Su una sola questione praticamente tutta l’opposizione al governo, egemonizzato dalla destra radicale, è concorde: il salario minimo. Apparentemente si tratta di una parola d’ordine inoppugnabile. D’altra parte diviene difficile comprendere che cosa accomuni in tale parola d’ordine la destra più ultra neoliberista e persino Banka Italia con la sinistra radicale. Apparentemente sembra un’ottima notizia, tanto più che a prima vista si direbbe che è stata la sinistra radicale a esercitare l’egemonia persino sui settori più radicalmente liberisti. In realtà, analizzando un po’ meglio la questione, le cose stanno in modo ben differente.
Se si prende in considerazione la concezione marxista del salario la questione si rovescia completamente. Secondo Marx sono i capitalisti che hanno sempre combattuto e sempre si batteranno per ridurre il salario al minimo e, anzi, le diverse forme di resistenza degli sfruttati e di chi si schiera dalla loro parte si è sempre battuta e si dovrà sempre battere per evitare che il salario divenga minimo.
Certo, si potrebbe obiettare, che in realtà è solo un gioco di parole, in quanto la odierna lotta per il salario minimo, comporta che non dovrebbe essere più il capitale a fissarlo, ma la controparte. D’altronde persino Confindustria, per quanto non ami particolarmente che si impongano da un punto di vista pubblico delle regole al privato, non ha proprio nulla da temere. Nel senso che la proposta portata avanti dalla grande maggioranza dell’opposizione prevede un salario talmente minimo che Confindustria, può tranquillamente dire che paga i propri dipendenti di più, aggiungendo che loro non sfruttano i lavoratori, ma retribuiscono il lavoro.
Su questo punto determinante tuttavia anche la dirigente della più grande forza politica di opposizione, Schlein, la vede sostanzialmente allo stesso modo. La segretaria del Pd ha difeso la proposta di legge per un salario minimo sostenendo che al di sotto di quella soglia si arriverebbe allo sfruttamento. Dunque, il messaggio che passa in modo sostanzialmente incontrastato è che lo sfruttamento è l’eccezione, dovuta a capitalisti disonesti, e che fissando per legge il salario minimo il problema sarebbe risolto.
Un altro campanello d’allarme dovrebbe venire quando si sentono i motivi per i quali l’ultraliberista Calenda è non solo a favore del salario minimo, ma approva anche la proposta di legge sostenuta da quasi tutta l’opposizione. La ragione è presto detta, l’Italia è l’unico dei paesi Ocse in cui questa misura non è stata ancora varata. Dunque, tutte le principali potenze capitaliste e imperialiste hanno varato il salario minimo. Al contrario i più titubanti appaiono i sindacalisti, che fino a poco tempo, quantomeno i confederali, erano tutti contrari. Ora invece la Cgil e la Uil hanno finito per accettare la proposta del salario minimo, ma solo legandola alla questione decisiva del contratto nazionale. Per cui oggi Landini si dice a favore in quanto consentirebbe di estendere anche a quei tre milioni di lavoratori che non lo hanno le garanzie di quest’ultimo.
L’altra questione lampante è che le principali forze di opposizione, che sponsorizzano oggi il salario minimo, quando erano al governo e non c’era traccia dell’inflazione galoppante di oggi erano di fatto contrari. Il paradosso è che, quindi, quando lo strumento era meno pericoloso per i lavoratori, in quanto non c’era inflazione, chi oggi lo propone ne ha impedito l’attuazione e ora che l’inflazione galoppa in particolare in Italia e in particolare per le classi subalterne invece lo si propone. Peraltro la proposta di legge della grande maggioranza dell’opposizione non prevede nemmeno, come ad esempio avviene in Francia, un meccanismo di adeguamento automatico dei salari alla crescita del costo della vita. Questa omissione è particolarmente preoccupante e gli estensori hanno cercato di giustificarsi affermando di essere contrari a un meccanismo di adeguamento automatico in quanto non lascerebbe lo spazio alla libera contrattazione fra le parti sociali. Si tratta di una scusa quantomai bizzarra, perché da una parte si propone un disegno di legge che aggira il punto dirimente della contrattazione fra le parti sociali e poi quando si tratterebbe di tutelare i più deboli, i lavoratori dipendenti, non si fa nulla dicendo di non voler impedire la libertà di contrattazione.
Senza contare che nella proposta nettamente maggioritaria delle opposizioni si prevede che qualora un lavoratore avesse una retribuzione inferiore ai nove euro, a pagare non saranno i capitalisti cattivi e sfruttatori, ma la fiscalità generale quindi, come di consueto nel capitalismo, si mantengono privati gli utili mentre si socializzano i costi. Questo significa che a pagare per portare a nove euro i salari dei lavoratori più incapaci di autotutelarsi saranno, in massima parte, i lavoratori che sono riusciti a conquistare dei salari meno da fame. Di fatto si tratterà di uno spostamento di risorse dal salario indiretto, ossia servizi sociali pubblici tendenzialmente gratuiti o, comunque, con prezzi calmierati, a favore del salario diretto dei lavoratori meno capaci di condurre il conflitto sociale.
A questo punto si potrebbe obiettare che un conto è la teoria e un altro la pratica, cioè la teoria sarebbe in sé buona anche se il modo con cui la sta applicando la stragrande maggioranza dell’opposizione è sbagliata. Tanto più che il modo in cui vorrebbe realizzare la parola d’ordine del salario minimo la minoranza della sinistra radicale è decisamente un’altra cosa in quanto ovvierebbe, almeno sulla carta, ai principali difetti della proposta maggioritaria.
In realtà, purtroppo, le cose stanno diversamente da come appaiono. Non solo la pratica, almeno nella proposta ultra maggioritaria è pessima, ma lo è altrettanto la teoria, da qualsiasi punto di vista la si voglia considerare. Come sappiamo la questione fondamentale è la coscienza di classe, decisiva in quanto determina i rapporti di forza fra i ceti sociali inevitabilmente e perpetuamente in lotta fra loro. Dal punto di vista degli sfruttati, naturalmente, l’aspetto decisivo è la coscienza, cioè la consapevolezza dello sfruttamento e della sua ingiustizia e iniquità. Ora se con misure come il salario minimo si contribuisce a ingannare i lavoratori sfruttati facendogli credere che il salario corrisponda alla busta paga e retribuisca il lavoro, tutto lo sforzo di Marx e del marxismo di far prendere coscienza dello sfruttamento rischia di andar perduto. In tal modo si perde di vista la dimensione sociale del salario che non retribuisce il lavoro ma paga, in media, l’equivalente del valore di scambio della forza lavoro, che come per ogni altra merce corrisponde ai costi di produzione. Proprio per questo piuttosto che essere l’eccezione lo sfruttamento è la regola fondamentale del lavoro salariato. Del resto, quasi sempre il lavoratore ha la possibilità di accedere ai mezzi di produzione e di riproduzione di cui ha assolutamente bisogno per lavorare e sopravvivere solamente nella misura in cui assicura un elevato tasso di profitto al padrone, che dipende proprio da un livello elevato di sfruttamento.
Ora se persino quelli che si dicono e magari sono anche, nei fatti, marxisti, invece di far crescere la coscienza di classe degli sfruttati, gli danno a intendere quello che vuole l’ideologia dominante e di cui hanno bisogno vitale gli sfruttatori, cioè che il salario è la busta paga che retribuisce il lavoro, facendo così scomparire ogni traccia dello sfruttamento, ad apparire sfruttati saranno soltanto quella minoranza, generalmente più priva di coscienza di classe, che ha un salario diretto inferiore al minimo che si vorrebbe conquistare.
Peraltro si dà a intendere a questa minoranza che, per migliorare la propria tragica condizione di vita, non dovrà unirsi, organizzarsi e praticare la lotta di classe dal basso, ma le basterà raccogliere le firme per la proposta di legge di iniziativa popolare sponsorizzata dalla sinistra radicale. Senza contare che si tratta dell’ennesima illusione alla quale si condannano gli sfruttati o, peggio, all’ennesima presa in giro, perché se si riuscisse a raggiungere il quorum delle firme la proposta di legge passerebbe completamente nelle mani dell’attuale parlamento in cui la maggioranza è contraria a ogni forma di salario minimo, mentre la minoranza porta avanti un proprio disegno di legge sostanzialmente differente. Quindi tale proposta di legge, nella migliore delle ipotesi, cadrà completamente nel vuoto, nella peggiore offrirà il destro al padronato per portare avanti la sua tradizionale e costante battaglia per ottenere il salario minimo, cioè per ridurre il più possibile il salario sociale di classe al minimo indispensabile per la mera riproduzione della forza lavoro da sfruttare.
Anche perché non solo sul piano teorico, ma anche dal punto di vista pratico-empirico la storia dimostra che ogni volta che si sia fissato il salario minimo per legge, generalmente a un livello appena necessario per la sopravvivenza della forza lavoro da sfruttare, il padronato farà di tutto per abbassare il salario della maggioranza, che ha una busta paga superiore, alla soglia fissata per legge.
Del resto, a determinare le sorti di chi guadagna più del salario minimo, non ci sono le illusioni di leggi che difenderebbero qualche diritto innato, come quello di non essere sfruttato, ma conteranno esclusivamente i rapporti di forza. In tale prospettiva, naturalmente, conta chi ha il potere e chi ha più coscienza di classe ed è più in grado di vincere la lotta per l’egemonia nelle sovrastrutture.