge…
R. Esatto.
D. … insieme ai Giuristi Democratici, contro le delocalizzazioni, che è un tema attuale che riguarda non solo la vostra azienda, ma anche una serie di altre realtà produttive in Italia che hanno subito recentemente un provvedimento analogo al vostro. Se magari puoi parlarci, brevemente, di quali sono i punti salienti di questa proposta.
R. Grazie anche alla lotta nostra e alla lotta di altre aziende che sono nelle nostre condizioni – mi viene in mente Whirpool, che da circa 2 anni sta vivendo questa situazione – è scaturito un dibattito a livello nazionale su una legge antidelocalizzazioni. E quando abbiamo letto che si stava avviando questo dibattito, ci siamo interessati ovviamente di quello che veniva detto e scritto al livello dei media. Purtroppo negli ultimi anni si vedono discussioni politiche, parlamentari, governative che sotto a dei titoli importanti, delle parole importanti, alla fine si trasformano in leggi che, come dire, non valgono il titolo. Uno su tutti il decreto dignità, che di dignità ai lavoratori ne ha resa ben poca. Infatti, anche in questo caso, il dibattito politico sotto un titolo importante, “legge antidelocalizzazioni”, si è trasformato semplicemente in un procedurizzare queste delocalizzazioni. Quindi un prendere tempo e dare tempo alle aziende per delocalizzare. Ma alla fine lo scopo è chiudere e cessare l’attività e bruciare posti di lavoro. Il nostro testo, che sostanzialmente prende spunto dalla bozza Todde-Orlando, però va più in profondità. E arriva a integrare una parte sanzionatoria, che sostanzialmente dà la possibilità alle aziende di uscire dal paese. Ovviamente si sta parlando di quelle aziende che non sono in crisi e che vogliono lasciare il paese. Nella nostra bozza la penalizzazione di queste aziende, che non essendo in crisi lasciano il paese da un giorno all’altro, è il mantenimento dello stabilimento con gli impianti e i macchinari. Quindi la sanzione è dentro uno schema di proceduralizzazione di più ampio respiro. E avendo più tempo a disposizione si reinserisce all’interno anche la discussione con le organizzazioni sindacali, che dalla bozza Orlando-Todde era sparita.
D. Stavi dicendo che per il 18 di settembre avete organizzato una manifestazione nazionale a Firenze. Ci puoi dire perché è importante partecipare a questa manifestazione e se pensi che una riuscita della manifestazione possa spingere in qualche modo la Cgil e la Fiom, in particolare la Cgil, a fare qualcosa di più concreto? Cioè a intraprendere delle iniziative più adeguate per fronteggiare le chiusure e i licenziamenti che stanno avvenendo nel nostro paese?
R. Mah, noi lo speriamo, ovviamente. Io sono, come dicevi prima, un delegato, ma anche un dirigente della Fiom locale. E all’interno della Rsu ci sono anche dirigenti nazionali della Fiom, dell’assemblea generale. Quello che ci è accaduto ha avuto un risalto molto importante. La solidarietà, che ci sta arrivando, è una solidarietà non solo legata alla nostra organizzazione sindacale, perché il nostro presidio è un presidio molto ampio, che vede la solidarietà anche dei sindacati di base e di quella parte politica che non è neanche rappresentata in parlamento. E quindi la nostra battaglia è una battaglia che vuole abbracciare tutti, addirittura le istituzioni, che sul tema licenziamenti hanno di fatto sbloccato. Il blocco dei licenziamenti era stato decretato nel mezzo della pandemia e la pandemia non è finita. Quindi al nostro fianco, per esempio, c’è il sindaco di Campi Bisenzio, del Partito Democratico, che è un partito di governo che ha deciso quello sblocco dei licenziamenti. C’è la regione Toscana anche se, nell’ultimo periodo, si è resa protagonista di una discussione che, insieme al Ministero dello Sviluppo Economico e al Ministero del Lavoro, aveva appoggiato l’idea dell’azienda dell’apertura della cassa integrazione per cessazione dell’attività. Quindi, la nostra iniziativa è una iniziativa molto ampia. Noi cerchiamo di spingere la nostra organizzazione sindacale non solo alla partecipazione ma all’organizzazione di pullman dagli altri territori. Abbiamo avuto una discussione in assemblea anche oggi. Speriamo che non ci sia una semplice partecipazione, graditissima ovviamente, della segretaria [Francesca Re David, segretaria generale della Fiom, ndr], dei segretari di Firenze, dei segretari nazionali, ma auspichiamo un impegno molto importante anche dal punto di vista organizzativo. Che si organizzino i pullman dai territori per portare i lavoratori al nostro corteo, come si faceva qualche anno fa. Perché pensiamo che la nostra vicenda non sia una vicenda isolata. Crediamo che se un fondo finanziario, una multinazionale, riesce a passare sopra a una organizzazione interna, come quella che ti ho spiegato prima, ma soprattutto che una multinazionale, un fondo finanziario riesca a chiudere un’azienda che non è in crisi, un’azienda moderna, un’azienda che non ha un prodotto che ha finito il suo corso, cioè il semiasse che viene montato anche sulle macchine ibride ed elettriche, crediamo che si apra un precedente molto importante e molto pericoloso, che possa dare il là nei prossimi mesi, nelle prossime settimane, nei prossimi anni a un disimpegno non solo delle aziende legate al settore auto, ma anche di aziende di altri settori; che comunque, se questa battaglia non viene giocata bene e viene persa, avranno modo di spadroneggiare. Credo che potrebbe essere un precedente molto pericoloso.
D. Vorrei concludere chiedendoti se pensate che una riuscita della manifestazione possa avere un effetto di propagare la vostra resistenza ad altre realtà che oggi, forse, sono poco attive nel paese. Di conseguenza se una vittoria vostra, di cui la manifestazione non può che essere un passaggio, possa determinare in qualche modo un’inversione di tendenza. Quindi se nella coniazione della parola d’ordine “insorgiamo” volete puntate anche a questo effetto. Se puoi chiarire meglio.
R. Allora, l’ho un po’ detto prima. Noi siamo dentro a uno schema molto mediatico, per fortuna! E quindi abbiamo avuto non solo l’abbraccio del territorio ma anche un’attenzione da altri territori. Eh, che ti devo dire, nello schema in cui siamo noi non abbiamo scelta. Non possiamo scegliere se lottare o non lottare. Noi siamo chiamati a una lotta dura e con un tempo a disposizione molto limitato. Perché l’apertura della 223 [la legge 223/1991 che regola la procedura di licenziamento collettivo, ndr], è una procedura che prevede 75 giorni di tempo. Quindi noi, ipoteticamente, il 22, il 23 [settembre, ndr] potremmo riceve le lettere di licenziamento e poi doverci confrontare con l’assemblea permanente per capire se mantenere il presidio oppure no. Gli altri la scelta ce l’hanno. Gli altri luoghi di lavoro, le altre realtà, la scelta in realtà ce l’hanno. E, quindi, possono scegliere di vivere il nostro caso come una delle tante storie di crisi avvenute negli anni, delle fabbriche che purtroppo non ce l’hanno fatta, che hanno accettato gli ammortizzatori sociali, hanno visto una lenta agonia. Insomma ce ne sono tante di storie come questa qui. Oppure utilizzare la nostra vertenza appunto per insorgere. Per provare ognuno nella propria situazione, nella propria vertenza, nella propria azienda, nel proprio ruolo politico, di trovare quella spinta e quella forza per cercare di invertire anni di sedimentazione, anni di divisioni, anni di scelte politiche sbagliate che hanno creato quelle leggi che oggi permettono a una azienda come questa di chiudere da un momento all’altro. Leggi che hanno precarizzato il mondo del lavoro. Anni di mancanza da parte della politica. Per provare a – come dire – far partire quella scintilla che potrebbe creare un qualcosa, un movimento che vada oltre alla nostra situazione, alla nostra vertenza, e che faccia svegliare questo paese. E credo che ce ne sia tanto bisogno.
D. Ti ringrazio Matteo per l’intervista, e auguriamoci una grande partecipazione alla manifestazione a Firenze. Perché sarà veramente importante partecipare, anche per connettere le diverse vertenze che sono oggi disgregate.
R. Grazie.