La firma del memorandum italo-cinese per lo sviluppo della Nuova Via della Seta ha provocato, fin dal suo annuncio, l’insurrezione degli USA e degli ambienti filo-statunitensi, fra cui la sempre genuflessa Unione europea, che anche in questa occasione ha dimostrato la sua vocazione filo-atlantica. Fra gli ambienti accodati agli Usa dobbiamo includere anche buona parte dei partiti italiani (Lega, Forza Italia e Pd in primis).
Per gli Usa, Garrett Marquis, portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, si è espresso con un giro di parole: l’adesione dell’Italia alla nuova via della seta danneggerebbe la sua reputazione internazionale quindi si invitano “tutti gli alleati e partner, compresa l'Italia, a fare pressioni sulla Cina per allineare gli sforzi di investimento globale agli standard internazionali”. Più sinceramente Alberto Prina Cerai afferma che “la principale minaccia – come ribadisce la National Security Strategy del 2017 – proviene da una rinnovata competizione interstatale, in cui la Cina rappresenta il peer competitor per eccellenza”. Da canto suo un rapporto del Dipartimento della Difesa degli USA afferma che l’espansione cinese, attraverso la via della seta, tende a “escludere gli Stati Uniti dalla regione Indo-Pacifica” e a perseguire l’obiettivo strategico del Partito Comunista Cinese di fare della Cina ‘la potenza preminente’ del continente eurasiatico”.
Dal canto suo l’Unione europea è preoccupata perché la firma del memorandum potrebbe rappresentare un avvicinamento dell’Italia alla Cina, mentre tutti gli Stati membri dovrebbero essere coerenti con le leggi e le politiche dell’Ue e pertanto operare congiuntamente.
Anche se ai più sarà già noto, vediamo di cosa stiamo parlando.
La Nuova Via della Seta è un progetto cinese risalente al 2013 per rafforzare i collegamenti commerciali con i paesi dell’Asia Centrale e dell’Europa. Il progetto contempla la realizzazione di infrastrutture di trasporto via terra e via mare e di logistica, distribuite in sei grandi corridoi, per la qual cosa il governo cinese metterebbe in moto mille miliardi. Gli investimenti in infrastrutture, infatti, è il perno su cui si basa strategia cinese per estendere la propria influenza in varie parti del globo.
Gli accordi con il governo italiano sono 29 e prevedono, oltre alle infrastrutture – principalmente il potenziamento dei porti di Trieste e Genova –, collaborazioni sulle telecomunicazioni, in campo energetico e l’emissione da parte della Cassa Depositi e Prestiti, in accordo con la Bank of China, di “Panda Bond” per finanziare investimenti. Altri accordi sono stati presi con imprese italiane: Unicredit e Intesa Sanpaolo, Fincantieri, Terna, Ansaldo, Snam, Italgas, Enel, Eni, Danieli. Quindi sono coinvolti comparto bancario, industriale, cantieristica, energia ecc. ecc. La somma di 2 miliardi e mezzo messa sul banco potrebbe mobilitarne, operando da volano di altri investimenti, circa 20.
Si tratta di un’opportunità per rilanciare l’asfittica economia italiana e di un passaggio pressoché necessario visto che i cordoni della borsa dell’Unione Europea sono tenuti ben stretti. Anche l’economista americano Joseph Stiglitz, già autorevole consulente di Bill Clinton, pur preoccupato per gli interessi americani che verranno colpiti, ha dichiarato in proposito: “alla Grecia furono promessi fondi e crescita. Non sono arrivati né gli uni, né gli altri. Quindi, siccome l'Europa non mette in campo fondi per crescere, un paese che è in stagnazione, recessione, depressione che deve fare? È l'Europa che sta costringendo l'Italia ad accettare il denaro cinese”.
Proprio per i vantaggi di aderire al grande progetto cinese, anche il governo Gentiloni, nel maggio 2017, partecipò al Forum cinese sulla Nuova Via della Seta, e il Presidente del Consiglio ebbe a sostenere che “l’Italia può essere protagonista in questa grande operazione a cui la Cina tiene molto: per noi è una grande occasione e la mia presenza qui significa quanto la riteniamo importante”. E parole simili profferivano l’allora sottosegretario allo Sviluppo Economico, Ivan Scalfarotto e il Ministro alle Infrastrutture Graziano Delrio. C’è da riferire inoltre che altri tredici paesi europei hanno sottoscritto accordi simili a quello firmato in questi giorni dal Governo Conte: Bulgaria, Croazia, Grecia, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovenia, Slovacchia e Ungheria.
Oggi, invece, il Pd è turbato dalle preoccupazioni degli Usa, i quali hanno evidenziato gli interessi geostrategici che potrebbero essere compromessi dall’accordo, e fatto comprendere che esso violerebbe perfino le condizioni della nostra appartenenza alla Nato. E così, l’intero gruppo Pd al Senato, presenta un’interrogazione urgente al Governo, preoccupato del fatto che “la Cina sta provando ad assicurarsi influenza sull’economia mondiale per i prossimi decenni, legando a sé moltissimi paesi tramite prestiti, finanziamenti e il controllo diretto di grosse infrastrutture commerciali”. Il che è senz’altro vero, ma quel partito meschino non ha mai provato turbamento quando simili mire venivano da oltreoceano. E per di più non attraverso investimenti sulle infrastrutture commerciali e telematiche ma secondo il modello predatorio tipico degli imperialismi del civile Occidente molto sensibile ai diritti umani, purché non in casa sua, e piuttosto propenso a risolvere con la forza i contenziosi internazionali.
Anche le lamentele sui pericoli che gli accordi sulle telecomunicazioni possano minare la nostra sicurezza interna, sono piuttosto pelose. Basti considerare che le ingerenze Usa in tutto il mondo oggi non si avvalgono solo delle armi, della diplomazia, del ricatto economico e dei golpe, ma anche delle infrastrutture tecnologiche a loro disposizione. In questa occasione, per esempio, agli smemorati non ha detto niente l’attività spionistica americana sul nostro e su altri paesi europei, resa nota nel luglio 2013 dalle rivelazioni di Snowden, il famoso Datagate.
Anche la Commissione Europea – e ti pareva! – ha ammonito l’Italia, invitandola ad agire in accordo con i paesi dell’Unione Europea. La stessa Unione che in tutte le altre occasioni analoghe si è tenuta in disparte.
Per capire i motivi di queste inversione di marcia dei paggi italiani ed europei, è sufficiente esaminare i motivi dell’arrabbiatura del padrone ed applicare la proprietà transitiva.
La nostra penisola è collocata nel cuore del Mediterraneo e rappresenta la connessione del continente europeo con quest’area di grande rilevanza per la presenza del canale di Suez e di altre rilevanti proiezioni verso ambiti strategicamente rilevanti. Le infrastrutture di collegamento fra i due estremi Est-Ovest del continente eurasiatico vedono essa un punto di passaggio ideale.
In epoca di globalizzazione il nostro Paese non ha saputo trarre tutti i vantaggi possibili da questa collocazione e ha sprecato alcune possibilità. Il gasdotto South Stream, per esempio, poteva farci diventare un importante nodo energetico, ma è stato affossato e ora il gas russo passa prevalentemente per la Germania attraverso il North Stream. A tal fine questa infrastruttura è stata opportunamente raddoppiata. Sempre la Germania, non ha esitato ad aprirsi alle rotte della via della Seta: terrestri, attraverso treni transcontinentali, e marittime, attraverso il mar Baltico e il mare del Nord.
Proprio per questa nostra collocazione, siamo diventati una piattaforma militare statunitense. Sigonella, Aviano, Camp Darby, Vicenza, Niscemi, per citare alcune basi, hanno una rilevanza strategica assoluta per lo Zio Sam che si sta affannando nel tentativo di arrestare con le armi in pugno il suo declino e ostacolare l’estensione dell’influenza del possibile nuovo paese egemone, la Cina appunto. Per questo ci viene rimproverato di non essere abbastanza servi fedeli.
Il nostro paese, dal punto di vista dei comunisti, non dovrebbe invece associarsi a nessuno dei poli imperialisti, casomai sfruttare le opportunità che gli scontri fra di essi ci forniscono e, evitando di essere parte in causa di questi conflitti, intrattenere relazioni internazionali pacifiche che siano vantaggiose e utili a ampliare gli spazi di manovra delle classi lavoratrici duramente colpite dalle politiche liberiste.
La Nuova Via della Seta ci pare una di queste opportunità se non altro perché ci affranca, almeno parzialmente dai vincoli finanziari dell’Unione Europea. E sarebbe anche un’occasione per il mezzogiorno, se non prevarrà l’idea di salvaguardare gli interessi di Stati Uniti e Israele, limitando l’iniziativa al solo Nord Italia, magari sotto tutela tedesca. Forse è proprio la visita di Xi Jinping in Sicilia che ha preoccupato maggiormente i nostri partner atlantici.
Firmati, nonostante tutto, i memorandum, non è che abbiamo risolto i nostri problemi. Anche il South Stream era frutto di un accordo fra Russia e Italia e sappiamo com’è andata a finire. Siamo troppo legati a Usa, Nato, Ue, senza avere la forza della Germania per affermare con sufficiente autonomia i nostri interessi. Lo sganciamento da questa gabbia, deve essere un obiettivo strategico da perseguire, sia pure con la duttilità e gli accorgimenti tattici che la situazione di volta in volta imporrà.